Recensione Falene (2009)

E' evidente l'origine teatrale del film di Andrès Arce Maldonado, ma il regista riesce a equilibrare le atmosfere da teatro dell'assurdo con inserzioni di grande impatto cinematografico, esaltando così le ottime interpretazioni dei due protagonisti.

Presente assurdo, futuro incerto

Quante volte ci si è trovati a fantasticare con gli amici su cosa faremmo se ci capitasse un colpo di fortuna al gioco, un'eredità imprevista, una scelta vincente in borsa? Sarebbe l'occasione per cambiare vita, per scappare, dove non lo si sa nemmeno, basta scappare, da un presente incerto e da un futuro sempre meno promettente. Ma quasi sempre questi parti dell'immaginazione rimangono tali, perché non giochiamo al Gratta e Vinci, non abbiamo nessun misterioso zio d'America e di azioni, bond e compagnia bella non ne capiamo nulla.


Anche Enzo e Totò sognano una vita diversa, lontana da una Bari che non offre lavoro né amicizia, a parte quella che li unisce: ma per realizzare quel sogno loro sì che stanno cercando di fare qualcosa. Non che sia un gran piano, quello di rubare la Ferrari a un non meglio precisato conoscente, ma questo sembra non preoccupare più di tanto i due uomini: perché con quella potranno andare a Parigi, fare la bella vita e conquistare le raffinate donne francesi. Nell'attesa che il malcapitato si presenti all'appuntamento, Enzo sciorina le infinite possibilità che li aspettano, infarcendole di filosofia un po' spicciola per renderle più appetibili a Totò, molto meno incline a farsi trascinare dall'entusiasmo e decisamente più interessato alle problematiche pratiche. In quest'atmosfera beckettiana veniamo trasportati in profondità nel mondo dei due protagonisti, un mondo duro e vuoto dal quale cercano di salvarsi come possono, in modo un po' ingenuo ma anche caparbio: l'uno leggendo Prévert, ma per caso, perché in libreria c'era andato per la commessa, l'altro cercando di andare oltre la propria prospettiva limitata e mettendosi nelle mani dell'amico, più acculturato ed esperto di lui.

Il film di Andrès Arce Maldonado, esordiente alla regia ma già insignito di numerosi riconoscimenti internazionali, si fonda tutto sulla personalità dei due protagonisti, sulle loro riflessioni e sul progressivo disvelamento della loro vera natura. Nell'ora abbondante in cui siamo testimoni delle loro vite, di azione ce n'è pochissima, anzi l'evento a cui assistiamo è uno solo: ma è un evento che cambia tutto, che con durezza ci riporta alla realtà. Non è come aspettare Godot, aspettare il proprietario della Ferrari: perché il proprietario della Ferrari arriva, e allora non c'è più spazio per l'incertezza, per i se e per i ma. E, per quanto possa essere tremenda l'immobilità, l'essere costretti ad agire può rivelarsi ancora più fatale. Il film, pur rispettando l'origine teatrale della storia, che l'autore e sceneggiatore Andrej Longo portò sui palcoscenici italiani per sette anni prima di venire scoperto dal produttore Giovanni Costantino, sfrutta in maniera intelligente anche le possibilità offerte dal diverso mezzo espressivo: l'inserzione di spezzoni animati, così come una colonna sonora molto intensa e coinvolgente esaltano la componente emozionale della narrazione, traghettandola di volta in volta su atmosfere più ironiche o più drammatiche. Tutto questo senza mettere in ombra le ottime interpretazioni di Totò Onnis e Paolo Sassanelli, che riescono a tenere in piedi senza difficoltà questa commistione tra teatro dell'assurdo e gusto per i dialoghi quasi tarantiniano.

Nel panorama cinematografico italiano, Falene è senz'altro un'eccezione: mai urlato, mai retorico, sa parlare di sentimenti drammaticamente comuni, come la disillusione, la sensazione di trovarsi in trappola, la volontà di emanciparsi, con atteggiamento onesto e sincero, mettendo al centro della storia due persone vere che, aldilà dell'accento barese, dicono quello che potrebbero dire tanti altri, e che proprio per questo sentiamo tanto vicine.

Movieplayer.it

3.0/5