Il tramonto del vampiro è sopra un sole che sorge. È lì, tra sangue e gemiti, che non è più l'amore a vincere tutto. Solo la morte ha vinto. Così mette la parola "fine" il Nosferatu di Robert Eggers, con un una chiusura evocativa e potente, che rielabora la tragedia del film originale del 1922, ampliandone il significato attraverso una lente più psicologica. Più intima.

Eggers, con la sua attenzione maniacale al dettaglio e il suo approccio profondamente radicato nel folklore e nella mitologia, non si è limitato a ricostruire il mito del vampiro, anzi, lo ha decostruito. Scarnificato, quasi ridicolizzato, trasformandolo in un'esperienza sensoriale e simbolica che lascia il pubblico sospeso tra orrore e fascinazione. Con l'arrivo in tv su Sky, ragioniamo allora sul finale di Nosferatu.
Il sacrificio di Ellen: da vittima a protagonista del proprio destino
La figura di Ellen Hutter, interpretata da Lily-Rose Depp, è centrale nel climax del film. Se nel Nosferatu di Murnau Ellen era la tipica eroina gotica, il cui destino era segnato dalla sua stessa vulnerabilità, in questa nuova versione il suo ruolo si carica di una profondità psicologica più marcata. Ellen non è più solo una vittima sacrificale, ma una donna che prende consapevolezza del proprio potere. La sua decisione di offrire sé stessa al vampiro non è un atto passivo, bensì una scelta deliberata, quasi ritualistica, per spezzare la maledizione che affligge la sua città.
Eggers costruisce la tensione verso la fine che l'attende con una messinscena sospesa, quasi ipnotica, in cui il confine tra desiderio e terrore si dissolve. La scena culminante tra Ellen e il conte Orlok è un momento di intensità visiva e narrativa: il vampiro si avvicina a lei con una lentezza esasperante, la sua ombra si allunga minacciosa, mentre Ellen, anziché fuggire, lo attira a sé con uno sguardo carico di accettazione e sfida. Qui il regista sfrutta al massimo il contrasto tra luci e ombre, evocando la pittura espressionista tedesca, in un gioco visivo che amplifica la sensazione di ineluttabilità. Ed è Ellen, alla fine, che dipinge questa tela: col sangue e la luce di una nuova alba.
Erotismo e orrore: la seduzione (malata) del vampiro

Uno degli elementi più disturbanti di questo Nosferatu è la sua carica erotica latente. Il vampiro, nella tradizione letteraria e cinematografica, è da sempre simbolo di desideri repressi, di pulsioni oscure che si annidano nell'inconscio umano. La scena dell'incontro tra Ellen e Orlok gioca su questo aspetto in modo audace e viscerale. Eggers accentua l'ambiguità della relazione tra preda e predatore, sottolineando la domanda su "chi è chi?" e rendendo il loro incontro un'esperienza quasi estatica, in cui la paura si mescola con il piacere proibito.
L'iconografia del vampiro ha sempre avuto una forte connotazione sessuale, e qui la messa in scena porta all'estremo questa simbologia. Il morso del vampiro, da sempre metafora dell'atto sessuale e della perdita dell'innocenza, viene reso in maniera quasi religiosa, come una sorta di comunione profana che suggella il destino di Ellen.

Sebbene il sacrificio di Ellen porti alla distruzione di Orlok, la sua morte non viene dipinta come una vittoria. Eggers, come nei suoi film precedenti, lascia l'interpretazione morale del finale alla lettura dello spettatore, suggerendo a quale costo il male possa essere sconfitto. La luce dell'alba che dissolve Orlok è tanto simbolo di speranza quanto di tragedia: Ellen giace priva di vita sotto i raggi del sole, il suo sacrificio necessario per il ritorno alla normalità.
La domanda che il film lascia è inquietante: ne è valsa la pena? Nel cinema di Eggers, la natura ciclica del mito e della paura è sempre presente: la luce trionfa, ma la notte tornerà sempre.
La caduta di Orlok: sangue, decomposizione e disfacimento
Uno degli elementi più discussi del film è la rappresentazione della morte del conte Orlok. Tradizionalmente, il vampiro viene distrutto dalla luce del sole, simbolo della purificazione e della vittoria del bene sul male. Anche in questo caso, il finale riprende l'iconografia classica, ma la esacerba fino a renderla disturbante.
Orlok non si limita a dissolversi nella luce, ma subisce una disintegrazione lenta e dolorosa. Il sangue fuoriesce da ogni orifizio del suo corpo: occhi, bocca, orecchie... e, nella versione originale concepita da Eggers, anche dall'ano. Questa scelta, apparentemente grottesca, è in realtà un dettaglio altamente simbolico. Il sangue, elemento vitale per il vampiro, diventa qui segno della sua completa degenerazione, della sua incapacità di trattenere ciò che gli ha garantito l'esistenza. La fuoriuscita incontrollata del sangue è metafora di una disfatta totale, in cui il corpo stesso si ribella alla sua condizione di creatura immortale e si sfalda nella decomposizione.
Eggers ha spiegato in un'intervista che questa scena voleva rappresentare il ritorno del vampiro alla sua condizione più primitiva e animalesca: un essere non più controllato, non più minaccioso, ma ridotto a un guscio svuotato della sua essenza. Tuttavia, la scena è stata giudicata troppo estrema e rimossa dal montaggio finale.
Il finale di Nosferatu non è solo la conclusione di un horror gotico, ma una riflessione sulla condizione umana. Il vampiro, essere dannato sospeso tra vita e morte, è metafora dei desideri inespressi, delle pulsioni represse e della paura dell'ignoto. Ellen, con il suo sacrificio, incarna la figura dell'eroe tragico che affronta il male consapevole del prezzo da pagare.
Eggers, insomma, ci regala un'opera che non è solo un omaggio al cinema espressionista, ma un'indagine profonda sui temi della mortalità, della paura e della perversione del desiderio. Nosferatu è un film che ci ricorda che, in fondo, possiamo essere vittimi o eroi della nostra storia. Almeno fino all'alba.