Ingrati, impopolari, folli. Forse sono le prime cose che avete pensato leggendo il titolo di questo articolo (almeno quelle che si possono riferire). Un articolo che potrebbe sembrare provocatorio, ma non lo è. Affatto. Ebbene, sì: durante l'imminente notte degli Oscar chi scrive farà il tifo per un introverso spilungone dagli occhi buoni e dal talento cristallino. Dalla parte di Adam Driver e della sua meravigliosa prova d'attore nell'agrodolce Storia di un matrimonio. Una vittoria che è pura utopia, perché c'è una voce che si aggira nell'aria. Una voce che dice: "Quando riceverò l'Oscar mi annuncereste come Joker?". L'ironica citazione del film di Todd Phillips vale come presagio: la vittoria dello straordinario Joaquin Phoenix è quasi certa.
Qualsiasi altro finale sarebbe un colpo di scena clamoroso (anche considerando i premi già vinti da Phoenix nelle ultime settimane). Sia chiaro: Joaquin Phoenix l'Oscar lo meriterebbe eccome. Il suo Arthur Fleck è un concentrato di alienazione, rabbia e dolore difficile da dimenticare. Proprio come la sua straziante risata piangente, che quasi strozza un uomo profondamente solo, abbandonato a se stesso e deluso da una società che lo rigetta. Insomma, solo e soltanto applausi per la sopraffina performance di un Joaquin Phoenix intenso, mattatore e istrionico come non mai, capace di reggere un intero film sulle sue spalle. Però, nonostante l'incredibile impatto del nuovo Joker nell'immaginario collettivo e nella cultura pop, qualcosa dentro di noi ci suggerisce di guardare con attenzione oltre il trucco vistoso del clown, di ascoltare meglio al di là della sua fragorosa risata. E arrivare così ad Adam Driver.
Siamo pronti a remare contro il sentire comune e a essere sommersi da una marea di insulti, ma le nostre ragioni sono solide, fidatevi. Dunque, ecco perché il buon Adam meriterebbe l'Oscar più del nostro caro Joaquin. Ecco perché, per una volta, l'ordinario dovrebbe battere lo straordinario.
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La giusta consacrazione
In ogni caso sarebbe una prima volta. Joaquin Phoenix arriva ai prossimi Academy Awards forte della sua quarta nomination agli Oscar, dopo essere stato candidato nel 2001 per Il gladiatore, nel 2006 per Quando l'amore brucia l'anima e nel 2013 per il sontuoso The Master. Seconda nomination consecutiva per Driver che, invece, l'anno scorso fu candidato come Miglior Attore Non Protagonista per BlacKkKlansman. Storia di un matrimonio è l'apice di una maturazione attoriale graduale e inesorabile, la consacrazione di un attore abile, intelligente, mai banale, che si è mosso con disinvoltura in quella zona grigia a metà strada tra il cinema indie e le grandi produzioni commerciali. Driver si è sempre fatto notare (anche con una maschera sul volto) per la capacità di rendere straordinario l'ordinario (ricordate Paterson?), di calarsi nei suoi ruoli con discrezione, senza strafare mai, regalando così ai suoi personaggi una credibilità invidiabile. Un marchio di fabbrica "driveriano" impresso a fuoco anche su Storia di un matrimonio. Il suo Charlie ci ha conquistato per la sua naturalezza incredibile, per il tatto con il quale Driver lo ha reso una persona vicina al pubblico, spogliandolo di qualsiasi artificio proprio dei personaggi. L'Oscar a Driver sarebbe sacrosanto perché il possente ragazzone nato a San Diego non è mai stato più bravo di così. La statuetta dorata nella sue mani sarebbe la giusta consacrazione per aver toccato l'apice.
