Niente di nuovo sul fronte occidentale, la recensione: la guerra del dolore

La recensione di Niente di nuovo sul fronte occidentale: il film diretto da Edward Berger, disponibile su Netflix, non racconta con epicità il conflitto bellico, ma è interessato a mostrarne le incongruenze e incomprensibili motivazioni.

Niente di nuovo sul fronte occidentale, la recensione: la guerra del dolore

Nello spazio di una trincea non c'è possibilità di muoversi, sperare, sognare; in quei pochi metri vitali c'è giusto lo spazio per sopravvivere. Limitati a guardare il cielo, i soldati passano il tempo a tenere giù la testa, alzando elmetti e fucili per sparare, senza comprendere a pieno per chi, o per cosa. I soldati al fronte sanno solo che devono indossare una divisa, trascinarsi in cumuli di fango, e sopravvivere, nell'attesa di un domani, o nell'estenuante speranza che un giorno nuovo inizi per ricominciare tutto da capo, tra spari, macerie, corpi, morte. Una ciclicità di eventi che si fanno riti quotidiani di una lotta alla salvezza giocata a corpo a corpo con la morte, tra spari improvvisi, e attacchi sanguinari.

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Niente di nuovo sul fronte occidentale: un frame del film

Come sottolineeremo in questa recensione di Niente di nuovo sul fronte occidentale, il film tratto dal romanzo storico di Erich Maria Remarque (edito in Italia nel 1931) non ha intenzione di redigere un manifesto retorico sulla guerra. In ogni inquadratura si sente il tanfo nauseante della morte; nessuna edulcorazione di genere, nell'opera di Edward Berger tutto si ammanta di istinto e di un'umanità depravata dalla forza ambiziosa di governi pronti a sacrificare l'anima dei propri cittadini, pur di elevarsi a dominatori territoriali. Il contesto è quello della Prima Guerra Mondiale, ma potrebbe perfettamente rispondere alla nostra quotidianità. Già, perché come mostra sottilmente anche Niente di nuovo sul fronte occidentale, quello della guerra è un giro infinito, una ripetizione senza fine. Una giostra che cambia nell'aspetto, nella funzionalità, ma non nella sostanza. La raccolta delle piastrine compiuta all'inizio e alla fine del film, così come il passaggio di un semplice fazzoletto, sono sintomi associativi di una reiterazione infinita, rituali di trapasso dalla condizione umana a quella ferocemente animale, in una storia che si ripete nello spazio di una trincea, o di un campo innevato, tutto dominato dallo sguardo della morte.

Niente di nuovo sul fronte occidentale: la trama

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Niente di nuovo sul fronte occidentale: una sequenza del film

Paul Bäumer è giovane studente deciso ad arruolarsi nell'esercito imperiale tedesco dopo aver ascoltato il discorso patriottico del proprio professore. Insieme a un pugno di compagni parte per il fronte occidentale. In trincea l'euforia iniziale si tramuta in disperazione e il primo bombardamento manda subito in frantumi ogni barlume di speranza e di ideali. Paul scopre l'orrore della Prima Guerra Mondiale e perde le sue illusioni con i compagni, falciati uno dopo l'altro. Quello in cui si incammina è un percorso a ostacoli, alternato tra superiori pronti a tutto pur di non soccombere, e nemici determinati a sopravvivere. Una marcia, quella intrapresa da Paul e dai suoi compagni, lenta e dolorosa, che li condurrà alla fine a un passo dall'armistizio e nel braccio della morte.

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Sguardo mortifero d'insieme

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Niente di nuovo sul fronte occidentale: una scena del film drammatico

Niente di nuovo sul fronte occidentale non è un racconto epico, e nemmeno un abbraccio di umana compassione. Filtrato dallo sguardo di Edward Berger, il film si tramuta in corollario di visioni di insieme, riprese ad ampio spettro capaci di cogliere e raccogliere nello spazio di un'inquadratura corpi destinati a elevarsi a numeri, nomi da imprimere su un elenco di caduti, ombre pronte a cadere su quell'ambiente che li circonda e li richiama a sé. Ogni ripresa si fa pertanto stretta eterna tra la natura selvaggia, gelida che segue e attornia ogni soldato, e la parte umana che quegli scenari attraversa, guardandoli per l'ultima volta. Freddo, o caldo, poco importa; le temperature sono irrilevanti quando ad attraversare lo strato epidermico di ogni personaggio è l'alito glaciale della morte. Un'accompagnatrice silente, instancabile, che tutto scruta e abbraccia, resa in termini visivi da una fotografia cinerea, brumosa, dove tonalità calde e fredde vengono intaccate da uno strato mortifero di una mano pronta a cogliere ogni giovane anima, scambiandola con occhi sgranati, vitrei, eternamente colti nell'attimo di un ultimo, doloroso, sguardo.

