A ben dodici anni di distanza da Nightmare Before Christmas, arriva finalmente sugli schermi La sposa cadavere, il nuovo capolavoro animato di Tim Burton. Atteso con impazienza dagli ormai numerosissimi fan del folletto di Burbank sparsi in giro per il mondo, questo piccolo gioiello dell'animazione a passo uno condivide con il progenitore natalizio le anomalie di un prodotto tanto originale e sofisticato quanto difficile da catalogare proprio in virtù delle sue peculiarità.
Lontanissimo dall'animazione disneyana più tradizionale, La sposa cadavere non ha un target di pubblico ben definito, ma è diretto a tutti coloro che amano i mondi immaginati un po' strampalati di Burton, adulti, bambini e...cani, come sostiene candidamente lo stesso regista. Un'opera che ha richiesto una gestazione di ben dieci anni e che presenta un livello di maturità assai superiore rispetto al precedente Nightmare Before Christmas a partire dalla stessa sceneggiatura. Il nucleo della vicenda ha radici molto antiche, si tratta infatti di una fiaba ebreo-russa ispirata alle violenze subite dagli ebrei nei secoli scorsi quando gli antisemiti si recavano ai matrimoni israeliti per uccidere le spose, evitando così il perpetuarsi della stirpe e seppellendo i cadaveri con ancora indosso l'abito nuziale. Burton conserva solo il nucleo centrale della fiaba, per lanciarsi nell'ennesima ricostruzione di un universo fantastico così eccentrico e personale da essere ormai immediatamente riconoscibile.
Leggende russe e stop motion
Lo spunto storico dà vita a un avvincente triangolo amoroso immerso in una cupa luce vittoriana e denso di citazioni metafilmiche, il tutto racchiuso nella brillante confezione del musical. Al fianco di Burton troviamo, infatti, nuovamente Danny Elfman, ormai capace di tradurre in musica ogni eccentrico progetto del regista, che ha composto le canzoni del film ispirandosi al suo genere musicale preferito: il jazz anni '30 (basti pensare al Bau Bau/Cab Calloway di Nightmare Before Christmas). Elfman presta la propria voce a Bonejangles, leader degli Skeletons nonché narratore delle sfortunate vicende della sposa cadavere. La sposa cadavere rappresenta un prodotto quasi unico sul mercato cinematografico anche in virtù della scelta di adottare nuovamente la tecnica della stop motion, in auge negli anni '50 (e successivamente accantonata perché ritenuta dispendiosa e obsoleta) grazie alle prodigiose invenzioni di Ray Harryausen, maestro omaggiato con una citazione dei suoi mitici argonauti all'interno del film. Va a Burton il merito di aver resuscitato e reso affascinante l'animazione a passo uno grazie ai suoi lavori, a partire da Vincent, primo cortometraggio realizzato in veste di regista, fino ai due musical animati: Nightmare Before Christmas e La sposa cadavere.
L'anarchia e la precisione dell'animazione
La stop motion è una tecnica che richiede un notevole dispendio di tempo, energie e pazienza: tutti i set del film sono stati costruiti fin nei minimi dettagli e adeguatamente illuminati mentre i pupazzi venivano spostati da un ambiente all'altro per girare i vari ciak, proprio come accade per gli attori in carne ed ossa. Inoltre per ogni singolo personaggio è stato progettato un sofisticato meccanismo che permette di modificare leggermente l'espressione del volto muovendo labbra e sopracciglia, così da umanizzare al massimo e rendere quasi vivi questi straordinari pupazzi. A condividere con Burton una così vasta mole di lavoro è intervenuto il texano Mike Johnson, esperto di animazione e co-regista di Corpse Bride, che ha seguito in prima persona tutte le riprese, garantendo l'armonizzazione tra i ventisei differenti set mentre Burton si divideva tra la sposa cadavere e le riprese di La fabbrica di cioccolato.
I morti sono più vivi dei vivi
Assolutamente innovativo anche l'utilizzo del digitale che, da antagonista dell'animazione a passo uno, per la prima volta è stato posto al suo servizio permettendo maggiore rapidità nelle riprese, ma soprattutto un eccezionale risultato artistico, con la macchina da presa che fluttua con grazia a fotografare i due mondi opposti in cui si svolge l'azione drammatica: il lugubre e grigiastro paesaggio vittoriano del villaggio in cui abitano Victor e Victoria e lo stralunato, caotico, divertente Mondo dei Morti, ispirato alle architetture di Gaudì e intriso dei mille colori che sembrano colare giù dalla Terra dei Vivi. Le telecamere che, grazie al digitale, riprendono i pupazzi da una distanza ridottissima, permettono di accentuare la tridimensionalità dei corpi, esaltandone la fisicità, i dettagli estremamente curati e l'espressività quasi umana.
Gran parte del merito per il risultato ottenuto va infine, anche all'incredibile cast di voci che Burton è riuscito a riunire per narrare la sua fiaba, a cominciare dall'alter ego Johnny Depp, nel ruolo per lui inedito di doppiatore di Victor, giovane timido e imbranato alle prese con un duplice matrimonio. Le voci delle due protagoniste femminili appartengono invece a Helena Bonham Carter, compagna di Burton nonché sua nuova attrice feticcio, qui nei panni della bella e sfortunata Emily, sposa cadavere in cerca d'amore, e di Emily Watson, che presta la sua voce alla dolce Victoria. Albert Finney, già protagonista di Big Fish, doppia il viscido padre di Victoria, mentre Christopher Lee dona la sua voce profonda e carismatica al Pastore Galswell, colui che, involontariamente, getterà l'imbranato Victor nelle braccia della sposa cadavere.