Per Giuseppe Ferlito, Presto farà giorno

Il regista padovano esordisce nel lungometraggio con un film di genere sulla solitudine giovanile. Nel cast Ami Codovini, Valerio Morigi e Ludovico Fremont

Il fatto di dirigere un'opera prima non è necessariamente sinonimo di inesperienza cinematografica. E a dimostrarlo è anche Giuseppe Ferlito che, dopo più di dieci anni trascorsi sui set di personaggi come Ermanno Olmi, Steven Soderbergh, Roland Joffé, Carlo Vanzina e Vincenzo Salemme, decide di mettere insieme tutte queste esperienze diverse per firmare la sua prima regia. Così, dopo due anni di lavoro e cinque settimane di riprese, il 20 febbraio, distribuito in 50 copie, arriva sugli schermi il suo Presto farà giorno, una storia giovanile in cui si ricostruiscono i percorsi diversi e meditati di due giovani protagonisti. Da una parte abbiamo Mary, un'adolescente economicamente privilegiata ma costantemente in lotta con una madre assorbita dal proprio lavoro e dal tentativo di far quadrare tutto. Dall'altra, invece, si delinea la personalità di Loris, di ceto sociale inferiore e alla costante ricerca di una soluzione facile con cui risolvere la propria vita e quella della sua ragazza. Le loro strade, però, sembrano destinate a prendere direzioni diverse nel momento in cui Mary, rinchiusa in una clinica in seguito ad un uso eccessivo di droga, si scontra con una umanità ferita di cui non conosceva l'esistenza. A comporre questo giovane cast sono Ami Codovini, Valerio Morigi, Ludovico Fremont e Chiara Caselli nel ruolo di Laura, la madre di Mary.

Esordio di genere

Scegliere la tematica e il linguaggio giusto con cui esordire non è semplice, soprattutto se nel corso della propria carriera si ha avuto la possibilità di conoscere più stili. Da parte sua, però, Giuseppe Ferlito preferisce affidarsi ad un film di genere per raccontare una vicenda allo stesso tempo dura e commovente. " Il mio desiderio era di narrare tutto con voce chiara e senza perbenismi. Sottolineare, soprattutto, come ci si possa sentire isolati all'interno di una solitudine emotiva, mentre il contatto con gli altri ci permette di mutare profondamente la nostra natura. La clinica per Mary, ad esempio, è il luogo che le permette di portare a termine delle evoluzioni personali. Perché è il contatto con gli altri che può cambiare il nostro destino." Ambiguità e claustrofobia
Elementi centrali di questo racconto moderno sono dei personaggi tanto giovani quanto indefiniti e costretti in situazioni e ambienti soffocanti. " La mia Mary si confronta costantemente con diverse realtà - dichiara la protagonista Ami Codovini - ed ognuna di queste ha apportato un valore nella sua crescita. Ad esempio, nella figura fragile e quasi inconsistente di Nina, malata di anoressia, lei ritrova qualcosa di materno, mentre nel suo rapporto con Loris cerca di avvicinarsi alla figura maschile totalmente assente dalla sua vita famigliare. Si tratta di una ragazza fragile e normale che, però, non sa quale strada prendere." Ad Ami risponde Valerio Morigi che descrive il suo Loris così: "Non credo che sia ambiguo, penso solo che sia determinato a raggiungere un'affermazione veloce in un contesto sociale che non gli ha sorriso fin dall'inizio.Così trova nelle amicizie sbagliate una condanna ma che poi saranno anche la sua salvezza. E' evidente che i personaggi sono caratterizzati tutti da scelte sbagliate e nei ragazzi e più evidente che negli altri." Chiude il cerchio degli interpreti più giovani Ludovico Fremont dicendo: " Io credo che il film sia stato scritto in modo molto raffinato riuscendo a raccontare dei personaggi anche con pochi tratti. Il mio, ad esempio, si trova ad un bivio in cui deve scegliere tra l'affetto per un amico e la fedeltà al suo lavoro. Ed i giovani tendono a non voler far scelte, prendendo sempre la via più breve."

Raccontare la malattia

Il film prende tocca tematiche molto delicate nel momento in cui accompagna il personaggio di Mary all'interno di una clinica per malattie mentali e disturbi del comportamento. Il rischio sarebbe stato di cadere nell'approssimazione, ma il regista Giuseppe Ferlito ha utilizzato una sua esperienza giovanile per trattare l'argomento. " Da ragazzo sono stato molto vicino a degli amici che, per risolvere dei problemi di tossicodipendenza, sono stati ricoverati in una clinica a Padova con delle persone affette da altre problematiche. Così, quando ho deciso di raccontare questa storia, sono tornato sul posto a parlare con i medici e ad informarmi sulle varie procedere. Volevo raccontare qualcosa che per me fosse terapeutico ma che non si allontanasse dalla realtà."