E diciamo la verità, per Phoenix non è così. Certo, in tanti hanno scoperto il suo talento irrequieto soltanto grazie ad Arthur Fleck, ma dire che quella vista in Joker sia stata la sua interpretazione migliore, sarebbe miope e ingrato nei confronti di un percorso attoriale tempestato di prove attoriali superbe. Soffermandoci soltanto sulle sue tre nomination precedenti, è innegabile che The Master abbia rappresentato il punto esclamativo della sua filmografia. La maestria con cui ha dosato il male di vivere e la sociopatia di un personaggio estremamente complesso è davvero memorabile. Senza dimenticare un altro assolo "phoenixiano" di pregevole fattura come quello apprezzato nel malinconico e straziante Lei, in cui è riuscito a rendere credibile il rapporto amoroso con un software. Ci dispiace, Arthur, ma ti tocca incassare un'altra delusione: l'apice di Joaquin Phoenix non sei tu.
Sopra e tra le righe
L'addizione contro la sottrazione. L'irrazionalità contro la consapevolezza. La risata sguaiata contro sorrisi impacciati. Si potrebbe riassumere così il braccio di ferro (impari stando ai pronostici) tra Phoenix e Driver. Arthur Fleck e Charlie Barber sono due personaggi agli antipodi. Il primo ha chiesto a Phoenix di mettere in scena un'ascesa personale (o discesa, a seconda dei punti di vista) in cui i toni si facevano sempre più esasperati e sopra le righe. Phoenix è stato eccezionale nel vivere sulla propria pelle la dolorosa trasformazione di Fleck nel Joker, nell'alzare poco per volta il volume di una performance che, vista la natura del personaggio, per forza di cose lo ha portato ad abbondare, eccedere, sottolineare ogni ghigno, risata e gesto.
Dall'altra parte abbiamo una performance molto meno vistosa ma ancora più minuziosa. Nel marito messo in discussione e nel padre amorevole, Driver ha riversato tantissime sfumature diverse. Charlie è ironico, ferito, arrabbiato, imperfetto e invidiabile allo stesso tempo. Senza mai perdere di vista i toni verosimili della vita vissuta e dell'esperienza autentica, Driver ha modellato un uomo che potrebbe essere davvero là fuori, da qualche parte. Laddove Phoenix ha usato l'evidenziatore per tratteggiare Fleck, Driver ha impugnato la matita per rendere più sfumato il suo Charlie. E noi, questa volta, faremo il tifo per la grafite.
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Duello o assolo?
E chiudiamo il nostro articolo pieno di utopistica speranza con un dubbio amletico. È più facile reggere un film da soli o trovare la giusta sintonia con un partner? D'istinto verrebbe da dire che c'è più merito nel primo caso, nel sobbarcarsi da soli il peso di una pellicola intera. Proprio come ha fatto Phoenix, al quale Todd Phillips sembra proprio aver dato in mani le chiavi (e il volante) di tutto Joker. Il suo, infatti, è stato un incredibile assolo, un estasiante numero da one man show subito in grado di fabbricare frasi memorabili e immagini iconiche (qualcuno ha detto scale?). E questo è un lusso che solo pochi attori sono in grado di concedere. Del tutto opposto, invece, è stato il lavoro di Driver che ha dovuto trovare l'alchimia utile per duellare (e duettare) con una grandiosa Scarlett Johansson. In questo senso troviamo che il lavoro di Driver sia stato ancora più complicato e sopraffino di quello di un Phoenix totalmente calibrato su se stesso. Riuscire a toccare le giuste corde rispettando l'altro senza dominarlo in una vicenda così delicata come quella di Storia di un matrimonio ha richiesto uno sforzo notevole.
Uno sforzo che Driver e Johansson hanno reso del tutto invisibile. Attraverso litigi, premure, scontri, sorrisi appena accennati e scontri furiosi, Driver e Johansonn hanno giocato una partita di tennis tutta loro, in cui nessuno dominava l'altro. Esaltandosi a vicenda e rispettando lo spazio attoriale altrui, Adam e Scarlett hanno dipinto uno spaccato di vita a quattro mani. Difficilmente quelle di Driver impugneranno l'Oscar il prossimo 10 febbraio, perché Arthur Fleck, dopo tante delusioni, è maestro in fatto di vendette. In ogni caso applaudiremo e rideremo soddisfatti. Perché avere duelli del genere, a noi amanti del cinema, fa solo "mettere una faccia felice". E se sapremo gestire la sconfitta con classe e dignità, ce lo avrà insegnato senza dubbio Adam Driver.