Dobbiamo iniziare la nostra recensione di Non ci resta che piangere scrivendo una cosa ovvia e all'apparenza banale, ovvero che nessun film è come quello diretto, scritto e interpretato da Roberto Benigni e Massimo Troisi. Nessun film è allo stesso tempo così divertente, nonostante ormai siano passati più di 35 anni dall'uscita in sala, e così sgangherato e imperfetto. Se dovessimo seguire i manuali e le regole sul come si dovrebbe scrivere e girare un film, Non ci resta che piangere sarebbe il classico esempio da non seguire. Una trama quasi inesistente che è solo la scusa per mettere in scena la storia di Mario e Saverio, un bidello e un maestro, due amici che si ritrovano all'improvviso nell'Italia del 1492, località Frittole. Non ha nemmeno un vero e proprio finale: i due rimarranno lì, incapaci di ritornare nel presente, lasciando la loro storia sospesa come il fermo immagine su cui scorrono i titoli di coda. E, a ben vedere, il film non ha nemmeno un vero e proprio svolgimento narrativo: i due resteranno un po' a Frittole prima di mettersi in viaggio per fermare Cristoforo Colombo e la sua scoperta dell'America mentre, lo diciamo con una certa ironia, succederanno cose. Più una sequenza di sketch, idee, quasi del tutto improvvisati dai due attori che spesso non si trattengono dalle risate, Non ci resta che piangere è diventato negli anni un vero e proprio cult. Merito dei due protagonisti, giullari perfetti, l'uno l'opposto dell'altro, divertenti e divertiti nel mettersi in scena in un momento storico, il 1984, dove erano entrambi e insieme all'apice del successo. Parlare di questo film comico oggi equivale a scontrarsi con una strana mosca bianca della storia del cinema italiano ed è per questo che abbiamo scelto, con molta fatica, 5 scene cult di questo capolavoro della comicità, che possano descrivere al meglio gli elementi che rendono Non ci resta che piangere un film che non smette di far ridere.
1. Il passaggio del treno
Non potevamo che iniziare il nostro viaggio con l'inizio del film, dove i due protagonisti vengono subito presentati e il loro carattere salta subito all'occhio. Mario (Massimo Troisi) è un bidello che sta aspettando il suo amico e maestro di scuola elementare Saverio (Roberto Benigni) in auto. Durante il viaggio Saverio è preoccupato per la sorella, caduta in depressione da tempo per essere stata lasciata dal ragazzo americano e si confida all'amico cercando di convincerlo a sposarla. Attendono a lungo davanti a un passaggio a livello chiuso, in attesa che passi un treno (o forse più di uno). Salgono e scendono dalla macchina, iniziano e lasciano a metà i discorsi. Subito si nota la cifra stilistica del film intero: lunghe scene in cui Benigni e Troisi sanno di seguire un canovaccio ma vanno a braccio, si parlano sopra, si sfidano a essere l'uno più divertente dell'altro, ognuno col suo modo di esprimersi, nella lotta continua di cercare di far ridere l'altro o trattenersi. Si ha subito la sensazione che il film nasca da un montaggio delle riprese più riuscite e, infatti, non esiste un solo montaggio definitivo del film (alcune scene, anche parecchio lunghe sono state tagliate dalla versione cinematografica e destinate a rarissime trasmissioni televisive in cui il film arriva alle due ore e mezza!).
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2. Il corteggiamento di Pia
Persi nella città di Frittole, Mario e Saverio iniziano a partecipare alla vita quotidiana del "millequattrocento, quasi millecinque" scoprendo nuovi metodi di corteggiamento. E proprio il più timido, pauroso e introverso Mario avrà l'opportunità di cogliere le attenzioni della giovane Pia (Amanda Sandrelli) con cui inizierà una relazione che lo allontanerà da Saverio (va detto, giusto il tempo per concludere le possibilità comiche). Venendo dal futuro e scambiato per un artista, Mario inizia a corteggiare Pia cantandole grandi successi musicali come Yesterday dei Beatles (costò settanta milioni di lire comprarne i diritti a detta del produttore Mauro Berardi), Volare di Domenico Modugno e addirittura il nostro inno italiano. Saverio, d'altra parte, diventa geloso del rapporto del suo amico e in una scena divertentissima, dovrà fingere di essere un cavallo per fare in modo che Mario possa parlare con Pia. La stessa ragazza, il cui padre ha inventato il gioco della palla, diventa indimenticabile quando le viene a mancare il respiro mentre parla. Ciò che funziona davvero bene nel film non è solo il ritmo comico, che più che puntare su un tempo da slapstick vivace costruisce lunghe sequenze dove è l'accumulo di assurdità e un certo istinto a "tirarla per le lunghe", ma il modo in cui ogni faccia, ogni personaggio, ogni frase si inserisce e si sposa perfettamente con l'atmosfera surreale: si ride per forza di cose.
