È giovane, ma ha già preso parte a molte produzioni importanti. Si chiama Simone Borrelli, è napoletano, classi 1991, e in Nevia interpreta Salvatore, un giovane truffatore innamorato della protagonista. Prima dell'esperienza al servizio di Nunzia De Stefano, che l'ha portato alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia, era stato in due serie targate Sky come Gomorra e Diavoli, oltre che in una produzione italiana di Netflix di quest'anno, Ultras di Francesco Lettieri. Proprio partendo dal ruolo in Nevia, dal 14 giugno in esclusiva su Sky Cinema, abbiamo ripercorso le esperienze di una carriera breve ma già molto ricca.
Il principe azzurro mancato di Nevia
Come è nata la tua partecipazione a Nevia?
È successo tutto molto per caso. Feci il primo provino per il ruolo di Salvatore in Nevia quando il progetto era nella fase embrionale e lo stavano facendo tutti. Da allora passarono due o tre mesi, mi ero messo l'anima in pace convinto che non era andata bene, invece mi ha contattato la direttrice del casting dicendomi che Nunzia mi avrebbe voluto rivedere. Sono una persona che si affida molto alle sue sensazioni e quando feci il provino con lei mi resi conto di aver fatto una buona prova e infatti così è stato. Con Nunzia ho legato subito, è una persona fantastica, mi fece fare un altro provino per vedere se fossi in grado di cambiare impostazione con una semplice indicazione. Così fu e sono stato preso.
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Ci racconti del tuo personaggio?
Salvatore è un finto principe azzurro. Viene da una famiglia di traffichini, ma è innamorato di Nevia e vorrebbe essere il suo principe azzurro pur senza riuscirci, con un percorso bellissimo. Quando lavoro sono abituato a pensare a quello che succede attorno a me e credo che Nevia sia l'unico film che mi ha dato delle emozioni che ancora provo a ripensarci. Il film e i suoi personaggi è entrato dentro a tutti noi che vi abbiamo preso parte, perché è una storia così vera e cruda che difficilmente viene raccontata. Non si tratta di una famiglia maschilista con un capofamiglia, ma sono tutte donne e fa capire che nonostante si viva in una situazione così precaria e povera, racconta una Napoli diversa in cui le donne si vogliono riscattare e ce la faranno. Va di moda raccontare storie di Camorra, ma Nevia è una cosa che mancava nel cinema italiano e napoletano.
Il film è su Sky Cinema, quindi avrà una buona visibilità, ma...
... ma è un peccato che non sia uscito al cinema. Lo so, come tutte le cose che ho fatto! Il periodo non è stato felice.
E cosa ti è rimasto dell'esperienza a Venezia?
Per me è stata la prima volta a Venezia. Ci sarei potuto andare anche in passato, tramite l'accademia alla Biennale di Teatro, ma non ci ero mai riuscito. Sono innamorato di Venezia ed è un primo punto a favore, ma alla Mostra sembravo un bambino. Ogni giorno me ne andavo in giro da solo per vedere le persone e le personalità che c'erano in giro, è stato come una bomba dentro di me! Siamo stati tre giorni: il primo avevamo la conferenza stampa, il secondo ero con Terry Gilliam, il mio mito, e il terzo la proiezione del film. Abbiamo visto il film in sala Darsena ed è stato un'emozione sentire il calore del pubblico. A fine film eravamo tutti in piedi piangendo, ci siamo girati e abbiamo visto Matteo Garrone, che raramente si emoziona, che era lì e piangeva. È stata un'emozione grandissima, ma cerco sempre di mantenere l'emotività, anche se sono a teatro e ci sono cinquanta persone.
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Che regista è Nunzia De Stefano?
