Siamo tutti osservati. Sempre. Sembra volerci dire questo Rabbit Hole, la nuova serie con protagonista Kiefer Sutherland che lo ha fatto tornare in tv questa volta su Paramount+. La serie ha anche permesso all'attore, figlio d'arte, di fare ritorno al genere a lui più congeniale di 24, lo show che lo lanciò all'inizio del nuovo millennio, praticamente una seconda pelle televisiva, dopo le parentesi di Touch e Designated Survivor. Ma il vero merito di Rabbit Hole va ricercato nella sua struttura innovativa per un genere apparentemente saturo come quello spionistico e nelle tematiche che è riuscito a portare alla luce col proprio racconto, come mi avevamo anticipato nella recensione dei primi episodi. Proseguendo nella visione, ci siamo accorti che due erano i punti di forza principali di questo show e ora ve li illustriamo in questo speciale sul perché dovreste recuperare subito Rabbit Hole su Paramount+.
Colpi di scena
I plot twist in una spy story sono ovviamente importanti, perché sono parte del tessuto narrativo del genere. In Rabbit Hole sono ancora più efficaci perché sono costruiti ad arte e sono continui. La verità non è davvero mai quella che sembra e ogni personaggio potrebbe essere un doppiogiochista, fino alla fine. Non è un elemento da sottovalutare perché sono davvero pochi i prodotti (film o serie che siano) in ambito thriller e spionistico che riescano a tenere incollato lo spettatore sulla sedia e farlo sobbalzare quando un personaggio che credeva morto è in realtà vivo, o viceversa, oppure proporre dei cliffhanger di fine puntata che davvero facciano venire voglia di passare subito alla successiva. Rabbit Hole incredibilmente ci riesce.
Parte del merito poi va sicuramente al carisma di Kiefer Sutherland che si vede chiaramente come sia a proprio agio in questo tipo di ruolo, e nella chimica creata con Charles Dance, che interpreta per l'ennesima volta un padre problematico e respingente. Il finale poi è l'apoteosi della presa in giro (in senso positivo) verso lo spettatore, che come ci diceva il buon Nolan in The Prestige alla fine vuole essere ingannato, vuol rimanere fregato dallo spettacolo messo in scena: per anni Weir ha finto di essere legato ad una persona che non è in effetti chi dice di essere in modo che quando qualcuno l'avesse usata come esca, si sarebbe trovato di fronte in realtà un agente pronto all'azione. Senza dirlo a nessuno, pur di mantenere intatta la copertura. Se non è strategia a lungo raggio questa.
Rabbit Hole: ecco dove hai già visto i membri del cast della nuova serie con Kiefer Sutherland
Grande Fratello
Il cospirazionismo funziona quasi sempre in tv e al cinema perché ci mette di fronte alle nostre paure più recondite sull'essere controllati sistematicamente e continuamente attraverso i dispositivi che usiamo e attraverso i contratti digitali che accettiamo senza troppo pensare alla privacy e alle clausole in essi inserite. L'indagine di Weir e degli altri che vi si trovano coinvolti fa emergere sempre più una responsabilità di controllo da parte del governo statunitense e una possibile (e non così irrealistica) legge che permetta a chi ha il monopolio dei dati degli utenti di farne l'uso che preferisce, perché vengono letteralmente "donati" e condivisi da parte dei cittadini col loro benestare. Ce ne accorgiamo spesso che la tecnologia ci osserva in un certo senso, che ascolta le nostre conversazioni e ci propone sui vari device pubblicità targetizzate di ciò di cui abbiamo parlato un minimo prima, e altri esempi quotidiani di questo tipo.
In questo scenario quasi inquietante ma terribilmente realistico, poco distopico e anzi molto ancorato alla realtà attuale, si muove Rabbit Hole che fin dal titolo ci ricorda come la cospirazione ci possa far arrivare facilmente alla paranoia, tanto da non riuscire più a distinguere il falso dal vero. Ed è proprio su questo, con un ritmo decisamente avvincente, una sequela di colpi di scena ben posizionati lungo il percorso e una costante sensazione di oppressione e claustrofobia dal non riuscire a prevedere la prossima mossa dei vari personaggi che la serie tiene incollati allo schermo.
Si affronta anche l'aspetto psicologico del trauma e della paranoia, ma tutto è tenuto in piedi soprattutto dall'aspetto familiare che funziona molto nelle spy story, come insegna Alias a cui questa serie deve molto per la struttura sui colpi di scena e per le relazioni tra i personaggi. A 24 deve invece deve il ritmo e l'ancorarsi fortemente alla realtà. Anche le operazioni che mette in atto Weir con la sua squadra o che metteva in atto con Valence (Jason Butler Harner) sono non solo al limite della legalità ma soprattutto ci ricordano quanto le persone siano molto più facilmente influenzabili e indirizzabili di quanto si pensi, in una sorta di isteria collettiva. La Tana del (Bian)Coniglio è qualcosa di molto pericoloso da esplorare... se non si hanno gli strumenti giusti per farlo.