3. La lettera a Savonarola
Non potevamo non citare la lettera che Mario e Saverio scrivono insieme con una penna (d'oca, ma aguzzate la vista: ad un certo punto diventa una penna a inchiostro) sul foglio della macelleria e destinata a Savonarola. Un omaggio a un'altra coppia storica che nel loro Totò, Peppino e... la malafemmina improvvisavano allo stesso modo con risultati uguali. La forza di un film comico passa proprio attraverso scene del genere. Si nota che non c'è una sceneggiatura solida a sorreggere il tutto, si nota che ciò che funziona è l'incredibile talento di Troisi e Benigni che si amalgamano a vicenda, il primo a guidare, il secondo a insistere su quella linea comica e stimolare l'altro. Ne esce un vero e proprio capolavoro della comicità, con alcune frasi diventate ormai iconiche. Merito del conflitto tra la dialettica toscana e napoletana che danno vita a una cacofonia di frasi, modi di dire e pensieri che non può lasciare indifferenti.
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4. La dogana
E a proposito di frasi diventate ormai iconiche non potevamo tralasciare due minuti di film che sono l'apice di Non ci resta che piangere, tant'è che in seguito a questa scena, con l'arrivo in Spagna dei due protagonisti, il film perde un po' di quella brillantezza che l'aveva caratterizzato fino a quel momento. Il passaggio alla dogana, con il doganiere ripetitivo a chiedere quanti sono, cosa portano e a reclamare il fiorino per oltrepassare la linea, è uno dei momenti più divertenti del film. Gli stessi attori, proprio a inizio della scena, non riescono a trattenersi dal ridere (Benigni non nasconde nemmeno il suo divertimento). È anche una scena che sottolinea come un film di questo tipo, con altri attori e forse anche con una scrittura più ragionata non avrebbe funzionato allo stesso modo. Si racconta che i due attori, dopo mesi di ritiri creativi (leggasi vacanze a spese della produzione) si siano presentati con soli due appunti: medioevo e Cristoforo Colombo. È proprio la leggerezza e, perché no, l'anarchia che si sprigiona dalle riprese che rende il film unico e indimenticabile.
5. L'incontro con Leonardo Da Vinci
C'è un'ultima scena cult che rientra negli annali della comicità italiana. L'incontro tra Mario e Saverio e Leonardo Da Vinci che, a prima vista, non sembra proprio il genio che i libri di storia raccontano. Rompono il ghiaccio con una battuta indimenticabile ("Ma 9x9 farà 81?") e da lì iniziano un incontro per inventare la modernità, dividendo i ricavi al 33% ciascuno. Incapace di comprendere il termometro, il semaforo, persino il gioco di carte con la scopa (momento che non si può descrivere da quanto fa ridere, Troisi è veramente un napoletano ferito nell'anima), Leonardo riesce però a costruire il treno. Simbolo che chiudeva anche un film di Sergio Leone come simbolo della modernità (C'era una volta il West), l'arrivo del treno con i festeggiamenti di Mario e Saverio, ormai destinati a rimanere sospesi in quel limbo temporale, ha un duplice significato. Da un lato, il film si conclude proprio con l'arrivo della modernità: in un certo senso i due protagonisti sono tornati, con un primo passo, al presente. Dall'altro non possiamo non ricordare il film dei fratelli Lumiere: l'arrivo del treno equivale all'ode al cinema definitiva, un film che, nel caso di Non ci resta che piangere è destinato a rimanere nella Storia, unico, intoccabile, cult.
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Conclusioni
A conclusione della nostra recensione di Non ci resta che piangere non possiamo che acclamare e riconoscere una volta di più il capolavoro di Roberto Benigni e Massimo Troisi. Non tutto funziona per tutta la durata del film, soprattutto nella seconda parte quando non sempre la comicità punge come nel resto della pellicola, ma non è un grosso problema. È il film comico italiano per eccellenza, tutto basato sull’improvvisazione e l’alchimia dei due talenti, capace di divertire (e anche molto) a distanza di quasi quarant’anni. Le numerose scene iconiche e le battute ormai entrare nell’immaginario collettivo rendono il film unico e indimenticabile.
Perché ci piace
- Benigni e Troisi sono due vere forze della natura, capaci di improvvisare e sorreggersi a vicenda per tutta la durata del film.
- Alcune scene sono così iconiche da essere entrate nell’immaginario popolare.
- A distanza di quasi quarant’anni il film continua a divertire come fosse la prima volta, senza stancare mai…
Cosa non va
- …anche se, soprattutto nella seconda parte, il film perde un po’ di quella brillantezza che l’aveva caratterizzato fino a prima.