Non saprei a chi paragonarla, ma con Nunzia si lavora benissimo, perché lei è una del popolo, non è una regista ma una persona e la storia del film è tratta dalla sua storia personale. Lei viene da lì e questa forza non la perderà mai, queste storie le racconterà sempre. A livello lavorativo era molto tranquilla, non trasmetteva ansia. Anche quando doveva cambiare qualcosa, ne parlava con me e Virginia, che era alla sua prima esperienza, e ce lo faceva affrontare con serenità. Siamo rimasti in ottimo rapporto, perché l'esperienza di questo film ci ha portati a essere una famiglia. Per me è sempre stata speciale dal primo momento che l'ho vista.
I primi passi in Gomorra
Invece il tuo primo ruolo è stato nella seconda stagione di Gomorra, giusto?
Gomorra - La Serie è stata un'esperienza particolare. Non posso dire che è stata negativa, ma col senno di poi avrei potuto aspettare un ruolo migliore di quello che ho avuto. Allo stesso tempo mi dico che se avessi avuto un ruolo migliore forse mi avrebbe precluso altre cose che ho fatto. Si fanno delle scelte e non bisogna pensarci più.
Ma poi sei tornato a Gomorra come coach di napoletano. Come è stata questa collaborazione?
All'epoca lavoravo al teatro Argentina e stavo facendo un laboratorio che decisi di lasciare per motivazioni personali. Lasciando quel lavoro venni in contatto con Davide Zurolo che si occupa del casting di Gomorra e di Favolacce, che mi chiese di dargli una mano per i provini di Gomorra 4. Iniziammo e notò subito che ero bravo a dare le battute, perché è difficile trovare una spalla che recita veramente. Quando si è arrivati ai callback dei protagonisti, ho continuato a fare la spalla sia con Davide che con la Comencini presente e lei stessa mi avrebbe voluto nella stagione, ma era impossibile perché ero già stato nella seconda, ma a loro piaceva come lavoravo e mi trovarono questo ruolo di coach di napoletano per il personaggio di Azzurra [Ivana Lotito], anche perché il precedente era di Salerno. Quando la quarta stagione è andata in onda, ho avuto molti complimenti per l'evoluzione di Azzurra, molto più napoletana.
È difficile rendere credibile un attore in napoletano?
È un lavoro che ho fatto solo in Gomorra a livello professionale, ma mi è capitato spesso di dare una mano ad amici anche importanti del mondo dello spettacolo, ma la resa che ha avuto Ivana è incredibile. È un discorso a parte, però, perché lei è del sud, è pugliese, ha un marito napoletano e veniva da due stagioni in cui comunque recitava in napoletano, quindi lo masticava di più. La cosa più divertente era farle capire il senso di alcune parole e i loro sottotesti. Nell'idea comune del napoletano c'è un certo tipo di parlata un po' altalenante, ma non è così e poi dipende molto dalle zone: io sono di Casalnuovo, ma se vai ad Acerra, che è il paese accanto, già è molto diverso.
Chi ti ha colpito di più sul set di Gomorra?
Purtroppo seguivo solo Ivana, quindi se non mi capitavano scene con lei era difficile seguire altri attori. Ho visto tantissimo Salvatore con cui è nata un'amicizia e devo dire che lavora benissimo, è l'Attore con la A maiuscola.
Ed è incredibile perché è una delle sue prime esperienze...
Sì, ma lui fa seicento ore di girato essendo il protagonista, è una scuola immensa. Infatti Salvatore ha avuto un cambiamento incredibile dalla prima stagione a oggi. È un cambiamento mentale e fisico, vedi come è cambiato il personaggio e come è cambiato lui nella sua vita personale studiando e approfondendo. È quello che dovrebbero fare le persone alla prima esperienza, che si sono ritrovati a fare film presi dalla strada: devono approfittare dell'opportunità e devono studiare! Salvatore ha approfittato della sua occasione e ha studiato tantissimo.
In compagnia di Alessandro Borghi
Rimanendo in ambito Sky, hai avuto anche un ruolo in Diavoli che immagino fosse una situazione molto diversa, essendo una produzione internazionale.
