Recensione When You're Strange (2009)

La scelta di dipingere un ritratto di Jim Morrison rinunciando alle interviste di rito e limitandosi a utilizzare materiali d'epoca permette a Tom DiCillo di creare un prodotto vitale che non solo omaggia il leader dei Doors, ma getta uno sguardo sui turbolenti anni '60, sulla rivoluzione sessuale e sul fermento artistico/politico/culturale che attraversò il mondo.

Nessuno uscirà vivo da qui

La mitologia sorta intorno a Jim Morrison e ai Doors è già stata ampiamente sviscerata in passato. Nel 1991, in occasione del ventennale della morte di Morrison, Oliver Stone ha omaggiato il Re Lucertola con un affresco potente e visionario, The Doors, interpretato da un Val Kilmer in stato di grazia, all'epoca straordinariamente somigliante al vero Jim Morrison. Con When You're Strange, Tom DiCillo aggiunge un importante tassello preferendo alla fiction la forma documentaristica per ripercorrere l'ascesa dei Doors e la rapida parabola del loro leader che, da studente di cinematografia alla UCLA, si trasformò in sensuale rock star, poeta maledetto e icona lisergica per poi spegnersi prematuramente a Parigi in circostanze misteriose nel 1971. Il legame di Jim Morrison con il cinema è uno dei tasselli chiave del lavoro di DiCillo che, al suo interno, ospita molto materiale inedito inaugurando il documentario con eccezionali frammenti di HWY - An American Pastoral, film sperimentale girato dal futuro frontman dei Doors al college. Nei corridoi della UCLA Jim Morrison ebbe come compagno di studi Francis Ford Coppola, ma il suo spirito bohémien lo spinse a stringere amicizia con Ray Manzarek, anche lui studente di cinema con la passione per il rock e con una band già all'attivo, andando così incontro al proprio destino di grandezza e autodistruzione.


Le sequenze rarefatte del road movie esistenziale abbozzato da Morrison aprono When You're Strange rafforzando l'immagine sciamanica del cantante dall'animo irrequieto come il suo idolo James Dean. Nelle sequenze di HWY, rinvenute di recente, il regista vaga attraverso il deserto, a piedi o dietro il volante di un'auto, come uno spirito in cerca del significato nascosto delle cose. La stessa irrequietezza che trapela da questa prima espressione artistica lo accompagnerà nell'arco della sua breve vita facendone uno sperimentatore ardito, ma lascivo, trascinato dai propri sensi e dal proprio istinto verso l'annullamento di sè. Il ricco materiale documentario, che alterna spezzoni di esibizioni della band, tra cui il celebre concerto di Miami in cui Morrison venne arrestato per atti osceni, attimi rubati nei backstage dei concerti e momenti di vita privata, è accompagnato dalla voce roca e solenne di Johnny Depp (nella versione italiana tocca invece all'ex leader dei Bluvertigo Morgan). Il film si sofferma su episodi ben noti ai fan dei Doors, ma essenziali per comprendere il mito sorto intorno al loro carismatico e imprevedibile cantante. Uno per tutti, l'incidente del 1967 al The Ed Sullivan Show, dove ai Doors, che si sarebbero esibiti proponendo la loro Light My Fire, fu chiesto di modificare il verso "girl, we couldn't get much higher" per evitare riferimenti alla droga. La band accettò e in prova cambiò la canzone, ma una volta in onda Morrison ripropose la versione originale provocando la rottura del contratto con la trasmissione.

La scelta di dipingere un ritratto di Jim Morrison rinunciando alle interviste di rito e limitandosi a utilizzare materiali d'epoca permette a Tom DiCillo di creare un prodotto vitale e concreto che non solo omaggia il leader dei Doors, ma getta uno sguardo sui turbolenti anni '60, sulla rivoluzione sessuale e sul fermento artistico/politico/culturale che attraversò il mondo facendo di Morrison uno dei profeti del cambiamento arsi troppo rapidamente a causa della loro sete di esperienze estreme. Lo sguardo di DiCillo è innegabilmente carico di ammirazione, ma il regista schiva il rischio agiografia, soprattutto nell'ultima parte del lavoro, soffermandosi a ricostruire passo dopo passo l'inesorabile deriva di Jim Morrison, gli screzi con la band causati dalla sua inaffidabilità, dall'abuso di droghe e dall'abbandono a quelle ossessioni che lo perseguitavano fin dall'infanzia. D'altronde, da profeta sciamanico quale era, Re Lucertola aveva già musicato il suo ideale testamento nella lunga ballad The End. Otto anni dopo la sua morte, il brano verrà utilizzato dall'ex compagno di studi Francis Ford Coppola nel suo capolavoro Apocalypse Now.

Movieplayer.it

4.0/5