Scatta un applauso fragoroso non appena Pablo Larraín fa capolino nella sala del Bernini Bristol, nel cuore di Roma, per la conferenza stampa del film Neruda. Ma non è il consueto applauso di circostanza, quello elargito dalla quarantina di giornalisti presenti all'incontro: pur nella relativa 'compostezza' dell'occasione ha qualcosa del tifo da stadio, una vibrazione di genuino entusiasmo tutt'altro che scontata. Larraín probabilmente se ne accorge, ci sorride e, prima di prendere posto, solleva il cellulare per scattarci una "foto di gruppo".
L'entusiasmo di cui parlavamo, del resto, è del tutto giustificato: difatti si è conclusa da pochi minuti la proiezione di Neruda, il nuovo lavoro del regista cileno (nelle sale dal 13 ottobre, distribuito da Good Films), e anche sui titoli di coda era partito un vigoroso applauso (caso più unico che raro, per le anteprime stampa extrafestivaliere). Un film affascinante e multiforme, quello che Larraín ha dedicato al grande poeta Pablo Neruda nel periodo dell'immediato dopoguerra: gli aspri contrasti politici con il Presidente Gabriel González Videla, la latitanza e poi la fuga attraverso la Cordigliera delle Ande.
Larraín, però, rifugge le convenzioni del biopic tradizionale, costruendo l'intera pellicola attorno al conflitto 'a distanza' fra Neruda, impersonato dall'attore Luis Gnecco, e l'ispettore di polizia Oscar Peluchoneau, che ha il volto di Gael García Bernal. Già apprezzatissimo all'ultimo Festival di Cannes, dove è stato inspiegabilmente inserito nella sezione Quinzaine des Réalisateurs anziché nel concorso ufficiale, e selezionato come rappresentante del Cile per l'Oscar come miglior film straniero, Neruda si attesta fra le prove più alte di un autore appena quarantenne che non cessa di stupirci e di "alzare l'asticella", dopo il raggelante Il club dello scorso anno e lo splendido Jackie visto al Festival di Venezia. Ecco cosa ci ha raccontato Larraín, con loquacità e ironia, a proposito di Neruda e, più in generale, del suo cinema vitalissimo e conturbante.
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Il mistero di Pablo, fra poesia e politica
Cosa è cambiato nella politica cilena rispetto al periodo descritto nel film e alla dittatura di Augusto Pinochet?
Pablo Larrain: Nel 1947, poco dopo la Seconda Guerra Mondiale, dieci anni prima della Rivoluzione Cubana e trent'anni prima di Salvador Allende, il mondo era modernista e molto differente; Pablo Neruda fra l'altro cedette la candidatura alla Presidenza della Repubblica ad Allende, e chissà cosa sarebbe stato del Cile con Neruda come Presidente. Quando si realizza un film d'epoca non si può cadere nell'ingenuità di fingere di non sapere cos'è accaduto dopo: abbiamo il vantaggio di conoscere la storia. Neruda è un film su un paese che ha sofferto la devastazione del dopoguerra e su un sogno che non si è mai concretizzato, perché la Presidenza di Allende sarebbe durata pochissimo. Quando Neruda ha ricevuto il premio Nobel, nel suo discorso ha parlato proprio di quest'epoca e della sua fuga, affermando di non sapere se quel periodo l'ha vissuto o l'ha solo sognato. In qualche modo, questa è la chiave di lettura di una pellicola che non è soltanto su Neruda, ma sull'universo nerudiano; del resto la figura di Neruda è talmente vasta e complessa che non sarebbe stato possibile racchiuderla tutta in un film.
Come ti sei documentato a proposito della vita di Pablo Neruda?
Ho letto diverse biografie, in particolare ne abbiamo scelte tre, inclusa la sua autobiografia, Confesso che ho vissuto; inoltre abbiamo svolto diverse interviste. Neruda era un amante della cucina, del vino, delle donne; era un diplomatico e un viaggiatore; era un appassionato di letteratura poliziesca; era un politico e un membro del Partito Comunista; era il più grande poeta della nostra lingua. Tutto questo mi terrorizzava, fin quando ho deciso di non raccontare tutto il personaggio di Neruda, ma solo alcuni aspetti. È anche vero che in Cile Neruda è ovunque, e io me lo porto addosso sulla pelle, nel sudore, nel sangue, ovunque vada. Questo film voleva essere un poema per Neruda, nella speranza che l'avrebbe apprezzato.
Come sei riuscito a conciliare così bene le due anime di Neruda, quella del poeta e quella del politico?
Sono la stessa cosa! Non si possono separare questi due aspetti. Proviamo a immaginare un poeta americano che si metta a scrivere poesie su Donald Trump: sarebbe impensabile. Quello di Neruda, invece, era un mondo diverso: lui scriveva poesie dedicate ai leader politici dell'America Latina, poesie spesso ben poco tenere. Neruda e gli artisti della sua epoca con le loro opere volevano cambiare il mondo e influenzare l'opinione del pubblico; io e la mia generazione non stiamo facendo questo, ma presentiamo dei problemi affinché altri se ne facciano carico.
Una cinepresa per "catturare i momenti"
No - I giorni dell'arcobaleno era un film sul rapporto fra la comunicazione e il potere, un tema che ritorna anche in Neruda: cosa la affascina così tanto a proposito di questi temi?
