Sono state poche le pellicole in grado di rivoluzionare il linguaggio cinematografico al punto da indirizzarne le decadi successive in modo così seminale come nel caso di Pulp Fiction. Guardando il capolavoro di Quentin Tarantino a 30 anni di distanza si è nella posizione di poter affermare che esso non ha solo consacrato un movimento, ma che ha anche cambiato per sempre il cinema, determinando in modo sostanziale il panorama contemporaneo.
Il film del 1994 è uno di quei cult in grado di generare letteratura tanto nei riguardi di ciò che lo ha originato, quanto su come è stato fatto, com'è partito e le varie vicissitudini che ne hanno portato alla produzione, definendo uno spaccato rappresentativo di un sovvertimento epocale destinato a smontare le sicurezze di Hollywood, e non solo.
Nato come la fantasia antologica di due impiegati del videonoleggio Manhattan Beach Video Archivies in cui poter condensare tutte le loro passioni cinematografiche (in quel caso per lo più polizieschi) solo per ribaltarne completamente le regole. Il titolo è stato plasmato nella mani di Tarantino in 160 pagine di sceneggiatura (!) nelle quali ha trovato una forma compiuta senza perdere lo spirito originale. Uno spirito che lo ha reso "un film pieno di altri film". Un cinema che vive di se stesso e degli immaginari che ha creato nel corso del tempo. Un manifesto postmoderno in grado di influenzare tutto ciò che è venuto dopo.
Pulp Fiction? Un film, cento film
Una delle poche cose autobiografiche contenute in Pulp Fiction sta nel racconto del Vincent Vega di John Travolta, un gangster appena tornato da Amsterdam dopo tre anni, città dove Tarantino ha terminato lo script definitivo del film durante un soggiorno gentilmente offertogli della Jersey Film di Danny DeVito. L'attore statunitense fu colui che più di tutti si batté per la pellicola fino a condurla nelle mani di Harvey Weinstein, che decise di produrla..
È una delle poche cose autobiografiche, dicevamo, perché uno dei segreti del film è quello di vivere in una realtà cinematografica fin dal suo incipit. Il fil rouge fondante della filmografia tarantiniana, che lo ha portato alle derive dichiaratamente revisioniste del suo ultimo periodo. Nessuna delle storie del cineasta di Knoxville è ambientata in un mondo al di fuori del grande schermo. Questo è anche il motivo di tutte le speculazioni che vogliono i suoi film in un certo senso posti nello stesso, grande, universo: è così, lo sono.
Una trovata rivoluzionaria che ha mosso la penna di Quentin Tarantino e Roger Avary fin dall'idea dei primi soggetti e che ha portato il primo a completarlo pensando non solo a tutti i rimandi cinematografici che voleva inserire al suo interno (dal cinema d'exploitation a quello di Sergio Leone passando per il kung fu movie, da Milano Calibro 9 e Un bacio e una pistola a 8½, Bande à Part e American Boy, passando per Mishima - Una vita in quattro capitoli), ma anche agli attori, come Tim Roth, Uma Thurman, Samuel L. Jackson, Harvey Keitel e John Travolta. Le cronache ci dicono, infatti, che l'unica star presente nella pellicola fu anche l'unica non scelta dall'inizio, ma entrata in seguito, Bruce Willis. Vitale, secondo Weinstein, per vendere il film.
La rivoluzione di Tarantino
Il budget finale di Pulp Fiction si assestò intorno agli 8 milioni di dollari totali, già ripagati grazie alla presenza di Willis, mentre l'incasso totale del film superò i 200 totali, più di 100 solo negli Stati Uniti. Un record assoluto per il cinema indipendente, che lanciò la Miramax (all'epoca sotto l'egida della Disney) nel firmamento e stravolse il volto e i rapporti di forza dell'industria cinematografica americana.
Le rivoluzioni non sono mai viste di buon occhio dai reazionari di turno (che non è sinonimo di anziani, basti guardare al peso rilevante che ebbe Clint Eastwood nel percorso del film) e non sono mai neanche particolarmente silenziose. Il caso di Tarantino, essendo Tarantino, non poteva certo fare eccezione in questo senso. Pensate solamente al dito medio al momento del ritiro della Palma D'oro alla 47esima edizione del Festival del Cinema di Cannes o al suo speech al momento della premiazione agli Oscar per la migliore sceneggiatura.
Il successo della pellicola, così radicale e plebiscitario, cambiò tutto. Il capolavoro di Quentin Tarantino è a tutti gli effetti il titolo più influente degli anni Novanta e il manifesto del movimento postmoderno nella sua accezione più commercialmente osannata. Tutto ciò che è venuto dopo, che sia proveniente da una nicchia autoriale o da uno studios ricco e potente, ha dovuto fare i conti con ciò che il film del 1994 ha originato. Ancora oggi i nostri dibattiti, le nostre discussioni su futuro e passato recente del cinema, sulle nuove commistioni di genere, sui cortocircuiti del linguaggio e sulle sue potenzialità ci sono perché c'è stato Pulp Fiction. Di fatto, quando parliamo del cinema di oggi, parliamo sempre anche di Pulp Fiction.