Sono labirinti claustrofobici; spazi mentali occupati da pensieri, progetti, elucubrazioni; sono slanci prometeici, o voli ossessivi compiuti troppo vicino al sole quelli che compongono il cinema di Christopher Nolan. Un ventre gelido, quello del regista, ma comunque sempre fecondo: in esso vengono generati uomini e donne calcolatori, ambiziosi, fardelli quasi apatici di esperimenti da compiere, progetti da realizzare, idee visionarie da concretizzare. E così, in un mondo stratificato sulla forza del pensiero, o della razionalità pragmatica, non c'è spazio per il caldo scorrere dei sentimenti. Gli esseri umani generati dalla fantasia di Nolan sono della stessa sostanza di cui sono fatti gli ambienti che attraversano, e che tentano di ripiegare a proprio piacimento.
Fin qui tutti d'accordo, se non fosse che ci stiamo tutti sbagliando. Mettersi a confronto con un'opera di Nolan, toccandola solo alla superficie esterna, significa farci complici di un gioco di prestigio dove a sorprenderci è la scomparsa dell'uomo, dei suoi sentimenti, delle sue emozioni, sottovalutando, però, il trucco di magia che ne è alla base. Con Nolan spesso ci dimentichiamo di "guardare attentamente". Già, perché in quella bolla apparentemente impossibile da scoppiare, qualcosa si insidia tra le crepe invisibili dei caratteri dei suoi personaggi: è un senso di colpa che viaggia nell'orbita di schemi temporali piegati a proprio piacimento dal regista, e che raggiunge la superficie più profonda dell'anima dei suoi protagonisti, orientandoli, illudendoli, rendendoli umani.
L'esplosione del senso di colpa
Il rimpianto è una radice del male: attacca i germogli interiori degli uomini per distruggerne i raccolti. Ci prende e ci soffoca, bruciando ogni pensiero, ogni slancio emotivo, per trattenerci tra le sue braccia, chiusi in una prigione mentale. Nel momento in cui fa la sua comparsa, il senso di colpa si scontra con le nostre ossessioni e tormenti, le nostre ambizioni e i tanto ambiti successi. Per le creature di Nolan, questo cruccio è spesso la moneta di scambio con cui barattare i propri traguardi, o con cui pagare il peso delle proprie azioni. Non a caso in The Prestige il personaggio di Cutter (Michael Caine) afferma perentorio che "dovete sporcarvi le mani se volete raggiungere l'impossibile"; Oppenheimer quelle mani se le è sporcate di sangue. Dinnanzi ai suoi occhi la sua più grande creatura l'ha tradito trasformandolo in "morte, in distruttore di mondi". Prima applaudito, osannato, desiderato, poi respinto da quel banchetto degli Dei scesi in terra, Oppenheimer è accecato da quella luce di un'ambizione tramutatasi in senso di colpa. Nello sguardo attonito, imperscrutabile e fisso di un Cillian Murphy sempre più piccolo e sempre più avvolto da abiti e cappelli troppo grandi per il suo corpo esile, si muovono le serpi di una presa di coscienza delle proprie azioni. È la descrizione di un attimo, di un momento, di uno scoppio interiore che apre uno squarcio profondo nell'animo di un uomo poco prima mosso dalla volontà di dimostrare la valenza dei propri pensieri, o la grandezza delle proprie teorie. Poi ecco l'esplosione, la morte annunciata e mai mostrata, e così le mani cercano di pulirsi da quel sangue che lo ha avvolto come l'abbaglio che lo acceca nel campo di Los Alamos durante il Trinity test.
Ma non ci sono fazzoletti bianchi che toglieranno quel senso di morte e distruzione che Oppenheimer ha dato in dono all'umanità. E non solo perché quello provato è un tormento troppo lacerante, troppo grande da essere esorcizzato, ma perché a imprimersi nella mente dello spettatore non è l'uomo, ma l'azione. È l'inganno; non il prestigiatore. Così come per Oppenheimer, di cui a imporsi nella mente dei postumi sono le conseguenze distruttive della sua creazione - la bomba atomica - e non il nome del creatore, nell'universo di Nolan sono le imprese portate a termine che vengono esaltate; sono i risultati finali di un percorso matematico, scientifico, onirico, cerebrale, di menti che progettano e bocche che parlano, a farsi campi magnetici di interesse spettatoriale.