Mi sembra che oggi la comunicazione diventi spesso più importante del contenuto. Mi piace definire Neruda un antibiopic, ma è anche un'opera di genere noir, una commedia nera e un po' un western. Volevo raccontare, come in un road movie, il cambiamento di un personaggio per il quale è il viaggio ad assumere un valore primario. I due protagonsti hanno bisogno l'uno dell'altro per capire il mondo. Il finale è puro amore; il resto è un'accusa.
Come hai lavorato con lo sceneggiatore del film, Guillermo Calderón?
Vi racconto un aneddoto: due settimane prima delle riprese mio fratello Juan, il produttore, mi ha chiesto di cancellare venti pagine di sceneggiatura per carenza di budget. Così abbiamo passato una settimana a lavorare al copione con Guillermo Calderón, arrivando però a un totale di centottantasei pagine, cioè più di quelle di partenza! In compenso, abbiamo girato più velocemente per risparmiare soldi. Avevamo una sceneggiatura molto ben strutturata, ma io non ragiono in maniera lineare: avevo in mente più che altro momenti e scene e volevo dare un'identità specifica al film. Non ho una coscienza narrativa mentre sto girando, ma catturo dei momenti che verranno poi assemblati nel montaggio. È nel montaggio che si realizza il piatto finale; la cinepresa è uno strumento viscerale, che cattura immagini e incidenti più che raccontare una storia. Il cinema è atmosfera. Come ha detto François Truffaut, durante le riprese bisogna lottare con la sceneggiatura, mentre durante il montaggio bisogna lottare contro le riprese. Sono processi diversi, ovviamente, ma questo conflitto è anche liberatorio. Quando vado al cinema e il regista ci serve tutte le risposte, non sono soddisfatto: un film deve essere aperto verso il pubblico. Penso sia importante rispettare l'intelligenza e la sensibilità dello spettatore, anziché dirgli cosa pensare: sarebbe insolente, io voglio poter pensare e riflettere in un processo dialettico.
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Un cinema libero e antirealista
Come mai ha scelto di raccontare la storia di Neruda adottando il punto di vista del poliziotto Oscar Peluchoneau e come è nata la scena del loro confronto finale fra le nevi delle Ande?
Neruda nella realtà ha attraversato davvero la Cordigliera delle Ande a cavallo, e il poliziotto Oscar Peluchoneau è esistito veramente, ma l'unica cosa che ha in comune con il film è il nome: tutto il resto lo abbiamo inventato. Ma Neruda stesso ha dichiarato, nel discorso per il Nobel, di aver capito il valore della fraternità proprio in quei momenti difficili: quando ha percorso le Ande, trovandosi a contatto con persone che non lo conoscevano ma che comunque lo hanno aiutato. Non vogliamo rivelare troppo sul film, fare cosiddetti spoiler, però potremmo dire che in qualche modo Neruda e Oscar forse sono la stessa persona.
Da cosa dipendono i repentini cambiamenti di ambiente all'interno della stessa scena, una caratteristica ricorrente del film?
Mi piace il cinema realista se fatto a dovere, ma io non riesco ad essere un regista realista: sono molto più toccato da un cinema di atmosfera. Anche in No, per esempio, abbiamo girato le stesse scene in più luoghi, per poi lavorarci nel montaggio, così come pure in Neruda ogni sequenza è stata girata in tre location diverse. Nel cinema lo spazio è fondamentale ed esercita un'influenza psicologica sui personaggi, che in Neruda a volte continuano lo stesso discorso in ambienti diversi. Lo spazio, nel film, ha un valore sia fisico che astratto: in particolare nella conversazione fra il poliziotto e Delia, la moglie di Neruda, questi cambiamenti sono talmente frenetici da spezzare ogni realismo. È un film su Neruda, ma costruito come un racconto di Jorge Luis Borges. La segretaria di edizione impazzisce a lavorare con me, ma io penso che nel cinema la continuità sia pericolosa: nei miei film, per esempio, i personaggi non si cambiano quasi mai d'abito. Il realismo mi soffoca, mi fa sentire in trappola... io al cinema voglio respirare!
Hai scelto da subito gli attori che avrebbero interpretato i ruoli principali nel film?
Non proprio dall'inizio, dato che la preparazione del film ha richiesto tempi molto lunghi, ma quando il cast era confermato abbiamo dovuto ritardare le riprese, prima a causa di problemi di budget e poi per altri impegni di Gael García Bernal. Quando finalmente avremmo dovuto girare, Luis Gnecco era dimagrito in maniera impressionante: io allora l'ho portato al ristorante e l'ho costretto a mangiare... lui voleva prendere un'insalata ma io gli ho ordinato una bella carbonara, dicendogli che sarebbe stato impossibile avere nel film un Neruda magro. Nei sette mesi di attesa per poter girare Neruda ci ho 'infilato' Il club, un film preparato in pochissimo tempo.
Secondo te, che tipo di regista sarebbe stato Neruda?
Non posso rispondervi: ho letto tanti libri e la sua autobiografia, ho girato un film chiamato Neruda, ma ancora non ho idea di chi sia veramente... Neruda è inafferrabile e indefinibile!