Potremmo iniziare questa recensione di Pinocchio parlandovi di un progetto rivoluzionario, ma sarebbe una bugia e il nostro naso diventerebbe più lungo di quello del celebre burattino. La verità, e la Fata Turchina ci è testimone, è che questo film kolossal di Natale (quasi) tutto italiano è un adattamento (parzialmente) molto fedele della favola di Carlo Collodi, un vero e proprio ritorno alle origini.
Dopo che per decenni lo abbiamo visto nelle versioni più disparate - e, soprattutto, disperate nell'improbabile ricerca di una qualche originalità - questo Pinocchio 2019 di Matteo Garrone torna ad essere un film per tutti, una favola per famiglie. Forse non esattamente quello che noi cinefili avremmo desiderato da uno dei più grandi registi italiani contemporanei ma, probabilmente, l'unica versione possibile che potesse avere ancora senso oggi.
Una trama che tutti conosciamo
La storia di Pinocchio la conosciamo tutti. Sappiamo del ceppo di legno magico da cui Mastro Geppetto ricava il suo figliolo, del temibile ma emotivo Mangiafuoco, dell'insopportabile saputello Grillo-parlante, così come di Lucignolo, del paese dei Balocchi e del terribile Pesce-Cane. A livello di trama, quasi nulla di quello che ci viene raccontato da Garrone è poi così diverso da quanto abbiamo già letto e visto più e più volte: mancano alcuni capitoli del romanzo di Collodi, qualche piccolo ma insignificante elemento è cambiato o spostato cronologicamente per mera necessità, ma nulla di più. La sceneggiatura firmata da Garrone e Massimo Ceccherini non prevede stravolgimenti o (re)interpretazioni, semplicemente perché lo scopo del regista è sempre stato quello di rendere omaggio ad un grande classico dell'infanzia di tutti noi, di farci tornare un po' bambini e ritrovare quella felicità e quell'innocenza che in parte abbiamo perduto.
Pinocchio al cinema, da Walt Disney a Matteo Garrone
Un mondo da favola, ma dai tratti grotteschi
Dove Garrone ci mette del suo, è nelle immagini. Se la storia non ha bisogno di grandi aggiustamenti, il regista romano si ritaglia, quindi, quasi un ruolo da illustratore: il suo Pinocchio è un insieme di tanti tableau vivant - alcuni bellissimi e molto ispirati, altri, in verità, un po' meno - che affondano le loro radici non solo nella favola di Collodi ma nell'arte pittorica e nei disegni che da più di un secolo hanno accompagnato questo grande capolavoro della letteratura. Il lavoro sugli ambienti e in particolare sui personaggi è superbo: le maschere prostetiche di tutti i personaggi (a cura del doppio premio Oscar britannico Mark Coulier) sono perfette e riescono a conferire al tempo stesso un aspetto realistico ma anche grottesco ai bizzarri compagni di (dis)avventure del burattino. Esattamente come si confà ad una favola magica ma dai tratti anche un po' dark. Il vero capolavoro è comunque la resa pressoché perfetta del piccolo protagonista: non tanto per l'interpretazione (comunque buona) del piccolo Federico Ielapi, ma per il lavoro fatto su di lui, ogni giorno di riprese, per tre ore di trucco. Il risultato è forse il miglior Pinocchio live action che si potesse immaginare: legnoso tanto nei movimenti che nei suoni, ma vivo e irrequieto come solo i (veri) bambini sanno essere.
Roberto Benigni, un Geppetto che scalda il cuore
Veniamo infine a Roberto Benigni, pomo della discordia (sui social quantomeno) a causa del suo vecchio e infelice progetto del 2002 in cui interpretava proprio Pinocchio. Qui Matteo Garrone gli consegna il ruolo di Geppetto e gli fa un grandissimo regalo, perché al premio Oscar toscano mancava da tanto tempo una presenza sul grande schermo degna della sua fama. Il suo Geppetto rappresenta l'aspetto più umano del film e ci ricorda come l'intera favola non potrebbe esistere senza quel padre amorevole, senza la sua disperata ricerca per quel figliolo "nato" per magia ma che, anche per poche ore, è stato in grado di regalargli gioia e felicità e soprattutto un nuovo scopo, una nuova vita.
Benigni è l'attore ideale per questo ruolo fatto di puro amore ed è, indiscutibilmente, anche la cosa migliore del film: lo sguardo del regista nei confronti di Geppetto è forse l'elemento più propriamente autoriale di questo Pinocchio e non è difficile, durante le scene che vedono coinvolto Benigni, ritrovarsi a pensare come sarebbe stato un film di Matteo Garrone incentrato proprio sulla figura del falegname e non sulla creazione di Pinocchio. Forse un progetto del genere sì che avrebbe potuto scaldare il cuore non solo dei bambini e degli spettatori natalizi, ma anche dei cinefili che in Garrone vedono giustamente un grande autore. Forse il suo Pinocchio avrebbe potuto trovare così quell'anima che sembra mancargli. Forse, solo forse, adesso potremmo parlare addirittura di un gran film, se non di un capolavoro, invece che accontentarci di un "semplice" buon e fedele adattamento che rende onore alla favola di Collodi, ma molto meno al grande Cinema a cui il regista ci aveva abituato.
Roberto Benigni: da Pinocchio a Geppetto nel nome di Collodi
Conclusioni
Da questa recensione di Pinocchio, ne siamo consapevoli, traspare delusione. Ma non è una delusione data dal risultato finale, anche perché il film ha comunque tante qualità, ma dalle potenzialità inespresse che un progetto del genere sembrava portarsi appresso fin dagli annunci. Matteo Garrone è tutto fuorché un autore banale, eppure davanti ad un classico immortale come quello di Collodi sembra essersi arreso in partenza; oppure semplicemente non era mai stato davvero interessato a fare nulla di diverso da quello che oggi, dopo tante chiacchiere, arriva in sala: un film per famiglie, una favola per adulti e bambini.
Perché ci piace
- La confezione è ottima: fotografia, scenografie e soprattutto il trucco sono una meraviglia per gli occhi.
- Roberto Benigni è un Geppetto perfetto: quando c'è lui in scena, il film guadagna in emozioni e sincerità.
- Interessante l'idea di tornare alle origini e adattare il più fedelmente possibile la fiaba di Collodi...
Cosa non va
- ... peccato che in questo modo, anche a causa di una storia che tutti noi conosciamo a memoria, il film risulti spesso troppo freddo e poco coinvolgente. Almeno per un pubblico adulto e più cinefilo.
- Il cast, pur ben assortito, non sempre è sfruttato al meglio: il Mangiafuoco di Proietti ha un minutaggio risibile, tanto da sembrare quasi sprecato.
- Da un regista quale Matteo Garrone sarebbe stato lecito aspettarsi qualcosa di più.