Ora che la lavorazione di The Young Pope sta per concludersi, Paolo Sorrentino appare più rilassato. Ironico e rilassato, il regista premio Oscar si è concesso al pubblico del Lucca Film Festival parlando di sé, della sua carriera, della sua proverbiale pigrizia e di quei difetti che ama eternare sul grande schermo plasmando memorabili alter ego, da Tony Pisapia a Jap Gambardella, dall'anziano musicista Fred Ballinger ad Andreotti. Quella di The Young Pope è stata una full immersion durata quasi un anno. Il battesimo di Sorrentino con la tv. Talmente impegnativo che quando viene chiesto al regista quasi sono i suoi prossimi progetti, lui confessa candidamente: "Dopo un anno di lavoro continuativo sinceramente in questo momento ho un po' la nausea al pensiero di ricominciare".
Anche le notizie su The Young Pope al momento sono piuttosto scarse. Sono tutti molto curiosi di fare la conoscenza del severo papa interpretato da Jude Law, ma Sorrentino mette le mani avanti: "Non posso ancora dire niente, ma anche volendo non saprei proprio cosa dire: finché le cose non sono finite non si capisce bene che cosa si è fatto". The Young Pope approderà in tv a novembre. Jude Law interpreta Pio XIII, personaggio complesso e contraddittorio, così conservatore nelle sue scelte da rasentare l'oscurantismo, ma allo stesso tempo straordinariamente pieno di compassione per poveri e i deboli. Un altro dei suoi alter ego. "In tutti i miei lavori faccio autobiografia nascondendomi bene. Quando parlo di personaggi come Giulio Andreotti mi nascondo, ma in realtà l'ho fatto a mia immagine e somiglianza. Il Divo sono io senza la gobba".
L'estetica prima di tutto
"Il cinema è uno dei pochi luoghi in cui la dittatura è consentita. Anzi, quando non c'è la troupe si lamenta. E' un'oasi felice"
Curiosi di sapere come coltiva il talento un futuro premio Oscar? Sorrentino lo racconta con la solita autoironia spiegando di essersi appassionato al cinema verso i 18 anni. "In realtà mi interessavano anche altre arti, ma essendo molto pigro la musica non mi si confaceva perché richiedeva troppo impegno. Il cinema mi sembrava più raggiungibile, non dovevo saper fare molto bene niente nello specifico e poi mi permetteva di praticarlo senza dover uscire di casa. Così ho cominciato a scrivere sceneggiature e ho inviato i miei lavori al Premio Solinas. Mi è sempre piaciuto scrivere. Un domani vorrei tornare a fare solo quello". Tra una battuta e l'altra, Sorrentino ammette che il suo vero interesse, da ragazzo, era dirigere. "Volevo fare il regista, ma non lo confessavo apertamente. I registi sono molto attivi, hanno resistenza fisica, attitudine al comando, cose che io ritenevo di non possedere. Poi mi sono ricreduto, soprattutto sull'attitudine al comando. Il cinema è uno dei pochi luoghi in cui la dittatura è consentita. Anzi, quando non c'è la troupe si lamenta. E' un'oasi felice".
Parlando dei maestri che lo ispirano, il regista de La grande bellezza ammette che "sono gli stessi di un tempo. Sono pigro anche in questo. Fellini, Scorsese, Truffaut. E poi mi sono sempre piaciuti i Coen, Jim Jarmusch, Paul Thomas Anderson, l'ondata di autori indie americani, ma amo molto anche la commedia all'italiana".
Sorrentino confessa di aver appreso molto sul campo, facendo l'aiuto regista volontario. "Ho fatto un corto in cui ho commesso tutti gli errori che si possono commettere, perciò alla fine ho imparato. Una grande lezione è stata guardare tanti film brutti, per capire cosa non dovevo fare. Questa per me è una forma di insegnamento efficace". A chi gli rimprovera di perpetrare uno stile di regia troppo barocco ed estetizzante, il cineasta napoletano ribatte: "Per me la messa in scena, anche del brutto, deve essere bella. Io sono un appassionato di fotografia e ho appreso la composizione dell'immagine da certi fotografi che sono più accurati dei registi". I suoi celebri piani sequenza, che hanno fatto gridare molti al virtuosismo, non sono solo una marca stilistica: "Alle volte i piani sequenza sono il miglior modo per raccontare una cosa. Aiutano a far passare meglio l'emozione perché evitano gli stacchi. La nostra vita è un lunghissimo piano sequenza, quindi ti aiutano a vivere in simbiosi con il personaggio in quel dato momento".
Il grande salto con Toni Servillo
Da This Must Be the Place in poi, Paolo Sorrentino tende a volgere lo sguardo verso l'America. Già prima dell'Oscar, il suo status di regista internazionale gli permette di lavorare con divi angloamericani tra i più richiesti, ma il primo ad avere fiducia in lui è stato Toni Servillo. "Conoscevo Toni perché gravitavo attorno a una compagnia teatrale napoletana, ma lui mi ignorava. Per mesi ho cercato di fargli leggere la sceneggiatura de L'uomo in più, ma lui non mi calcolava proprio. L'ha letta solo quando, con uno stratagemma disperato, il mio produttore gli ha detto che c'era un altro attore interessato. Da Toni ho appreso molto sulla recitazione. Il mio impianto cinematografico è molto legato al teatro e alla letteratura, quindi Servillo mi ha aiutato molto, soprattutto nei primi due film. Il motivo per cui lavoriamo così bene insieme è che abbiamo lo stesso approccio al lavoro. Ridiamo insieme, non ci prendiamo sul serio, non crediamo mai di fare qualcosa di importante. Sul set abbiamo un atteggiamento molto cameratesco".
