Pippo Mezzapesa e le sue spose infelici debuttano al Festival di Roma

L'epica della Puglia e dell'adolescenza nell'opera d'esordio di Pippo Mezzapesa, visionario talento registico che porta al cinema il romanzo di Mario Desiati.

Nella Puglia assolata si consuma l'amicizia tra una banda di ragazzini provenienti da famiglie ed estrazioni sociali diverse, ma accomunati dalla stessa passione per il calcio e per la sete di vita e di esperienza. Questa è la trama del romanzo di Mario Desiati Il paese delle spose infelici, che approda in concorso al Festival del Film di Roma grazie al conterraneo Pippo Mezzapesa, giovane regista che ha all'attivo il falso documentario Pinuccio Lovero - Sogno di una morte di mezza estate, qui al suo esordio nel lungometraggio. Mezzapesa presenta a Roma il suo film, che concorre per il Marco Aurelio d'Oro, insieme al giovane cast formato in parte da attori non professionisti, al produttore Domenico Procacci e allo scrittore Mario Desiati.

Pippo, come è nata questa storia? Pippo Mezzapesa: Ho amato molto il romanzo di Mario Desiati. In particolare mi ha colpito l'atmosfera che avevo cercato di raccontare anche nei miei film precedenti. I personaggi si trovano a vivere quel momento di passaggio e di scelte da fare che è l'adolescenza. Un autore che amiamo sia io che Desiati definiva l'adolescenza "il più crudo dei tormenti". Per i miei giovani è un momento di scelte, ma anche per la protagonista femminile che si trova a vivere una seconda adolescenza. Sono momenti comuni a molti. In più mi ha colpito l'ambientazione del romanzo, la provincia di Taranto, un territorio avvelenato, che possiede una bellezza arcaica, ma ferita.

Mario, Veleno sei tu? Mario Desiati: In parte si, ma Veleno è anche Pippo perché entrambi proveniamo dalla stessa terra, dalle stesse passioni. Mentre vedevo il film ho avuto 82 minuti di déjà-vu, ho vissuto l'unica seduta di terapia in cui sono pagato per essere psicanalizzato invece di pagare io. A me piace che le mie opere, al cinema, diventino altro, non sono di quelli che criticano e si lamentano dei cambiamenti.

Col calcio tornano elementi presenti già nei tuoi corti Pippo Mezzapesa: Il calcio periferico, col campo, la terra, il gioco, è il luogo ideale in cui far nascere le amicizie. Qui vengono meno le differenze sociali, anzi, conviene spogliarsi dalle proprie vesti borghesi per sporcarsi di fango, di vita e di realtà. E' ciò che Veleno tenta di fare nel film, fuggire dalla propria vita.

Quanto il territorio ha inciso nel racconto? Sembra che tu sia voluto sempre restare entro un limite ben preciso
Il contrasto è alla base della storia, sia il contrasto interiore, che vivono i personaggi che quello esteriore, restituito dal territorio. La natura incontaminata si fonde con la natura violata in un campo/controcampo naturale. La provincia di Taranto era l'unico luogo possibile in cui girare il film, qui si mantengono in equilibrio le vite dei vari personaggi.

Cosa si prova a essere in concorso a Roma con la tua opera prima di fiction?
Partecipare a questo festival è un'esperienza molto bella. E' un punto di partenza, ma anche d'arrivo perché è una soddisfazione per chi ha lavorato tanto a un progetto vederlo concretizzato. La cosa più bella, però, è vedere l'emozione dei miei attori che sono qui per la prima volta di fronte al pubblico e alla stampa.

Domenico, cosa pensi di questo approccio della pugliesità? Hai scelto di produrre il film perché è legato alle tue origini? Domenico Procacci: L'approccio dela pugliesità è qualcosa che mi viene sempre chiesto. Tempo fa mi è arrivato un copione con su scritto "se vuoi una storia pugliese eccola". Io non voglio una storia pugliese, voglio una storia che faccia emozionare. L'ambientazione non è un motivo per fare un film. Nel tempo dalla Puglia sono nati molti talenti, ma ora per fortuna la regione comincia a trattenerne qualcuno.

Pippo Mezzapesa: La Puglia è un pretesto. Questa è una storia universale, una storia italiana. Mi sono concentrato su un momento amorfo come gli anni '90 in cui sembra che sia nato tutto: la violenza del linguaggio, un certo populismo, la deriva attuale. Era anche un momento in cui era difficile trovarsi, nel senso letterale del termine. Non esistevano i telefonini e l'amicizia era qualcosa da conquistare. Il messaggio che il film contiene non è un invito ad abbandonare la Puglia che anzi, ora sta vivendo un momento molto positivo. Oggi ci sono opportunità che io, solo pochi anni fa, non potevo avere. La Puglia è stata afflitta da una dispersione di intelligenze e ora ha fame di talenti. Per quanto mi riguarda sento forte la necessità del ritorno per portare in Puglia ciò che le era stato portato via.

I ragazzi sono il focus del film, ma perché gli adulti sono così sfuggenti o sono visti in modo negativo?
Gli adulti rappresentano una sorta di destino ineluttabile a cui i giovani cercano di sfuggire, sono ciò che i ragazzi non vorrebbero mai diventare. Il mondo adulto, per questo motivo, viene rappresentato in modo negativo. A volte questo mondo sarebbe meglio evitarlo anche nella realtà.

In cosa la tua esperienza precedente come falso documentarista ti ha aiutato e in cosa hai tradito il romanzo di Mario?
Il documentario mi ha aiutato nel riuscire a osservare la realtà, a catturare ciò che c'è di forte e di stimolante. Ho cercato di sfruttare sia la mia esperienza di documentarista che quella maturata in anni di corti, una vera palestra per imparare a raccontare delle storie e le evoluzioni dei personaggi. Il tradimento del romanzo è stato molto forte all'inizio, è stata una vera e propria scarnificazione perché quello che volevo fare era preservare l'atmosfera del racconto arrivando al cuore dei personaggi. Ho tradito per non tradire.

Come hai trovato i giovani protagonisti?
Il casting è stato molto lungo e laborioso. Abbiamo setacciato la Puglia in lungo e in largo cercando nelle associazioni calcistiche, nelle periferie, là dove si rifugia l'umanità più variopinta. Volevamo qualcuno che restituisse questa immagine varia e in più che avesse la forza per affontare l'esperienza del set. Con questi attori è come se ci fosse stata una seconda scrittura del film reinventata dalla loro vitalità e dalle loro difficoltà.

Nel film le musiche hanno una grande importanza. Come hai lavorato per ottenere una colonna sonora così efficace?
Gran parte della musica è stata pensata già in fase di sceneggiatura. Intere sequenze sono state ispirate dalla musica, come la scena calcistica. Ho cercato di rendere l'epica sportiva piazzando la macchina da presa sui muscoli tesi dei giocatori e astraendo il tutto dalla realtà, dal resto del racconto. La stessa cosa è avvenuta per la follia del finale che crea un contrasto enorme col resto del film.