L'analisi sui blockbuster si è andata ampliandosi sempre di più negli ultimi anni, un po' per cercare di imbrigliarne il percorso dopo la rivoluzione dello streaming e sconvolgimenti distributivi vari e un po' per l'incredibile crisi di idee degli studios. Delle operazioni spesso utili soprattutto a noi teorici, che, come fanno gli psicologi con le diagnosi, rielaboriamo profili e realtà liquide secondo schemi e meccanismi che adoperiamo per orientarci e per orientare lo spettatore, ma che rischiano di mortificare spesso le complessità. Da qui nascono termini come "cinema pop", "cinema autoriale", "cinema postmoderno", "cinema di sistema", "cinema che non è pensato per la sala" e via dicendo. Terminologie più o meno adatte, ma che presuppongono dei limiti a volte troppo netti.
Guardandosi indietro forse è più corretto affermare che esiste il cinema e esiste chi nel corso del tempo è stato in grado di reinventarlo, riuscendo ad esprimere il proprio punto di vista e/o creando un evento collettivo, conquistando il box office. Cadono un po' tutte le distinzioni fatte sopra se pensate a Lo squalo, il capostipite universalmente riconosciuto dei blockbuster, e poi al lavoro di George Lucas, Robert Zemeckis, Chris Columbus, Ridley Scott, James Cameron, Peter Jackson e, oggi, soprattutto, di Christopher Nolan, probabilmente il più grande cineasta contemporaneo da questo punto di vista. Proprio lui, con Oppenheimer ha voluto mischiare di nuovo le carte, dimostrando l'importanza delle fluidità.
Nell'osservare la dodicesima pellicola del cineasta britannico la cosa più interessante è costatarne l'evoluzione grazie alla quale è riuscito di nuovo a reinventare e reinventarsi, facendo una cosa quasi opposta rispetto al suo film precedente, Tenet, il manifesto della sua teorizzazione cinematografica.
Oppenheimer non ha, infatti, semplicemente replicato "il fenomeno Nolan", ma l'ha rinnovato. Per "fenomeno Nolan" si intende una filmografia che a suon di dollari ha dimostrato come la differenza che vede il blockbuster fare i soldi e il cinema d'autore soddisfare le varie nicchie cinefile rischia di essere molto più accademica che altro. D'altronde i numeri e Christopher Nolan sono praticamente due facce della stessa medaglia.
La domanda è: "come ha fatto?"
Diventare Christopher Nolan
Nel corso del tempo Christopher Nolan si è riuscito ad appropriare del trono del grande autore in grado di fare risultati incredibili al botteghino, riuscendo a proporre una rivisitazione di un cinema pop in una chiave estremamente personale. I numeri dicono che è uno dei registi in grado di fare più incassi nella storia del cinema con oltre 5 miliardi di dollari guadagnati.
La svolta c'è stata con la decisione di dirigere il nuovo adattamento per il grande schermo di Batman, tant'è che i suoi primi due film per incassi sono i "due Cavaliere Oscuro", seguiti da Inception e, udite udite, proprio da Oppenheimer (che potrebbe scalare ancora posizioni). Fino a quel momento Nolan si era mosso con budget e missioni produttive sensibilmente diverse, trovando in questo modo due prime opere che lo indicavano come uno dei nomi da tenere d'occhio per il cinema del futuro e una terza, Insomnia, che sembrava il classico film su commissione per un giovane talentuosissimo e in rampa di lancio, che però non era riuscito a far suo fino in fondo il lavoro.
Batman Begins poteva ricalcare il medesimo scenario, ma sin subito il cineasta si appropriò del titolo al punto da portare all'interno le sue tematiche, riuscendo così non solo a soddisfare i fan del fumetto, ma a fidelizzare il pubblico alla sua versione dell'antieroe.
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In quell'occasione rivelò le sue ambizioni, cominciando ad ingrandire la sua misura cinematografica, puntando ad una raffinata riconoscibilità nella messa in scena, ad un montaggio sonoro tipicamente incalzante, serrato, nevrotico in un certo senso ("tutti i miei film sono musical") e a sceneggiature pensate intorno ai grandi temi metafisici e morali. Elementi imprescindibili per il suo "cinema teorizzato", quello fatto dalla manipolazione temporale, l'uso dei labirinti e soluzioni di costruzione narrativa per addizione.
Aveva preso forma definitiva la formula, appunto, del fenomeno Nolan, quella con cui è riuscito per più di 10 anni ad attirare il pubblico, vendendo un cinema pop che pop non è.
Ogni storia d'amore ha però una sua fine e sembrava che questa fosse arrivata proprio con il suo film trattato, il suo film esempio e dichiarazione, che sceglieva di appiattire ogni tipo di coinvolgimento emotivo e di annullare i conflitti per farsi testo pensato per portare in auge la fisica cinematografica. Che è l'idea di magia e di settima arte di Nolan. Tutto passa per i numeri.
Incredibile come in Oppenheimer egli sia tornato ai suoi massimi livelli ribaltando il suo cinema pur mantenendolo tutto al suo interno.
L'importanza della pratica
Proprio nel film che aveva nelle sue premesse la possibile massima espressione della magnificenza esplosiva nolaniana, declinata secondo la sua espressione estetica, ci troviamo invece di fronte ad una catarsi raggiunta secondo una dimensione più che concettuale (anche questo sarebbe tipico del regista britannico), addirittura esistenziale.
Oppenheimer, prima di essere un film che testimonia un momento storico di rinnovata tensione atomica e una pellicola che rielabora il trionfo matematico del cinema nolaniano, è un ritratto intimo dell'archetipo del suo protagonista. Il cineasta decide per una messa in scena quasi teatrale, pensata per tentare di trasportare la potenza della bomba atomica all'interno di un solo uomo, fino a renderlo spazio di detonazione. Fino a far combaciare la sua identità con quella del mostro che ha creato.
Anche in questo caso Nolan mantiene la sua solita elaborazione temporale e lo sconvolgimento dell'ordinaria struttura narrativa (bianco e nero e colori, fissione e fusione), il suo fetish per musica e il sonoro, il montaggio serrato, tagliente e quai nevrotico e suoi labirinti. In poche parole: la matematica anche qui vige sovrana. Eppure "la teoria arriva fino ad un certo punto", poi c'è l'importanza della pratica.
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Il centro della pellicola è la bomba, ma la bomba passa attraverso l'immaginazione di un uomo che per portarla sulla Terra si eleva a Dio, divenendo il volto di un mondo terribile che per andare avanti deve passare anche sopra e oltre gli uomini che non si elevano. Come espressione di questo mondo da loro deve farsi invidiare, scacciare e perseguitare, perché è la sola maniera di farsi seguire, di permettere loro di compiere un destino che non può essere che comune. Mozart e Salieri come Robert J. e Levi Strauss, la divinità e la natura umana.
Questo contrasto così terreno Nolan lo mette al servizio di un film che rifiuta il biopic e il cinema storico per abbracciare un genere molto più strutturalmente regolabile come il thriller e racconta la più grande e terribile manifestazione biblica della Storia, la genesi del mondo contemporaneo, rifocalizzandosi sempre sui suoi protagonisti.
Oppenheimer è un film che si restringe intorno al volto allucinato di Cillian Murphy e quello mefistofelico di Robert Downey Jr., adoperando la matematica, il sistema, per raccontare l'umanità e Dio, le allegorie intorno a cui ruota. Una novità per chi ha sempre tenuto molto al primo e molto poco alle seconde.