Siccità sarà un film coraggioso, soprattutto per i temi trattati, ma coraggiosa è l'intera filmografia di Paolo Virzì. Perché se in Italia c'è stato chi ha raccontato con ironia e sagacia la miseria della nostra generazione è il regista toscano, che creando quel sempre savio connubio tra una lettura contemporanea della nostra terra e la squinternata vita di provincia ha saputo trasformare qualsiasi dramma familiare in una deflagrazione universale. A volte raccontando se stesso, la sua Livorno, il suo "andare in città", altre volte mettendo a nudo degli on the road sulla vita e sulla follia, arricchendo una filmografia che ha strappato sempre più lacrime che risate. Ripercorriamo quindi insieme i suoi cinque migliori lavori prima di Siccità, in una carriera che si avvicina ai suoi trent'anni di vita.
5. Ovosodo (1997)
C'è tanto di ciò che abbiamo espresso nell'introduzione in quello che è il primo grande film di Paolo Virzì. Dopo La bella vita, il suo esordio sul grande schermo da regista, e dopo Ferie d'agosto, Virzì desidera raccontare un quartiere della sua Livorno, la vita di ringhiera, quella che sembra quasi Napoli, come fa dire all'esordiente Marco Cocci(di recente rivisto in Tra le nuvole di Tommaso Paradiso). È un cast di volti nuovi e scoperte, quello di Ovosodo: dall'ottimo Edoardo Gabbriellini, fino al lancio di Paolo Ruffini tra i banchi di scuola. Una mestizia che pervade l'intera pellicola ci porta nella vita adolescenziale del protagonista, retto e corretto sui suoi libri, ma pronto a sbandare dinanzi alle nuove conoscenze e a un amore irreale, fittizio. In un bailamme di eventi, che Virzì ridisegnerà nel personaggio di Bruno de La prima cosa bella, Pietro (Gabbriellini) si fa largo in una società che premia chi nasce nella culla giusta e non ha apparenti meriti e costringe chi parte dal basso a faticare per farsi strada, nonostante la buona volontà, nonostante gli sforzi. Ovosodo nel 1997 conquistò tutti, ma dovette cedere il passo allo strapotere de La vita è bella, che vinse qualsiasi premio possibile in Italia: a Virzì rimase solo di poter vedere Nicoletta Braschi, reduce dal capolavoro del marito Benigni, aggiudicarsi il David per l'interpretazione affranta e mesta della professoressa Giovanna, madre putativa del disgraziato protagonista.
Siccità, la recensione: Paolo Virzì predice il futuro e racconta il presente
4. Il capitale umano (2013)
Ispirato al romanzo omonimo di Stephen Amidon, Virzì ne Il capitale umano mette in scena ancora una volta lo spaccato della società moderna, inseguendo la verità dietro un incidente che si consuma in Brianza. Attraverso tre diversi paia di occhi, il regista racconta la tragedia che si è consumata con una diversa interpretazione. Virzì per la prima volta decide di volgere il proprio sguardo disincantato e disilluso verso il Nord, abbandonando la sua provinciale Livorno e la sua riconquistata Roma: anela il mettere via quella goliardia toscana dei ragazzini che smaniano e che fanno i grulli, non persegue più il cinismo romano, perché stavolta ci vuole la crudeltà brianzola. La tragedia che si consuma è anche nelle parole di Valeria Bruni Tedeschi, che ricorda come intorno a lei si è scommesso sulla rovina di questo Paese e che, dopotutto, la scommessa è stata vinta. La bramosia con la quale Virzì va a disegnare la Brianza è potente e unica, tanto da farla sembrare una zona aliena nella quale si è andato a calare all'improvviso per raccontare al resto del mondo quanto sia diversa l'Italia unificata, soprattutto dinanzi alle tragedie, soprattutto nel momento in cui bisogna speculare su qualcosa per godere di un presente migliore: spesso quel 'qualcosa' è il futuro.
