Zeta, piccoli rapper crescono

Cosimo Alemà raduna tre giovani attori per il primo film italiano sulla generazione rap che fallisce nell'obiettivo di rappresentare un mondo giovanile credibile.

Dopo At the End of the Day - Un giorno senza fine e La santa (presentato al Festival di Roma e mai uscito nelle sale), Cosimo Alemà, il re dei videoclip italiani, torna dietro la macchina da presa per unire la sua passione per il cinema e quella per la musica. Il risultato si chiama Zeta, film ambientato nella Roma più periferica che vuole raccontare l'ascesa del rapper Alex detto Zeta (Diego Germini altrimenti noto come IZI) e la sua amicizia con Gaia (Irene Vetere) e Marco (Jacopo Olmo Antinori), due ventenni che come lui sognano il riscatto dalla povertà e l'emarginazione.

Zeta: Irene Vetere, Diego Germini e Jacopo Olmo Antinori in un'immagine promozionale
Zeta: Irene Vetere, Diego Germini e Jacopo Olmo Antinori in un'immagine promozionale

Nulla va come previsto. Alex verrà ingaggiato da Sante (Salvatore Esposito), un'autorità nel mondo del rap che intravede in lui delle potenzialità e taglia fuori il suo amico Marco. Pur essendo fidanzata con quest'ultimo Gaia è invece segretamente innamorata di Alex che decide di allontanarla pur di non tradire l'amicizia. Gestire la vita con tutte le occasioni e le trappole che presenta a vent'anni è tutt'altro che facile e così il destino dei tre giovani finirà inevitabilmente per complicarsi.

Questione di credibilità

Zeta: un'immagine tratta dal film
Zeta: un'immagine tratta dal film

Il film di Cosimo Alemà, per quanto lodevole nella sua volontà di avvicinarsi ai più giovani e di stabilire con loro un dialogo, ha un grave difetto: la mancanza di credibilità. Il mondo delle periferie romane, come tutti sappiamo, è già stato abbondantemente raccontato, da registi ben più preparati attraverso stili, generi e storie diverse. Non ultimo il fenomenale Lo chiamavano Jeeg Robotdi Gabriele Mainetti. La versione di Alemà non solo è terribilmente convenzionale ma sopratutto superficiale e disattenta sia nella scelta dei dialoghi, talvolta involontariamente comici (specie per un pubblico adulto) quanto più nel ritratto della cosiddetta generazione rap. La validità della recitazione è ovviamente un optional ma nutriamo comprensione nei confronti del trauma vissuto da Antinori dopo essere passato da Bernardo Bertolucci a Ivano De Matteo prima di arrivare alla corte di Alemà!

Zeta: Salvatore Esposito e Clementino in una scena del film
Zeta: Salvatore Esposito e Clementino in una scena del film

Tornando al protagonista, i limiti delle ambizioni di Alex risiedono soprattutto nel fascino che subisce da una realtà (quella dell'hip-hop italiano) più patinata e artificiale di ciò che finge di essere. In breve, il successo ha più valore dell'amore per la musica. Pochi i nostri rapper di periferia (almeno quelli che scelgono di comparire nel film - da Fedez a Briga, da J-Ax a Baby K) più quelli da copertina, da talent o da reality. Meno fortunati quelli della scena underground, il messaggio subliminale è molto chiaro: se non appari non esisti. I nostri giovani sono sdraiati, è vero, ma la fame, la violenza, la rabbia hanno da sempre generato reazioni viscerali, quelle che latitano clamorosamente in questo film. Confidiamo nel buon cuore e nell'onestà dei sentimenti di Alex/Zeta, anche solo per il volto sincero e lo sguardo vivace dell'esordiente Diego Germini, meno nei suoi obiettivi da raggiungere.

Zeta: Jacopo Olmo Antinori e Irene Vetere in una scena del film
Zeta: Jacopo Olmo Antinori e Irene Vetere in una scena del film

Piccoli problemi di...empatia

Se il mondo musicale a cui il film è affiliato lascia molto a desiderare, la sotto-trama sentimentale è quasi imbarazzante nel suo pressapochismo. La povera Gaia, uno dei pochi personaggi femminili che non agisce per avere qualcosa in cambio (per dirla in modo elegante) è costretta a piangere ad un'inquadratura sì e all'altra pure. Si strugge per il tradimento del suo amato fino all'atteso e prevedibilissimo lieto fine. Oltre all'ingenuità quasi anacronistica con cui vengono connotati i dialoghi e i sentimenti di questi ragazzi a colpire è soprattutto la freddezza del film.

Zeta: Diego Germini in una scena del film
Zeta: Diego Germini in una scena del film

A questo proposito, sorprende constatare quali fossero i modelli di riferimento di Alemà. Ovvero, per sua stessa ammissione, L'odio di Mathieu Kassovitz piuttosto che 8 Mile di Curtis Hanson con Eminemprotagonista. Per non parlare della sua menzione a Il tempo delle mele. Se c'è un elemento imprescindibile nel rap e dunque nella cultura espressa da quei film è l'emotività. L'inverosimiglianza di Zeta finisce per incidere negativamente anche sulla trasmissione di ciò che in casi come questo dovrebbe contare veramente: le emozioni. L'ultima arma vincente a cui possono appellarsi Alemà & Co. è la simpatia, quella del giovane protagonista ma soprattutto di Salvatore Esposito che dopo aver visto interpretare la parte del temibile boss Genny Savastano in Gomorra - La Serie ritroviamo negli improbabili panni di un rapper, buffo ma pur sempre carismatico.

Movieplayer.it

2.5/5