Recensione Lontano dal paradiso (2002)

Todd Haynes omaggia un genere, il melò, reso celebre negli anni '50 da Douglas Sirk, in film come il famoso Lo specchio della vita.

Omaggio a Douglas Sirk

Todd Haynes omaggia un genere, il melò, forse sottovalutato ai giorni nostri, ma che aveva conosciuto il suo momento di trionfo negli anni '50, proprio il periodo in cui è ambientato questo Lontano dal paradiso (Far from heaven). Il bravo regista e sceneggiatore decide di ricreare quindi non solo l'atmosfera dei favolosi fifties, ma proprio quella dei grandi melodrammi, con i loro colori pastello, i tipici titoli introduttivi e le loro musiche passionali (qui composte dal bravo Elmer Bernstein), che imperavano all'epoca sul grande schermo, primi fra tutti quelli di Douglas Sirk, autore di indimenticabili film come Lo specchio della vita. E proprio uno dei temi trattati in questa pellicola torna alla ribalta nel film di Haynes: il razzismo. Ma il regista, cercando di avvicinare la sua opera ad un pubblico più moderno rispetto a quello di Sirk, non si limita a questo ed aggiunge anche la problematica dell'omosessualità, dipingendo così la vita di Kathy Withaker (una strepitosa Julianne Moore), distrutta dall'omosessualità del marito Frank (Dennis Quaid), ed impossibilitata a qualsiasi contatto anche umano con l'unica persona capace di aiutarla in questo frangente, il giardiniere di colore Raymond (Dennis Haysbert).
Quello che però non bisogna fare è considerare questo film un mero tributo ad un genere, oppure un film di denuncia nei confronti dell'intolleranza verso coloured e gay. In realtà Lontano dal paradiso è un'analisi puntuale di come la società, che sia quella degli anni '50 o quella odierna, tarpa le ali alle nostre passioni. In questo modo lo scenario ricreato da Haynes e dal direttore della fotografia Edward Lachman non è solo dovuto ad una scelta stilistica ed ad un tributo, ma rappresenta anche la falsità del mondo e l'importanza che esso dà alle apparenze. Ne abbiamo un esempio eclatante nel personaggio di Kathy. Fin dall'inizio, pur nella sua felicità fittizia, la donna rivela che non ha mai desiderato nulla; i suoi sogni e i suoi intimi desideri sono sempre stati così repressi, tanto che lei non sembra neanche rendersi conto di averne. Anche nei momenti di più atroce sofferenza, Kathy sembra non essere capace di esprimere i suoi sentimenti in modo passionale, ma solo attraverso i colori degli abiti che indossa: nei momenti di maggior tensione saranno sempre colori freddi, sintomo della sua infelicità e della sua impossibilità ad esprimersi. Il personaggio interpretato da Julianne Moore è in realtà una donna buona, genuina che, educata nel suo tempo e all'interno della sua classe sociale, ha perduto la possibilità di capirsi veramente. Diviene così una perfetta donna di casa, stereotipata, buona e disponibile, senza gesti di cattiveria ma anche superficiale. Raymond al contrario è una persona solare, piena di fiducia nel mondo e sicuro che per sua figlia ci sarà un avvenire tranquillo e sicuro. Il dolore che li colpirà cambierà profondamente entrambi; Raymond rinuncerà forse alle sue illusioni, ma Kathy, anche se ha perso tutto, prenderà finalmente coscienza dei suoi desideri e dei suoi sogni, vestita con un cappotto rosso, simbolo delle sue passioni ritrovate.