Paolo Borsellino: i 57 giorni. La strage di via D'Amelio su RaiUno

Paolo Borsellino: i 57 giorni è la fiction di Rai 1 che commemora i 20 anni dalla strage di via D'Amelio che è costata la vita ad uno dei giudici-simbolo della lotta antimafia, a cui dà il volto Luca Zingaretti. Insieme al cast e al regista, l'attore ha raccontato i retroscena del set.

"Borsellino sono!": prima di incontrare i giornalisti, Luca Zingaretti ha salutato così gli studenti delle scuole romane, accorsi per la proiezione in anteprima della fiction su Paolo Borsellino, I 57 giorni, in onda domani 22 maggio su RaiUno. Grazie anche alle musiche del Maestro Ennio Morricone la fiction rievoca, a quasi 20 anni dall'accaduto, l'attentato di via D'Amelio in cui ha perso la vita il giudice assieme alla scorta. Il conto alla rovescia del titolo, invece, è il tempo intercorso tra il 23 maggio 1992, data della strage di Capaci, in cui ha perso la vita il giudice Giovanni Falcone (con la moglie Francesca Morvillo e tre agenti di scorta) e il 19 luglio dello stesso anno, giorno in cui Paolo Borsellino è rimasto vittima di un altro agguato di stampo mafioso.
Il saluto di Luca Zingaretti, giocato sulla falsariga del suo il Commissario Montalbano, è stato un timido tentativo di approccio ad una generazione che di quei giorni non ha un ricordo diretto. A presentare la fiction accanto a lui il regista Alberto Negrin, Federico Scardamaglia (figlio di Francesco, lo sceneggiatore) e il resto del cast, guidato da Fabrizio Del Noce (direttore di Rai Fiction).

Cosa ti ha lasciato il set di questa fiction? Luca Zingaretti: Per me questa fiction è stata un viaggio importante, da un punto di vista umano prima ancora che professionale. Paolo Borsellino è un personaggio straordinario a cui guardare con rispetto e conforto: per lui le cose o erano bianche o erano nere, o sei dentro la legalità o non lo sei. Rappresenta una guida.

Da dove nasce il progetto? Fabrizio Del Noce: Questo ventesimo anniversario aiuta le giovani generazioni a sapere quello che è successo e le altre a non dimenticare i servitori dello Stato che hanno combattuto una nobile battaglia.

Luca Zingaretti non assomiglia fisicamente al giudice Borsellino. Questo ti ha creato qualche perplessità prima di offrirgli la parte?
Alberto Negrin: Da un punto di vista fisiognomico, la scelta di Luca era controtendenza, per questo la scommessa più grande è stata quella di ricostruire Zingaretti per farlo diventare Borsellino. E non è stato facile con sole tre settimane di riprese e una di montaggio, tutto in presa diretta e senza doppiaggio.

La storia del giudice Borsellino è già stata portata su piccolo schermo. Perché farlo di nuovo? Luca Zingaretti: Di buone ragioni ne avevamo almeno tre, nonostante in passato sia stata raccontata molto bene. Innanzitutto riproporre questa storia significa interpretare il nostro presente, in secondo luogo, specialmente in un periodo di crisi come questa, è importante avere figure di riferimento e infine perché le emozioni servono a veicolare un messaggio importante e questo film ne è pieno.
Federico Scardamaglia: Quel periodo è la scatola nera della Prima Repubblica ma lo scopo della fiction non è quello di trovare i colpevoli.

Avete già avuto qualche feedback dalla famiglia Borsellino? Federico Scardamaglia: Durante la proiezione era presente il figlio del giudice Borsellino, Manfredi, che mi ha appena mandato un sms. Una delle frasi che contiene, dice: "Alla fine mi sono commosso". Il suo aiuto nella stesura della sceneggiatura è stato fondamentale, ci ha raccontato alcuni dettagli che poi sono stati inseriti, come ad esempio il fatto che prima che Paolo Borsellino andasse in via D'Amelio era stato proprio Manfredi a corrergli dietro per portargli l'agenda rossa. Il nostro resta comunque un film e non un documentario.

Hai incontrato Agnese, la moglie del giudice? Luca Zingaretti: Ho avuto il privilegio di essere invitato nel salotto di casa sua. Mi ha accolto con un sorriso dolcissimo in una casa piena di bambini e mi ha detto: "Sono ancora innamorata di mio marito". Agnese è una donna in silenzio, che non parla e io immaginavo fosse chiusa e austera, mentre mi ha sorpreso per il contrario, così come il giudice Borsellino: era gioviale, amava le piccole cose e sorrideva sempre.
Lorenza Indovina: Interpretare Agnese è stato un percorso meraviglioso. Zingaretti mi ha aiutato ad essere la moglie giusta per Paolo. Ho sentito su di me una responsabilità enorme per tutte quelle mogli e madri di uomini morti nelle stragi. Il racconto di Agnese è il loro, delle donne che sono accanto a questi eroi, le vere vittime, quelle che restano...

Qual è stato il momento umanamente più difficile da interpretare? Luca Zingaretti: In quei 57 giorni Paolo Borsellino ha provato una solitudine crescente che a me avrebbe ucciso molto prima della bomba. Lui, invece, non ha fatto mezzo passo indietro: ha avuto un coraggio che non riesco neppure a immaginare. L'eroe, infatti, non è tale perché non ha paura, ma perché la prova eppure cerca di vincerla.