Neo-western metropolitano
Dopo gli X-Men, Hulk e Spider-Man ed in attesa di vedere finalmente I Fantastici Quattro, ecco sbarcare sul grande schermo uno dei personaggi più complessi, discussi ma anche amati dello straordinario universo della Marvel, The Punisher: il primo eroe Marvel a non essere super-, a non avere alcun potere eccezionale se non la forza derivante da un addestramento di primissimo livello nei migliori corpi d'elite statunitensi e della sua incredibile determinazione. The Punisher è nato negli anni 70, quando già era stata abbondantemente spazzata via dalla contestazione l'idilliaca ipocrisia dei 50, e quando anche il movimento giovanile aveva abbandonato quasi del tutto la serenità e gli slogan della Summer of Love e ad agire politicamente e non erano le frange più radicali.
Anni in cui a tutto questo si sommava il senso di precarietà e di incertezza legato a quelle che verranno chiamate le giungle metropolitane: le città divenivano sempre più popolate ma anche deteriorate, cresceva la criminalità (macro e micro), ed il cittadino iniziava ad aver paura a vivere la città, a temere di uscire la notte e a barricarsi tra le quattro mura di casa come in un fortino del west. È quindi da questo "brodo primordiale" che nasce Frank Castle, alias Il Punitore: un super addestrato agente dell'Fbi che dopo la morte di moglie e figlia, uccise da dei criminali, decide di vendicarsi diventando un giustiziere, un vigilante, un uomo che svincolato dai "limiti" imposti dalla legge può far cadere la propria giustizia su quanti rendono il mondo un luogo pericoloso; un personaggio che vive una concezione da Vecchio Testamento di concetti come Vendetta e Giustizia, che anticipa di poco l'arrivo sul grande schermo de Il giustiziere della notte interpretato da Charles Bronson, ed è anticipato dal mitico ispettore Callaghan di Clint Eastwood. E - sia detto per inciso - non è certo un caso che The Punisher sbarchi al cinema proprio in questi anni, anni segnati dall'incertezza, dalla tensione, dallo spettro della terrorismo, temi sui quali il Sistema non sembra in grado di dare una risposta rassicurante.
In questa sua riduzione cinematografica, diretta da Jonathan Hensleigh, che vede un palestratissimo Tom Jane nei panni dei protagonista, la trasformazione di Frank Castle in The Punisher ha un'origine leggermente diversa da quella del fumetto, ma a suo modo molto significativa: anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un agente che decide di vendicare l'uccisione della sua famiglia, a sua volta però derivante da un'altra vendetta. Nel corso della sua ultima operazione da infiltrato, Castle ha infatti causato accidentalmente la morte del figlio di un boss della mala di Tampa Bay, il quale, spronato dalla moglie, ordina di restituire pan per focaccia all'oramai ex poliziotto. Se nel suo primo quarto il film racconta la costruzione di questa prima vendetta, i restanti tre sono dedicati quindi alle contromosse di Castle, che inizia a perseguire con cieca determinazione la sua personale e spietata reazione contro chi lo ha privato dell'intera famiglia.
Giudizi di ordine morale a parte, c'è da notare come l'universo cinematografico di The Punisher sia stato curiosamente costruito sotto l'egida di quello che in apparenza è un bieco manicheismo, ma che in realtà presenta personaggi piuttosto sfumati: non tanto lo stesso Castle, quanto i suoi rivali, il boss interpretato da John Travolta, la moglie interpretata da una leggermente imbolsita Laura Harring, dal braccio destro che ha il volto di Will Patton. Cattivi spietati quando "necessario", ma anche fragili e ricchi di punti deboli che li umanizzano e li rendono (chi più chi meno) quasi simpatici.
Ma l'elemento più caratterizzante di The Punisher (e il merito principale del suo regista) è quello di aver sfruttato la scarsa espressività di Tom Jane e l'istrionica interpretazione di John Travolta così come - fatte le più che debite proporzioni - Sergio Leone aveva sfruttato personaggi come Clint Eastwood e Gian Maria Volontè. Depurato dalle ambientazioni metropolitane e contemporanee, e da alcune inevitabili radici ed appendici fumettistiche, The Punisher è costruito e messo in scena esattamente come un western alla Leone, dove l'eroe solitario (spalleggiato da alcuni stravaganti compari, tra i quali svetta una bellissima Rebecca Romijn Stamos, che ha però nel film occasione di mostrare ben poco oltre al suo gradevole aspetto) ordisce con pazienza un piano del annientare il padrone occulto della città, fino ad arrivare all'inevitabile ed esplosivo finale, che non a caso si conclude con un duello che anche dal punto di vista squisitamente visivo è puro cinema western.
Proprio questa chiave di lettura permette di avvicinare alla sufficienza un prodotto che altrimenti sarebbe stato inevitabilmente penalizzato da un attore non esattamente carismatico che dà vita a un personaggio che perde leggermente di complessità psicologica nei confronti del suo alter ego a fumetti, e da una regia priva di particolari guizzi, incerta per quasi tutta la durata della pellicola tra una visione fumettistica dei personaggi e della violenza rappresentata ed una invece più vicina al cupo e schietto realismo di quegli anni Settanta che citavamo in apertura.