3. Caterina va in città (2003)
C'è una falsa autobiografia dietro lo sbarco a Roma della famiglia Iacovoni, perché così come Virzì andò a conquistare la capitale lasciandosi alle spalle la sua Livorno e dando il via alla sua carriera cinematografica, allo stesso modo in Caterina va in città la protaognista è costretta a raggiungere Roma, assistendo alle fatiche dei genitori. Da un lato Margherita Buy, una donna dal carattere sottomesso, e dall'altro lato Sergio Castellitto, un uomo desideroso di ottenere qualcosa di più, di non essere più solo un buono, ma un grande. Poter effettuare quello scatto non solo di carriera, ma di classe sociale diventa uno straziante chiodo fisso per il padre di Caterina, costretta a sua volta a vivere l'influenza di quelle che sono le velleità paterne. È nella genuinità della protagonista che verrà meno il sogno di conquista di Giancarlo, che dentro di sé rimane quel docente di Montalto di Castro, un paesino di meno di diecimila abitanti, ma anche nel suo lasciarsi andare alle velleità giovanili di amicizie che la condizioneranno. L'odore del fallimento di quella fuga verso la metropoli finisce per far ristagnare le delusioni di Giancarlo, un uomo distrutto che non può far altro che guardarsi indietro e disperarsi per i suoi errori.
2. N - Io e Napoleone (2006)
Ernesto Ferrero porge a Virzì una base fenomenale. Perché quello che lo scrittore italiano va a realizzare con il suo omonimo romanzo è un racconto intimo e personale di un semplice abitante dell'Isola d'Elba nel momento in cui incontra l'Imperatore, in esilio e in attesa di poter vivere i suoi 100 giorni. Martino, interpretato da un giovane Elio Germano, si ritrova a tu per tu con quest'anima del mondo che dalle corti della capitale francese discende quasi negli inferi di una cittadina qualunque, che decide di rinnovare in ogni sua forma, per rendere più gradevole la propria sosta. La forza motrice del romanzo di Ferrero, che fu Benigni a suggerire a Virzì, si ritrova nel cambio repentino di Martino, che dapprima ammira e anela la fiducia di Napoleone e poi ne desidera solo la morte, vestendosi sia da paladino del mondo sia da vendicatore di un torto personale. Anche in questo caso il regista livornese ci mette del suo, perché così come in tutti i suoi precedenti film, anche in N - Io e Napoleone si ravvisa quel distacco sociale e quella disparità di ceti che mette l'uno nelle condizioni di anelare di raggiungere l'altro o - nel caso della seconda parte dell'evoluzione caratteriale di Martino - porne fine per creare una sorta di livella. Si tratta sicuramente del film meno famoso di Virzì, meno autoriale, ma non per questo meno importante, soprattutto partendo dal romanzo sul quale si basa, che nel 2000 vinse meritatamente il Premio Strega.
Siccità, Monica Bellucci: "Questo progetto è drammatico e ironico, come la vita"
1. La prima cosa bella (2010)
Arriviamo al capolavoro di Paolo Virzì, quel film che consegnerà - se non lo ha già fatto - il regista livornese alla storia del cinema italiano. Un tourbillon dissacrante costruito intorno a tre figure femminili: Micaela Ramazzotti a interpretare Anna da giovane, Stefania Sandrelli a darle vita in età avanzata e, accanto a loro, Claudia Pandolfi (che ritrova Virzì dopo Ovosodo) a vestire i panni di Valeria, la secondogenita di Anna. Con loro Valerio Mastandrea in quella che è, probabilmente, la sua miglior interpretazione di sempre, in una carriera che ha saputo mettere in scena con grande sensibilità le tremende sfaccettature dell'animo umano. Per niente famoso, per niente ricco, ma povero e ignoto, Bruno Michelucci deve fare i conti con la propria vita passata nel momento in cui la sorella Valeria va a comunicargli che ad Anna, la loro madre, non è rimasto molto da vivere.
Virzì intreccia passato e presente per raccontare la particolarità della famiglia, guidata da una madre squinternata e libertina, che di flashback in flashback finisce per saltare di uomo in uomo, sempre con l'unico obiettivo di dare ai propri figli un tetto sotto al quale dormire e un piatto di pasta per cena a tavola. Ne La prima cosa bella c'è tutta la poetica di Virzì: c'è il distacco sociale, c'è la miseria della vita provinciale, ci sono le problematiche sia microscopiche che macroscopiche di una famiglia, c'è una donna infelice che ha combattuto l'intera vita col sorriso, ci sono dei figli costretti al mal di vivere che non ha cure. O forse sì: un bagno al mare. E mentre Nicola di Bari intona il suo grande capolavoro e i Camaleonti fanno risuonare l'Eternità tra le onde del mare di Livorno, in Valerio Mastandrea e nel suo Bruno Michelucci potremmo correre il rischio di ritrovarci quando quel male di vivere ci attanaglia il cuore, ci conturba l'anima e ci spinge a vedere tutto grigio, pensandoci venuti al mondo per i piedi.