Recensione Cesar Chavez (2014)

Il Cesar Chavez di Diego Luna è un uomo vicino al suo popolo, legato alla tradizione, ma anche profondamente moderno.

Huelga

Cinema militante allo stato puro quello di Diego Luna. Il regista, qui al suo secondo lungometraggio (se non si conta il documentario sul pugile J.C. Chavez), torna dietro la macchina da presa per raccontare la vita di César Chávez, celebre sindacalista nativo dell'Arizona, ma di origine messicana che, insieme a Dolores Huerta, convinse i braccianti agricoli immigrati in California a unire le forze confederandosi nel Sindacato Nazionale dei Contadini. César Chávez abbraccia il periodo compreso tra il 1962 e il 1973 raccontando gli eventi salienti della lotta. Il film si apre con le proteste dei lavoratori agricoli culminate, nel 1965, nello Sciopero dell'uva di Delano, quando Chávez prova a coordinare le proteste spontanee dei braccianti filippini e messicani convincendoli a operare sotto l'egida del neonato Sindacato Nazionale dei Contadini (United Farm Workers). Chávez, a sua volta ex bracciante, incita i compagni di lotta a ribellarsi e aderire a marce, proteste, scioperi e boicottaggi rigorosamente non violenti. Per convincerli che la lotta non violenta è l'unica possibilità di vittoria, nel 1968 Cesar intraprenderà uno sciopero della fame durato 25 giorni e sostenuto da Robert Kennedy in persona. I due furono protagonisti di un commovente incontro, avvenuto pochi mesi prima dell'assassinio del senatore Kennedy, ricostruito in una delle scene più intense del film. Durante lo sciopero della fame, Chavez coniò il celebre motto "Si, se puede", ripreso quarant'anni dopo, in omaggio alla sua figura, da Barak Obama.

Una storia americana che profuma di Messico

Per Diego Luna Cesar Chavez è la prima regia in lingua inglese. L'autore stesso ci tiene a ricordare come quella del sindacalista sia una storia americana al 100%, che coinvolge gli immigrati impegnati nell'industria che fornisce il cibo alla popolazione. Il suo film, però, profuma di Messico per stile, atmosfere e contenuti. La fotografia polverosa e lievemente desaturata, la luce solare che invade ogni inquadratura, le marce al ritmo dei canti popolari di rivolta, la lingua spagnola usata come marchio. Quel huelga (sciopero) gridato con orgoglio di fronte alla polizia intenta a disperdere a colpi di manganello i manifestanti. Pur essendosi trasferito da tempo a Los Angeles, Diego Luna è profondamente legato al proprio paese d'origine e riversa tutto l'amore per la sua gente in una pellicola di alto valore sociale. César Chávez è un film rigoroso, che non concede spazio alla spettacolarizzazione, né idealizza la figura del sindacalista contadino. Michael Peña lavora per sottrazione. La sua interpretazione, intimista e spesso dimessa, mette in luce il lato umano di Chávez privandolo di ogni aura mitica. Cesar si rivela un uomo dedito alla causa, pronto a sacrificare la propria famiglia per essa e, addirittura, la propria vita. Le sue decisioni si ripercuotono sulla battagliera moglie (interpretata da America Ferrera), ma a soffrirne è soprattutto il figlio maggiore, a cui pesa l'assenza del genitore.

United we stand

Il César Chávez di Diego Luna è un uomo vicino al suo popolo, legato alla tradizione, ma anche profondamente moderno. Le sue trovate di marketing, dalle vignette utilizzate per diffondere gli ideali della lotta anche tra i contadini illetterati al Vino della Vittoria, imbottigliato durante il boicottaggio dell'uva californiana, dal lavoro capillare per portare dalla propria parte gruppi organizzati di tipo religioso, sociale, studentesco fino al celebre viaggio a Londra in cui si assicura il sostegno del governo inglese che aderisce al boicottaggio nei confronti dei produttori californiani, si dimostrano efficaci e ingegnose. Nonostante la cura dei dettagli, Michael Peña si rivela interprete diligente, ma non sufficientemente carismatico per infiammare l'animo dello spettatore. Al suo fianco appare piuttosto appannata anche la figura di Dolores Huerta, pasionaria cofondatrice del sindacato interpretata da Rosario Dawson costretta, da una sceneggiatura poco generosa nei suoi confronti, a un ruolo di contorno. Mentre a John Malkovich va il ruolo del cattivo di turno, un produttore di frutta di origine greca dall'improbabile capigliatura, la più convincente, nel cast, è l'appassionata America Ferrera. In un'epoca di crisi, disocupazione e polemiche sull'immigrazione, come quella attuale, César Chávez è un film necessario, rappresenta una boccata d'aria perché aspira a fornire un modello da seguire, elevando la discussione politica. Biopic solido, sincero e diretto, il film è, però, limitato da una sceneggiatura poco ambiziosa che affastella eventi senza lavorare sulle forti emozioni. Diego Luna si conferma in crescita come regista, ma con uno script più coraggioso e meno politically correct avrebbe potuto volare più alto.

Movieplayer.it

3.0/5