È senz'altro un momento d'oro, nella carriera di Paolo Sorrentino. A un anno e mezzo di distanza dalla conquista dell'Oscar per il miglior film straniero con l'acclamatissimo La grande bellezza, vero e proprio film evento dalla portata internazionale, il regista e sceneggiatore nato a Napoli nel 1970 è reduce dal successo della sua ultima fatica cinematografica, Youth - La giovinezza, presentato con lodi quasi unanimi al Festival di Cannes e accolto da un solido riscontro presso il pubblico italiano (sei milioni di euro d'incasso e quasi un milione di spettatori).
Youth, la sua seconda produzione in lingua inglese, il 4 dicembre sbarcherà anche negli Stati Uniti, dove qualche addetto ai lavori già parla di possibili candidature all'Oscar per il film o per il protagonista Michael Caine. Nel frattempo, proprio in questi giorni Sorrentino è impegnato a Roma sul set del suo nuovo progetto: The Young Pope, una serie TV in otto episodi co-prodotta dalla HBO, con Jude Law protagonista nei panni di un anomalo Pontefice, in un cast che comprende pure Diane Keaton e James Cromwell. E subito dopo Jude Law, ospite al Festival di Roma nella giornata di sabato, domenica è stato invece Sorrentino a incontrare il pubblico della capitale, per un pomeriggio molto particolare: l'autore de La grande bellezza, infatti, ha scelto di non parlare del proprio lavoro (non direttamente, quantomeno), ma di discutere a proposito di cinque tra i suoi film preferiti in assoluto. Andiamo a scoprire dunque questa Top 5 a tratti sorprendente, attraverso le parole dello stesso Sorrentino...
1. Tempesta di ghiaccio
Ho scelto di parlare di film di cui non parlo mai, perché altrimenti mi fanno parlare sempre e solo di Federico Fellini, Martin Scorsese e i fratelli Coen, che in effetti sono tra i miei registi preferiti, ma non sono gli unici. Tempesta di ghiaccio mi ha insegnato molto sulla sceneggiatura... non mi ricordo più di preciso cosa, ma è un film di grande compostezza e solidità. Inoltre racconta la famiglia, un tema che mi interessa molto, ed è un capolavoro proprio sulla bellezza e i pericoli della famiglia. È un film che riesce a coniugare il bello con il vero: mantiene il realismo senza rinunciare all'estetica, un connubio che oggi è spesso oggetto di critiche. I grandi registi come Ang Lee non perdono mai il loro talento, che lavorino in patria o a Hollywood: non si fanno mettere sotto pressione e rimangono insensibili all'ambiente in cui lavorano, lasciandosi guidare invece dallo stile e dall'autenticità del racconto. Lee fra l'altro è una persona timidissima, si fa fatica a pensare che sia un regista così virtuoso, capace di dirigere film come La tigre e il dragone... è un "uomo da pantofole".
2. La notte
Michelangelo Antonioni, Federico Fellini e Bernardo Bertolucci sono tre registi unici per la loro capacità di messa in scena: hanno una sapienza che lascia stupefatti, superiore a quella di tutti gli altri registi. Antonioni inoltre è fra i pochissimi a saper far funzionare il jazz al cinema, che in genere invece è uno degli accostamenti più noiosi possibili. E ancora più de La dolce vita, La notte racconta l'essenza tragica dello stare al mondo. Nella filmografia di Antonioni, i miei titoli preferiti sono La notte e Professione: reporter.
3. Era mio padre
Come nella scena della sparatoia di Era mio padre, il vero si dimostra essere il massimo dell'artefatto: tutto si scolge nel silenzio, il rumore della pioggia e gli spari arrivano solo alla fine. È una scena che spiega esattamente cos'è il cinema: insegna come si recita, come si cotruisce un'epica, cosa bisogna dire usando una sola battuta, come si usa la musica, come si illumina... Mi sembra una grande sintesi di cosa dovrebbe essere il cinema: magari non è "vera", ma è verosimile, e il verosimile è il regno di chi inventa, ed è molto più interessante del vero. Di Sam Mendes mi piace tutto, anche American Life; all'inizio quel film avrebbe dovuto intitolarsi This Must Be the Place, ma David Byrne non ha concesso a Mendes i diritti sul titolo della sua canzone, che poi sono andati a me.
4. Una storia vera
È un film bellissimo! Penso sia un capolavoro, e la scena del dialogo davanti al fuoco è molto rassicurante. È una scena che presenta tutti gli elementi di inquietudine tipici del cinema di David Lynch: la notte, il fuoco, una ragazza sola. Lynch invece riesce a cambiare completamente tono pur usando gli stessi elementi, calandoci da subito in un'atmosfera molto rassicurante. Inoltre, ho una passione per i film riguardanti la famiglia. Direi che Una storia vera è un film sulla forza sottovalutata delle cose insensate.
5. Mars Attacks!
Ho scelto la sequenza in cui la donna aliena entra nella Casa Bianca insieme a Martin Short perché secondo me è la scena più erotica che si sia mai vista al cinema... l'imperturbabilità di quella donna aliena ha un effetto di erotismo dirompente! Martin Short coglie tutte le sfumature tipiche degli uomini bassi, condensandone il complesso che porta alla spavalderia esibita, e lui la interpreta splendidamente. Oltre a essere divertente, è una scena molto sensuale, e mi piacerebbe conoscere Tim Burton per chiedergli come ha creato il movimento della donna, se ha usato dei pattini o uno skateboard. A volte in Burton il livello di artificio supera la soglia consentita, ma in genere è un regista che mi piace molto. So che quando Jack Nicholson lesse la sceneggiatura di Mars Attacks! disse: "Voglio interpretare tutti i personaggi"; ma alla fine ne ha interpretati solo due.
Dal "giovane Papa" a Rio, eu te amo
A proposito del suo attesissimo progetto televisivo, Sorrentino non ha risparmiato parole di grande apprezzamento per il suo protagonista: "Per The Young Pope volevo un Papa giovane e bello che fosse interpretato da un attore portentoso, e Jude Law aveva tutte queste caratteristiche. Raramente ho visto un attore così privo di difetti. Sarà un Papa totalmente inventato ma verosimile". Infine, il regista ha presentato per la prima volta al pubblico italiano Grumari, il cortometraggio da lui diretto per il film a episodi Rio, eu te amo: dieci "frammenti" sul tema dell'amore ambientati a Rio de Janeiro e diretti da altrettanti registi. Grumari, contrassegnato da un'ironia pungente e vagamente macabra e interpretato dall'attrice inglese Emily Mortimer, descrive il ménage fra un milionario anziano e malato e una moglie molto più giovane. "Il compito era di inventare una storia della durata di otto minuti, da girare in due giorni a Rio de Janeiro, con la stessa troupe assegnata ad altri registi. A Rio sono andato solo per le riprese, il copione l'ho scritto a Roma e riguarda il cliché dell'uomo anziano e di una donna giovane e bella, rovesciandone però il modello: per una volta, è l'anziano a desiderare la morte della ragazza e non il contrario".