Oppenheimer, le opinioni della redazione
L'umanità nel riflesso del rimorso
Nell'universo del regista, i suoi personaggi sono portali in carne e ossa, strumenti umani per la resa finale di esperimenti e progetti, viaggi e operazioni, prestigi e inganni. In quanto tali, non si possono arrogare il diritto di tradire un'emozione, risultare umani e quindi fallaci. Ciononostante, c'è sempre un elemento che li porta a brillare di sofferenza e umana imperfezione: è quel rimpianto per un ritorno ritardato (Interstellar), un abbraccio perduto (Inception), un ricordo svanito (Memento), un'azione incompiuta (Dunkirk), un sacrificio imposto (Batman: Il cavaliere oscuro) un ripensamento tardivo (Oppenheimer). Sono sensi di colpa che colpiscono il viaggio di questi anti-eroi riportandoli sulla strada di un'umanità perduta, o ignorata. Un barlume improvviso che li porta a sognare, a fotografare, a perdersi in sguardi nel vuoto o struggersi all'interno di una navicella spaziale.
E così, continueremo a guardare le opere di Nolan credendo di assistere a un gioco di prestigio: pregheremo il segreto ci venga rivelato quando il segreto, come ricorda Borden (Christian Bale) non fa colpo su nessuno. Vogliamo continuare a essere ingannati, a essere parti di un labirinto mentale in cui tutto è complesso e inafferrabile, e dove il tempo si frantuma perdendo di certezza, dimenticandoci di guardare attentamente e ritrovare nello spazio di piccoli gesti, sguardi, movimenti corporei, un'umanità ripresa dal cuore di un senso di colpa.
Nessun eroe, nessun cattivo: solo il rimpianto
"Muori da eroe o vivi tanto a lungo da diventare il cattivo". Quella de Il cavaliere oscuro è una citazione blasonata, condivisa, abusata, ma che paradossalmente si applica limitatamente al suo universo di appartenenza: quelli di Christopher Nolan non sono infatti né eroi né cattivi. Pedine di un discorso cervellotico e matematico, le sue creature non sono soggette a linee nette di demarcazione etica. Sono piuttosto strumenti di un'operazione da loro stessi attuata dalla forza generatrice di zampilli brucianti di sensi di colpa e frustrazione. È nell'attimo che un rimorso squarcia il loro vuoto interiore sotto forma di un'assenza, o di una mancanza, che il processo di umanizzazione si attua.
Nè buoni, né cattivi, i personaggi di Nolan vivono nel limbo: sono geni, visionari, menti eccelse, schiacciati dal peso del loro ego, o delle conseguenze di attimi e azioni da loro stesse provocate. E lì nel mezzo c'è sempre un rimorso: che sia la causa della loro tentata espiazione (l'innesto dei sogni per Cobb in Inception; la corsa contro il tempo e lo spazio per tornare a casa e vedere crescere i propri figli per Cooper in Interstellar; i giochi di prestigio e le morti delle proprie amate in The Prestige), o la conseguenza delle loro azioni (Memento, Oppenheimer, e in un qualche modo anche Batman con la morte di Rachel), il rimorso è una fiamma che brucia, segnando il confine tra due anime che si mescolano con la stessa facilità con cui tempo, spazio, pensiero vengono ribaltati, deformati, ripiegati a proprio piacimento da Nolan.
Following: il primo "gioco di prestigio" di Christopher Nolan
Boom... Abracadrabra. L'inganno dell'umanità in tre parti
È un Prometeo che dona il fuoco per innescare il gelo di una guerra fredda, Oppenheimer. Un dio divenuto mostro e poi capro espiatorio di una nazione perennemente all'erta. Ma J. Robert Oppenheimer è soprattutto l'ultimo calco di un modello attanziale ripreso e ripetuto da Nolan nel contesto di una narrazione che si reitera, seguendo uno schema tripartitico già perfettamente stabilito da The Prestige: 1, la presentazione: i lunghi dialoghi e le minuziose spiegazioni dettagliate e piene di tecnicismi non sono mai casuali, ma volte a fornire un quadro d'insieme dell'intera storia. 2, il colpo di scena: è il cuore dell'opera, un punto di svolta che prende ciò che era ordinario, tecnico, pragmatico, per trasformarlo in qualcosa di straordinario; 3, il prestigio: ogni certezza innestata, ogni verità apparentemente rivelata viene ribaltata, disorientando lo spettatore, lasciandolo nel pieno delle proprie incertezze.
Ed è qui che di solito si rivela l'umanità del cinema di Nolan: dietro a quelle trottole che girano e che non si sa se cadono, dietro a sguardi fissi nel vuoto, sorrisi dinnanzi a un Frenet Branca in un caffè sulle rive dell'Arno, o di uomini che fanno ritorno a casa, il senso di colpa emette il proprio verdetto. Superato il fardello, o annientati dal peso delle proprie frustrazioni, i personaggi di Nolan rivelano crepe interiori che li rende imperfetti, fallaci, meno divini, ma maledettamente umani.