Napoli è la città più bella del mondo. Chi scrive ne è convinto, così come è convinto che sia anche tra le più problematiche, complesse, difficili da vivere. Probabile che lo pensi anche Paolo Sorrentino che, come chi scrive, da Napoli è andato via. Negli ultimi anni ci è però tornato, almeno cinematograficamente, girandoci e ambientandoci È stata la mano di Dio prima e Parthenope oggi, presentato in concorso al Festival di Cannes 2024. Se Sorrentino torna a Napoli, quindi, torna anche sulla Croisette, la sua casa cinematografica almeno fino al film realizzato per Netflix, per una collaborazione che l'aveva invece spinto verso Venezia. E per questo ritorno in Francia, Sorrentino, è tornato anche all'approccio filmico a cui ci aveva abituato, che aveva in parte ridimensionato per È stata la mano di Dio assecondando il tono più intimo e personale di quella storia: Parhenope è un Sorrentino potente, complesso, stratificato, da analizzare e approfondire, di cui sicuramente parleremo ancora dopo avervi dato le nostre prime impressioni in questa recensione.
La nascita di Parthenope
Il nuovo film di Paolo Sorrentino racconta e segue la vita di Parthenope dalla nascita, nel 1950, ad oggi. Un lungo viaggio, un'esistenza mossa dalla passione, dall'amore, dalla libertà, soprattutto, che segue l'onda dell'istinto, cambia rotta e meta, passando per l'inesorabile rapidità della gioventù che si concretizza in una fulgida estate a Capri, per gli anni dell'università, per sogni e delusioni, per risposte pronte e domande esistenziali. Tutte le sfumature dell'esistenza nel cammino di una vita che incrocia la variegata e variopinta umanità di Napoli, che ce ne bagna sin dall'inizio, dalla nascita sullo sfondo di una delle cartoline più famose al mondo. Un viaggio, e non è un caso che tutto inizi da una carrozza, che sa essere tanto memorabile quanto ordinario e comune.
Chi è Parthenope?
Né è un caso che sia lì, sullo sfondo di quella Napoli che a Parthenope dà il nome. Non potrebbe essere altrimenti, né per la storia che Paolo Sorrentino ci racconta, né per il personaggio stesso, perché c'è un'ideale sovrapposizione tra la donna interpretata da una sorprendente e bravissima Celeste Dalla Porta e la città. Simboleggia Napoli nell'idea filmica di Paolo Sorrentino? Forse. O forse si tratta di una simbologia più ampia, astratta, sfumata. Forse la protagonista di Parthenope ci parla del rapporto di Sorrentino con Napoli, più che della città in quanto tale, anche se, come Napoli, è tutto è niente, ha bellezza e istinto, risposta pronta, ma una sagacia che sembra restare solo in superficie.
Paolo Sorrentino parla di Napoli come forse non ha mai fatto prima, evidenziandone la innata teatralità, bellezze e contraddizioni, eccessi ed estremi, derive e illusioni. Malinconia e ironia. Lo fa attraverso la sua Parthenope, ma anche attraverso le tante figure che la circondano, a partire da uno sempre straordinario Silvio Orlando, attore prezioso, che sa dare il giusto peso a ogni parola, a ogni frase e sguardo, incarnando il gusto per la battuta dello stesso regista partenopeo. È cuore e anima del film tanto quanto la Parthenope di Celeste Dalla Porta, come è riuscito a esserlo anche negli altri progetti di Sorrentino a cui ha preso parte.
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Lo sguardo su Napoli e un'altra grande bellezza
Più che in È stata la mano di Dio, Paolo Sorrentino indugia su Napoli, sulla sua bellezza. Ci mostra la città, i suoi spaccati, i suoi panorami, i suoi luoghi e la sua umanità come aveva fatto con Roma ne La grande bellezza. Il suo è uno sguardo privilegiato, lo stesso della sua Parthenope, che parte dal mare e la scruta, almeno inizialmente, con ammirazione e incanto: ne vediamo l'incredibile luce, gli immensi colori, ne restiamo abbagliati e ammaliati. Una fascinazione che si assottiglia con la crescita di consapevolezza di Parthenope, che ci porta a immergerci nel cuore pulsante della città, di vederne le ombre oltre che le luci, di percepirne sapori e odori, altre sfumature di bellezza ma anche di marciume.
Non tutto torna, alcuni passaggi ci sono sembrati meno fluidi che in altre opere di Paolo Sorrentino, alcuni snodi troppo bruschi o poco naturali. Ma è un'opera complessa Pathenope, affascinante e stordente, da vedere e rivedere, per capire se quelli che in prima battuta ci sono sembrati difetti sono in realtà livelli di profondità che non siamo ancora riusciti a cogliere. Lo faremo non appena avremo l'occasione, perché di una cosa siamo stati sicuri non appena terminata la visione: lo avremmo subito voluto guardare di nuovo, dall'inizio. Non ci capita con ogni film, e in questo Paolo Sorrentino ha già fatto gol. Ancora una volta.
Conclusioni
È un’opera affascinante e complessa Parthenope di Paolo Sorrentino, ennesimo titolo degno di nota e ammirazione di una filmografia straordinaria. Saremmo disonesti, soprattutto con noi stessi, se non evidenziassimo alcuni difetti, alcuni passaggi che ci sono parsi meno fluidi che in passato, ma il risultato è un film che vorremmo rivedere sin da subito, per assaporarne ancora ogni immagine, ogni inquadratura, e studiare quelle sfumature che in prima battuta potrebbero essere sfuggite. Ottima la prova di Celeste Dalla Porta come protagonista, ma menzione speciale per il solito immenso Silvio Orlando.
Perché ci piace
- Lo sguardo di Paolo Sorrentino, su Napoli e sull’umanità dei personaggi.
- La prova di Celeste Dalla Porta nel ruolo di protagonista, ottima scoperta del regista napoletano.
- Silvio Orlando, sempre un valore aggiunto incredibile.
- La forza e insieme naturalezza dei dialoghi.
Cosa non va
- Alcuni passaggi ci sono sembrati meno fluidi e riusciti che in altri film del regista.