Toni Servillo racconta scherzosamente che quando Paolo Sorrentino gli ha proposto di interpretare Giulio Andreotti, ha subito pensato: "Non sarò tutta questa bellezza, ma ora proprio Andreotti...". Il Divo non è un biopic tradizionale, ma come tutti i lavori di Sorrentino è nato da una suggestione. "Ricordo di aver letto un'intervista di Roberto Gervaso in cui si diceva che Andreotti rispondeva sempre tenendo gli occhi chiusi. Da questa immagine è nato il film, infatti per gran parte de Il Divo Servillo tiene gli occhi chiusi". Parlare di politica italiana al cinema è un tabù, soprattutto quando si affronta uno dei personaggi più controversi della nostra storia e Sorrentino ha toccato con mano le difficoltà: "Abbiamo ricevuto anche qualche piccola e sordida intimidazione. Col senno di poi è stato divertente, ma sul momento eravamo preoccupati. Ci sono state minacce di querele che non si sono mai realizzate, anche perché sul piano legale eravamo inattaccabili, tutto ciò che avevamo messo nel film è documentato. Invece ho inventato completamente la vita privata. La cosa divertente è che Andreotti mi ha accusato di aver inventato la parte pubblica e di aver riprodotto fedelmente quella privata, ma nessuno conosce il suo privato in realtà. Neppure i suoi ministri entravano a casa sua, venivano ricevuti sul pianerottolo. Evidentemente devo aver indovinato alcune cose, come la parsimonia, che avevo intuito da alcune interviste".
Da Sean Penn a Michael Caine, nel regno dei mostri sacri
Il divo ha fruttato a Sorrentino il Premio della Giuria a Cannes e l'incontro con Sean Penn. "Ci siamo conosciuti perché lui era Presidente della Giuria. Una notte, molto tardi e dopo molto alcool, mi ha detto che avrebbe fatto qualsiasi cosa con me" racconta il regista. "Poi ho scoperto che era serio. Allora ho scritto un film per lui, This Must Be the Place, e gli ho inviato lo script. Sean Penn riceve una media di 40 sceneggiature al mese, ma dopo dopo pochi giorni mi ha richiamato e mi ha detto che c'era un problema visto che erano previste scene di ballo e lui non sapeva ballare. Io gli ho risposto 'Le togliamo' ma alla fine le ha fatte" Ricordando l'esperienza con Penn, il cineasta ammette che "lavorare con Sean è stato molto avventuroso. Per me rimane uno dei migliori attori di sempre, ma non è una persona facile. E' imprevedibile. Già il fatto che si sia presentato sul set a Dublino il primo giorno per me era incredibile. Attraversava un momento difficile. L'ho aspettato per due anni, e per un anno non ha risposto al telefono, ma io non ho mollato. Ma è un attore immenso. Ha il dono dei grandi attori, si infila negli interstizi che tu lasci liberi e donando al personaggio cose in più. Essendo un regista a sua volta, nonostante il mio pessimo inglese capiva da solo ciò che io volevo".
Dopo This Must Be the Place, per Paolo Sorrentino sono arrivati il successo internazionale e l'Oscar con La grande bellezza. "E' stato un momento molto felice, anche perché mi ha messo in una situazione di sicurezza economica. Ho pensato 'Ecco, almeno altri due film me li fanno fare'" scherza il regista rivelando che, anche in questo caso, lo spunto da cui nasce il film è piuttosto curioso. "Un giorno mi trovavo al bar della Rai. C'era un dirigente Rai che corteggiava una ragazza dell'Est in modo quasi imbarazzante. Questa è la grande bellezza. Ho deciso di scavare in questo sottobosco romano laido per farne oggetto di ricerca. Youth - La giovinezza, invece, nasce da un fatto di cronaca. Per un disaccordo sul repertorio, Riccardo Muti non voleva suonare davanti alla Regina Elisabetta e questa cosa mi ha colpito molto". Per Youth, Sorrentino ha messo insieme un cast di superdivi: "Alla fine lavorare con attori molto bravi è facile. Michael Caine è una persona con cui condivido le stesse passioni, pur non sapendo l'inglese abbiamo instaurato un bel dialogo, Jane Fonda è una donna molto spiritosa e intelligente, oltre che molto bella. Harvey Keitel è stato il più problematico, perché è legato al metodo, ha dei procedimenti tutti americani che io conosco poco e non apprezzo. Però è una persona splendida, ipersensibile".
Quando gli viene chiesto con quale divo sogna di lavorare ora, Sorrentino risponde "Vorrei fare un film con Jack Nicholson, ma non credo che accadrà mai". E sulla possibilità di un biopic su Maradona, ringraziato durante l'Oscar e inserito anche in Youth, il regista spiega che: "Tutti i napoletani della mia generazione adorano Maradona. Nei suoi confronti ho un rapporto di idolatria. Fare un film su Maradona non è facile perché lui è più spettacolare, è una fonte di ispirazione notevole. L'uso delle sostanze, il suo fisico, tutto era contro di lui eppure nonostante tutto è riuscito a diventare ciò che diventato". E' probabile che in futuro Paolo Sorrentino tornerà a raccontare con sguardo dissacrante e al tempo stesso estetizzante le miserie umane come ha fatto finora perché "quando riesci a trovare la bellezza anche nello squallido e nel miserabile è fatta. E infatti io sono felice".