Nick Cave: una rockstar a Berlino per 20,000 Days on Earth

L'artista australiano è a Berlino per presentare il documentario 20,000 Days on Earth in cui racconta tra fiction e realtà un giorno della sua vita, la visione del suo mondo e la sua filosofia.

E' un mito Nick Cave, è per chi è suo fan è qualcosa di più di un semplice artista, musicista, compositore e scrittore. La fede nei suoi confronti è quasi messianica: nella press conference room della Berlinale anche il più insospettabile dei partecipanti alla conferenza stampa, dove con i registi ha presentato il film 20,000 Days on Earth, alla fine lo insegue per una dedica, una foto e un autografo, sfoderando cd e copertine di vecchi album. "Mi sento strano a dire che è tutto vero quello che c'è nel film, perché comunque si tratta sempre di una sorta di fiction. Ma penso che il processo è stato così particolare che quello che ne risulta è qualcosa di molto vicino alla verità che io volevo mostrare, quindi dal mio punto di vista è tutto vero".

Come ha avuto origine l'idea di questo film?
Jane Pollard: Non era mai stato pensato all'origine per essere un film. Ci stavamo lavorando da sette anni, stavamo mettendo insieme del materiale di repertorio per qualcosa che doveva essere a metà tra un film musicale e un'opera di video arte. Poi abbiamo capito che potevamo fare qualcosa di più, qualcosa di unico, portando dentro le telecamere e coinvolgendo Nick direttamente, lui non è solo un musicista e un compositore, ma anche uno scrittore e uno sceneggiatore fantastico, per cui abbiamo capito che 20,000 Days on Earth poteva diventare qualcosa di speciale, intimo, una sorta di introspezione psicologica per lui stesso.

Quindi per te Nick fare questo film è stata un'occasione per fare una sorta di seduta di psicoanalisi? Nick Cave: No, non propriamente. In realtà è stata un'occasione per parlare e far vedere cose che mi interessano, che sono significative per me, sono io che dico quello che voglio dire e non quello che mi chiedono gli altri o gli altri vogliono sentire. É qualcosa di molto più interessante e personale di un semplice "La vita di Nick Cave".

Quello che vediamo sullo schermo è totalmente spontaneo e improvvisato o è stato anche in parte preparato?
Iain Forsyth: Diciamo che c'è una parte di fiction, con delle situazioni che sono preparate, quando Nick parla con il terapeuta o l'archivista delle foto, ma quello che dice è spontaneo, così come tutta tutta la parte in sala registrazione. La parte che lui recita con la voce fuori campo è uno script, tutto il resto a parte le immagini di repertorio è improvvisato.

Questo film ha l'ambizione di spiegare cosa c'è dietro alla tue canzoni? Nick Cave: Non penso che un film possa spiegare tutto, il mio mondo, il perché delle mie canzoni. Certo si intuisce la mia filosofia e come questa si possa trasformare a volte in canzoni.
Iain Forsyth: Volevamo cercare di concentrarci sul momento presente, il titolo del film non è casuale. Non è una biografia, questo è molto importante da tenere in mente, al di là delle immagini di repertorio questa non è la storia di Nick Cave: i frammenti della sua storia servono magari a lui per delle riflessioni che però riguardano il presente.

Qualche mese fa durante una tua esibizione te la sei presa con qualcuno in prima fila che ti riprendeva col telefonino. E' una cosa che ti infastidisce, che condiziona la tua esibizione?
Al di là di questo, c'è da riflettere sul fatto che oggi le persone anche davanti a un evento dal vivo preferiscono guardare la scena attraverso uno schermo, come se la memoria rimanesse intrappolata attraverso cristalli di vetro. E comunque si, mi dà fastidio cantare davanti a una selva di schermi e telefoni che mi riprendono, sono un corpo estraneo, qualcosa che si frappone tra me e il pubblico.

Quanto ti ha coinvolto emotivamente lavorare a questo film? Quanto c'è di vero di te? Nick Cave: Mi sento strano a dire "Tutto!", perché comunque si tratta sempre di una sorta di fiction. Ma penso che il processo è stato così particolare che quello che ne risulta è qualcosa di molto vicino alla verità che io volevo mostrare, quindi dal mio punto di vista è tutto vero.

Ci sono stati dei momenti di coinvolgimento particolare durante la lavorazione? Nick Cave: Le scene che abbiamo girato in macchina, le conversazioni con Blixa Bargeld soprattutto, ma anche quella con Kylie Minogue. La scena era preparata nel senso che eravamo apposta nella macchina, ma la conversazione era naturale, non c'era una sceneggiatura scritta e le reazioni sono spontanee. Tra me e Blixa per esempio c'era sicuramente qualcosa che era rimasto in sospeso, se considerate che lui lasciò la band con due righe di email, e non avevamo realmente mai più parlato di questo con lui. Non è che abbiamo avuto modo di parlarne neanche prima della scena, ci siamo seduti in macchina e abbiamo iniziato a girare. Direi che si avverte un strana tensione ed è reale perché era quella che provavo io, vederlo di nuovo, essere seduti in macchina insieme, parlare di noi e dei Bad Seeds.

Nella tua lunga carriera quali sono le collaborazioni che ritieni più importanti?
Non lo so, è difficile da dire... Penso che sicuramente Blixa Bargeld abbia avuto all'epoca un impatto massimale sulla mia musica. E poi Warren Ellis, è un privilegio poter lavorare con lui. Ogni cosa che scrivo e porto sul tavolo lui la trasforma in qualcosa di straordinario.

Nel film mentre ti confessi col terapeuta parli anche della sua infanzia. Quali sono le tue memorie musicali da bambino?
Direi che Johnny Cash ha avuto un forte impatto nelle mie memorie musicali.

Nel film c'è una scena in cui guardi Scarface di Brian De Palma con i tuoi bambini. La violenza è sempre molto presente nei testi delle tue canzoni. Come vedi invece la violenza nel cinema?
Io penso che il cinema sia la forma d'arte che ha inventato il modo di mostrare la violenza, io non riesco ad esprimerla neanche lontanamente rispetto a come ci riesce il cinema. Ed è per questo che mi interessa molto, perchè è una fonte d'ispirazione.