Recensione Un amore senza tempo (2007)

Le donne qui descritte si dichiarano emancipate, ma non possono fare a meno dell'uomo e dell'amore lungo una vita, si prodigano per aiutare gli altri, non rinunciando mai però al proprio egoismo nella lotta alla felicità.

Nei ricordi in bianco e nero delle donne

Tappa obbligatoria per chi si è creato nel tempo un nome nell'ambiente, arriva al suo primo film hollywoodiano anche Lajos Koltai, regista ungherese dello straziante Senza destino, ma soprattutto stimato direttore della fotografia di circa settanta pellicole, tra le quali un paio del nostro Giuseppe Tornatore. Purtroppo al bravo Koltai tocca mettere le mani in una pasta che non gli appartiene per portare sullo schermo la riduzione frettolosa di un romanzo di Susan Minot, che firma la sceneggiatura del film insieme allo scrittore Michael Cunningham, già autore di altri libri portati con alterno successo al cinema, gli insipidi The hours e Una casa alla fine del mondo (anche di quest'ultimo Cunningham era sceneggiatore). In fondo però il regista magiaro per la sua prima volta dietro la macchina da presa aveva già affrontato le insidie di un romanzo, quel Senza destino del premio Nobel Imre Kertész, sceneggiato dallo stesso autore, e se l'era cavata piuttosto bene, anche perché riportare l'occhio della telecamera nell'orrore dell'Olocausto dopo tutto quello che era già stato detto non rappresentava certo una prova facile. Il film, che raccontava di un ragazzino annientato nel corpo e nella mente in un campo di concentramento, aveva convinto per la sua capacità di cogliere questa progressiva disintegrazione entrando con garbo ma anche con grande partecipazione emotiva nell'universo di un ragazzino privato della possibilità di essere umano.

Avvicinarsi a Un amore senza tempo è stata paradossalmente una prova ben più dura per Koltai, contattato a copione già scritto, costretto a confrontarsi con numerosi personaggi, quasi tutte donne, a tenere vivo l'interesse su una scialba storia d'amore, senza futuro più che senza tempo, ma anche sulle microstorie di contorno, e a gestire tante brave attrici, tutte desiderose di fare bene, anche nei ruoli di secondo piano. La vicenda che dovrebbe dar senso al film è quella di una donna, ormai vecchia e con un tumore che sta per cancellarla dalla vita terrena, che si mette a ricordare quel giorno, ma soprattutto quella notte, che le hanno lasciato nel cuore un sentimento difficile da contenere, ma che non è stato vissuto per le tragiche circostanze che il destino sceglie di far intervenire in una storia perché vada in un senso e non in un altro. Innamorata di un uomo che si è riscattato da una gioventù trascorsa poco oltre la miseria e che ha rubato i batticuori di tutte le donne (e non solo) che gli hanno posato gli occhi addosso, la lucida moribonda dà corpo ai suoi ricordi nei deliri e nelle immagini di un passato che le scorre davanti e sembra accompagnarla nella pace eterna, mentre le due figlie al suo capezzale si confessano e sono pronte a nuova vita dopo il tempo dei testamenti e della morte.

Non basta il blasonato cast rosa a dare calore ed emozione a un film piatto (siamo però tentati di definirlo inutile) che non si lascia ricordare né per contenuti né per stile. Le donne qui descritte si dichiarano emancipate, ma non possono fare a meno dell'uomo e dell'amore lungo una vita, si prodigano per aiutare gli altri, non rinunciando mai però al proprio egoismo nella lotta alla felicità. Innumerevoli i temi sfiorati da un coro di donne seguite dai sogni della giovinezza alle amare consapevolezza della menopausa: l'amicizia costretta a fare i conti con i bisogni personali, la maternità da affrontare con coraggio e con gli inevitabili errori già messi in conto, le paure e le ansie che hanno bisogno sempre dell'altro per essere superate e vinte, la malattia che cancella. In un'opera senza padri, le uniche figure maschili di rilievo sono rappresentate da un gay represso che appena prova a tirar fuori la propria verità viene punito con una morte violenta, e da un principe (o meglio un dottore) azzurro che incanta con parole e stelle ma poi sparisce lasciando dietro di sé una scia di martellanti "e se..." e sentimenti con la bava alla bocca, destinati a morire di fame. Inevitabili le perplessità di fronte a tanta inezia, Koltai rischia di essere spedito nel dimenticatoio con una valigia povera di riconoscimenti. Hollywood non perdona chi non sa distinguersi, stavolta il tocco lieve è a serio rischio oblio.