Diversa non te lo so dire, perché mi sono trovato benissimo in tutte le produzioni a cui ho preso parte, ma non so se sono fortunato io. Per mia sfortuna, girando a Cetara, non c'era quasi nessuno del cast inglese. Solo un giorno arrivò la prima unità di regia con Nick e mi capitò di incontrare due attori ma nemmeno ci parlammo. C'è però l'emozione di essere in quel contesto, di entrare in quella costumeria e vedere tutti quegli abiti o vedere una serie del genere e pensare di avervi preso parte, è una grande emozione. E poi è stata un'esperienza assurda per un altro motivo, per un aneddoto divertente: quando fecero Sulla mia pelle, mi presero per fare uno dei carabinieri e avevo tutte le scene con Alessandro Borghi. Ero gasatissimo perché per me è un grandissimo punto di riferimento come attore. Invece mi misero la tournèe di uno spettacolo e mi saltò quel lavoro. Quando è capitata l'occasione di Diavoli, ho fatto il primo provino, poi il secondo con il regista e quando mi mandarono la sceneggiatura mi sono accorto di essere l'amico di infanzia di Alessandro e di nuovo mi sono gasato tantissimo! Poi quando ci siamo incontrati ci siamo subito trovati bene, come se già ci conoscessimo da una vita, mi ha fatto tanti complimenti e siamo diventati molto amici. Sono felicissimo, sono diventato amico del mio idolo. Oltre a essere bravissimo, è eccezionale anche dal punto di vista umano, è questa la sua forza.
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Dietro le quinte del tifo napoletano
Quest'anno sei stato in Ultras che è stato un po' il simbolo dell'inizio di questo periodo. Com'è stato lavorare con Francesco Lettieri e raccontare il mondo delle tifoserie?
Io e Francesco ci siamo conosciuti per i provini di Ultras a Roma, quando stavano cercando i protagonisti. In quel periodo ero a Roma e mi contattarono per dare una mano. Conoscevo Francesco per quello che aveva fatto, ma non l'avevo mai visto di persona e lui è stato da subito contento del lavoro che stavo facendo perché permettevo agli attori di lavorare bene. Giorno dopo giorno il rapporto si è consolidato e si è iniziato a scherzare "ma c'è un ruolo per Simone?" ed è stato tirato in ballo questo Pechegno. Non lo conoscevo, perché io leggevo solo le parti della sceneggiatura che mi servivano per i provini, così me ne hanno parlato come del capo ultras della fazione dei giovani. In un primo momento ho pensato che fosse l'occasione giusta per fare un cattivo come piace a me, perché sono molto istintivo e animalesco, ma quando è stato scelto Daniele per fare il mio braccio destro, mi sono reso conto che non avrebbe funzionato: ci conoscevamo già, sapevo che lui avrebbe fatto un personaggio pazzo, allora ho capito che avrei dovuto fare l'opposto e ho scelto una strada diversa per creare questa dinamica pazzo/buono. Ci hanno fatto i complimenti tutti, perché parliamo con gli occhi.
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Quello degli ultras è un mondo che conoscevi già?
La bellezza di Ultras è che siamo andati a studiare proprio le vite di questi ragazzi. Ci sono anche avvocati che fanno gli ultras, medici, non sono solo delinquenti. È un mondo che già conoscevo perché avevo amici che ne fanno parte e perché mi affascinava, ma mi piace avere fonti dirette. Quando sono andato a Roma ho perso un po' il contatto con lo stadio, ma ho sempre portato altissima la bandiera di essere napoletano e tifoso del Napoli. Di ritorno a Napoli, io e Daniele abbiamo vissuto insieme questa indagine. Quello che recito nel monologo, "siamo come un esercito", è qualcosa che mi hanno detto. È come i Romani, le Crociate, ma traslato su un campo di calcio, per difendere la propria città.