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Un gioco senza vincitori

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Niente di nuovo sul fronte occidentale: una scena del film

Non ci sono vincitori o vinti nel gioco della guerra. A uscirne trionfante è solo l'abito della morte. Una democrazia ugualitaria, priva di pregiudizi e privilegi, che accoglie tra le sue braccia tutto e tutti indifferentemente. Trascinata dal fanatismo becero, e da una propaganda illusoria che tradisce ogni giovane aspettativa, la componente umana viene lanciata al fronte traducendo le sofferenze del popolo tedesco in un linguaggio orrorifico dalla portata universale. Una parità che la regia di Berger sottolinea con fermezza, puntando sull'ampiezza delle proprie inquadrature, evitando così di indugiare su tanti primi piani dei propri personaggi. I suoi soldati sono anime di passaggio, pedine lanciate con noncuranza sul campo di battaglia. Ogni tracciamento psicologico è ridotto al grado zero rendendo quasi impossibile il più piccolo tentativo di immedesimazione empatica tra lo spettatore e i giovani sullo schermo. Il processo affettivo è lasciato alle conseguenze che l'arruolamento ha su questi personaggi, sulle loro morti atroci, ingiustificabili, incomprensibili.

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Niente di nuovo sul fronte occidentale: una sequenza

L'unico sguardo che ci chiama, chiedendoci di osservare lo spettacolo di morte che lo circonda con i suoi stessi occhi, è quello del protagonista, reso reale e imperfettamente umano da un ottimo e profondamente lacerato Felix Kammerer. Sempre a dovuta distanza, la macchina da presa si ancora al corpo di Paul innalzandolo a guida privilegiata in questo cerchio infernale senza punto di fuga. Virgilio del fronte occidentale, Paul accetta inconsciamente di mostrare gli orrori del combattimento bellico; la sua storia è la traduzione umana e concreta delle decisioni prese da governi impazziti, accecati dalla sete di potere. Un braccio di ferro, dove l'inerzia degli avanzamenti e l'immobilità empatica e decisionale degli ufficiali, viene restituito sullo schermo da un montaggio alternato mai forzato, ma perfettamente equilibrato. Uno scarto visivo e ambientale attraverso il quale viene sbattuto violentemente in faccia allo spettatore - e senza nemmeno mezzi termini - quanto la decisione di pochi possa influire sul destino di molti.

Senza mai ricorrere a soggettive, ma puntando tutto sulla potenza impattante sia delle immagini, che dei piani sequenza, lo spazio tra lo schermo e quello personale dello spettatore si fa sempre più esiguo, riducendosi a quello di una trincea. Il regista lascia così il proprio pubblico senza fiato, soldati cinefili perennemente in apnea, lasciati a correre con la fantasia, lontano dagli orrori, lontano dal terrore bellico, lontano da un fronte occidentale in cui non pare esservi nulla di nuovo, ma tutto è la copia di una copia di mille incubi precedenti.

Conclusioni

Concludiamo questa recensione di Niente di nuovo sul fronte occidentale sottolineando come il tentativo del regista di Edward Berger di redigere un manifesto per nulla retorico sulla guerra, risulti perfettamente riuscito. Costruendo una galleria di insieme di una giostra bellica continuamente in funzione, priva di vincitori o vinti, il regista punta tutto sulla potenza degli ambienti e delle attese, una messa in pausa dove ad attendere i soldati alla fine del traguardo c'è solo la presenza della morte.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
3.8/5

Perché ci piace

  • La regia di Edward Berger.
  • Il piano sequenza iniziale.
  • La performance introspettiva di Felix Kammerer.
  • La fotografia cinerea e nebulosa.
  • La crudezza della messa in scena delle morti.

Cosa non va

  • La durata, un po' troppo eccessiva.