Viaggia veloce, viaggia sereno, mio giovane amico, nel paese degli spettri...
Un ghigno sadico si allarga sul volto ributtante del signor Knock, agente immobiliare della cittadina tedesca di Wisborg, mentre vagheggia l'affare da pattuire con il misterioso Conte Orlok. Knock, interpretato dal caratterista Alexander Granach, è una figura laida e grottesca, il cui sguardo è letteralmente allucinato dalla prospettiva di un guadagno truffaldino; e questa selvaggia avidità sembra contagiare anche il suo dipendente, il giovane Thomas Hutter (Gustav von Wangenheim), spedito in Transilvania per chiudere il contratto. Non sono trascorsi neppure cinque minuti dai titoli di testa di Nosferatu il vampiro, ma già siamo messi di fronte a una realtà inesorabile: perfino nella ridente Wisborg, scenario idilliaco di serenità e di civiltà, si annida un germe malevolo in grado di contagiare ogni essere umano.
Il dialogo fra Knock e Hutter è un momento profetico per più di un motivo; è una prima scintilla di 'mostruosità' che anticipa la comparsa del mostro vero e proprio. Ma, rivisto con la consapevolezza tragica della storia, quasi suggerisce il collasso morale della Repubblica di Weimar e, in maniera ancor più inquietante, la vena di antisemitismo destinata a emergere con prepotenza nell'arco del decennio a venire; e Alexander Granach, attore ebreo, nelle sembianze e negli atteggiamenti pare aderire allo stereotipo dell'usuraio che tanta parte avrà nella retorica antisemita. Si tratta forse di suggestioni involontarie, ma non per questo meno angosciose, di un film che come pochi altri ha saputo raccontare non solo il proprio tempo, ma pure i cambiamenti imminenti che avrebbero portato al tramonto di un'epoca e all'inizio del viaggio verso la catastrofe.
L'icona del vampiro da Bram Stoker a F.W. Murnau
Nosferatu il vampiro fa il suo debutto nei cinema tedeschi il 15 marzo 1922, un mese dopo la presentazione nei Paesi Bassi e undici giorni dopo la sontuosa anteprima nazionale nella "sala di marmo" del giardino zoologico di Berlino. Si tratta del titolo di lancio della Prana Film, una casa di produzione fondata appena l'anno prima da Albin Grau, artista e scenografo dedito all'occulto, ma finita in bancarotta da lì a poco. La sorte di Nosferatu, diretto dal trentaduenne Friedrich Wilhelm Murnau, rischia di seguire quella della Prana Film: la causa intentata dagli eredi di Bram Stoker per violazione del diritto d'autore sfocia nella condanna della pellicola e nella distruzione di quasi tutte le copie esistenti. La miracolosa sopravvivenza di Nosferatu (vocabolo rumeno per "non morto") permetterà all'opera di F.W. Murnau di superare anche la prova del tempo, attestandosi fra i capolavori del cinema mondiale e fra gli antesignani dell'horror paranormale.
Fra Dracula, romanzo epistolare di Bram Stoker consacrato come caposaldo della narrativa gotica, e Nosferatu, sceneggiato dall'attore e regista austriaco Henrik Galeen (l'artefice de Il Golem) sulla base dell'opera di Stoker, intercorre a malapena un quarto di secolo. Stoker da un lato, Murnau dall'altro consegneranno all'immaginario collettivo due visioni complementari del mito del vampiro: se il Dracula originale si presta a riletture in chiave romantica, quasi da eroe maudit (si pensi, un esempio su tutti, al Dracula di Bram Stoker di Francis Ford Coppola), Galeen e Murnau avranno il merito di disegnare un vampiro che è invece l'incarnazione repellente di un Male metafisico, affidando all'attore teatrale Max Schreck il compito di prestare il volto al Conte Orlok, sinistro individuo con fattezze rachitiche, pallore cadaverico, lunghissimi artigli acuminati e tratti deformi che ne cancellano ogni residua traccia di umanità.
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Dare volto all'orrore
Il Nosferatu di Max Schreck, che lo stupefatto Thomas Hutter vede sollevarsi dalla bara e che si materializza d'improvviso alla finestra della sua amata Ellen (Greta Schröder), è un'orripilante creatura zombiesca, del tutto priva di quel fascino bryoniano attribuito spesso dalla tradizione al Conte Dracula. È il modello riproposto nel 1979 da Klaus Kinski in Nosferatu, principe della notte, magnifico omaggio di Werner Herzog al film di Murnau, e che nel 2000 sarà oggetto della fantasiosa ricostruzione de L'ombra del vampiro di E. Elias Merhige. Nella Germania del 1922, ancora segnata dalle rovine della Prima Guerra Mondiale e dai suoi due milioni e mezzo di vittime, Nosferatu si pone a emblema di un orrore tanto più agghiacciante nel suo manifestarsi quanto più difficile da inquadrare in logiche razionali. L'essenza stessa di Nosferatu è aliena alle norme della civiltà, e solo l'esoterismo (il Libro dei vampiri letto da Ellen) può permettere di comprenderne la natura stregonesca.
In Nosferatu, in quella sagoma umanoide dai contorni demoniaci, Murnau dà corpo alle pulsioni mortifere di fronte alle quali, negli anni precedenti, l'intera Europa era parsa sul punto di soccombere: una guerra 'totale' che per oltre quattro anni aveva insanguinato più di un continente, con armi terribili mai sperimentate prima, e l'influenza spagnola che, sul finire del conflitto, aveva contribuito a spazzar via quel poco che rimaneva delle "magnifiche sorti e progressive". A rendere Nosferatu uno dei più grandi horror mai realizzati è proprio il suo essere, più che un film di 'paura', uno straordinario ritratto del Male e della sua ineluttabilità; sintetizzata splendidamente, prima ancora che dal lugubre maniero di Orlok, dalle belve feroci dei Carpazi o dai ratti portatori di peste, dall'implacabile eleganza con cui una pianta carnivora richiude le sue fauci assassine attorno alla propria vittima.