Nashville: 50 anni dopo, il capolavoro di Altman ci parla anche dell’America oggi

Pietra miliare della New Hollywood, il film più celebrato di Robert Altman resta un'opera quanto mai attuale per l'acutezza con cui mette in scena una società ingabbiata fra populismo e indifferenza.

Nashville: un'immagine di Ronee Blakley

Restate calmi! Non siamo a Dallas, siamo a Nashville! Non possono farci questo qui a Nashville! Facciamogli vedere chi siamo... avanti, cantate!

"We must be doin' somethin' right/ To last 200 years", sono i versi culminanti del ritornello della canzone incisa in uno studio di registrazione nella prima scena di Nashville. "Dobbiamo aver fatto qualcosa di buono per durare duecento anni", è il mantra ripetuto con orgoglio patriottico da Haven Hamilton (Henry Gibson), patrono del country: un genere musicale che affonda le proprie radici nell'America rurale e industriale degli Stati del Sud, imperniato su una dimensione narrativa legata alle storie della gente comune. Quale genere più adatto, dunque, a celebrare lo spirito degli Stati Uniti alla vigilia del loro bicentenario? Nashville, infatti, veniva distribuito nelle sale americane cinquant'anni fa, fra il giugno e il luglio del 1975, con esattamente un anno d'anticipo sulla ricorrenza del 4 luglio 1976.

L'America degli anni Settanta nell'affresco corale di Robert Altman

Nashville Set
Nashville: il regista Robert Altman sul set

Il debutto al cinema del capolavoro di Robert Altman, il magnum opus di una carriera che da MASH a Il lungo addio, da America oggi a Gosford Park, è ricca di opere imprescindibili, avveniva in un momento pivotale per la cultura e la società americane. Il 1975 segna l'apogeo del movimento della New Hollywood: è l'anno di Nashville, di Qualcuno volò sul nido del cuculo, di Quel pomeriggio di un giorno da cani (ma pure de Lo squalo, film-capostipite di un'altra rivoluzione produttiva). Ma gli Stati Uniti, nel 1975, sono anche il paese ancora scosso dal terremoto politico del Watergate (il 9 agosto 1974 Richard Nixon annunciava le proprie dimissioni per evitare il processo di impeachment) e reduce dalla catastrofe del Vietnam; il paese impantanato nella più grave recessione economica dai tempi della Grande Depressione, mentre il "sogno americano" del benessere era stato incrinato dagli effetti della crisi del petrolio.

Nashville Ronee Blakley
Ronee Blakley nel ruolo della star del country Barbara Jean

È questo il contesto in cui Robert Altman e la sua sceneggiatrice Joan Tewkesbury danno vita all'affresco collettivo di Nashville: le esistenze parallele di ventiquattro comprimari che si intrecciano nella capitale del Tennessee, città-simbolo della musica country, nel corso di cinque giornate scandite da spettacoli, concerti ed eventi, in cui la quotidianità dello show business si mescola alle ambizioni politiche di un candidato alle elezioni presidenziali, Hal Phillip Walker, leader del fantomatico Replacement Party. Se i percorsi narrativi della pellicola possiedono una fluidità e una profondità che ne faranno un modello insuperato nell'ambito dei grandi racconti corali per lo schermo, l'impatto di Nashville si estende anche a elementi propri del linguaggio cinematografico (le ulteriori innovazioni nella tecnica dell'overlapping) e della sua estetica, tanto da fargli guadagnare un'immediata canonizzazione tra i migliori film di sempre.

Robert Altman: da America oggi a Nashville, 10 capolavori di un regista indimenticabile Robert Altman: da America oggi a Nashville, 10 capolavori di un regista indimenticabile

Società e politica fra crisi di valori e l'ascesa del populismo

Nashville Gibson Oitkmop
Henry Gibson nel ruolo del cantante Haven Hamilton

Se l'eredità artistica di Nashville non ha perso un grammo del proprio valore nell'arco dell'ultimo mezzo secolo, cosa resta invece dello spaccato dell'America realizzato da Robert Altman e dai suoi interpreti? Rivisto oggi, Nashville rimane senz'altro una formidabile "capsula del tempo", in grado di restituirci gli umori e le inquietudini degli Stati Uniti degli anni Settanta meglio di quanto abbia saputo fare qualunque altro film dell'epoca. Ma come molte grandi opere d'arte, il dramma musicale di Altman è un film capace di parlarci anche dell'oggi: non solo per l'umanità variegata e contraddittoria dei suoi personaggi, ma per la sua visione di un paese e, di riflesso, di tutta la società occidentale (Europa inclusa), ancora attraversati da un acuto senso di smarrimento, mascherato a stento da fastosi rituali pubblici e dall'illusione consolatoria di una democrazia ben più fragile e claudicante rispetto a cinquant'anni fa.

Nashville Carradine
Un'immagine di Keith Carradine

Innanzitutto, Nashville anticipava in tempi non sospetti l'insorgere di un populismo antisistema che, travalicando i concetti di destra e sinistra con le rispettive specificità ideologiche, fa leva sul senso di frustrazione dell'elettorato, galvanizzandolo attraverso la reiterazione di messaggi tanto semplici quanto, a conti fatti, privi di un'autentica solidità politica. Sono messaggi non troppo diversi da quelli diffusi dagli altoparlanti del furgoncino che, fin dalla prima inquadratura, percorre le strade della città, aggiungendo al tappeto sonoro del film gli slogan qualunquisti di Hal Phillip Walker: il richiamo a un generico tradizionalismo ammantato di nostalgia, una crociata contro la casta degli avvocati, l'invettiva verso l'aumento dei prezzi e la perdita del potere d'acquisto dell'americano medio, il rinnovamento dell'inno nazionale.

Dall'America di Hal Phillip Walker a quella di Donald Trump

Nashville 1975 Michael Murphy Ned Beatty
Un'immagine di Michael Murphy e Ned Beatty

Hal Phillip Walker non esprime un autentico programma politico, ma del resto nessuno a Nashville presterebbe la sufficiente attenzione a messaggi più articolati e complessi, tutti troppo presi da se stessi e dalle proprie questioni personali. Walker, il candidato-fantasma la cui voce e il cui nome sono onnipresenti in ogni angolo della città, è l'alfiere di una politica che nella contemporaneità appare quanto mai egemone: non tanto per i messaggi in sé, che possono cambiare da un caso all'altro, ma per le modalità della sua retorica. Il fittizio Walker del film viene descritto come un UFO della scena politica, venuto fuori dal nulla e determinato a dare del filo da torcere ai partiti tradizionali: qualcosa di simile, mutatis mutandis, alla figura dominante dell'America dell'ultimo decennio, Donald Trump, personaggio già ben noto ma un neofita della politica, che dopo aver cannibalizzato il Partito Repubblicano ha vinto due elezioni su tre e rovesciato ruoli ed equilibri delle istituzioni degli USA.

Nashville Parthenon
Una panoramica del Partenone nella scena finale del film

Se il malessere economico e la perdita di fiducia nella politica creano un terreno fertile per i germi del populismo e dell'estremismo (valeva per l'America degli anni Settanta come per i nostri tempi), l'altra costante è l'indifferenza: il ripiegamento dall'idea di essere tutti parte attiva di un vasto tessuto sociale a un individualismo sempre più marcato. Nel film Michael Murphy interpreta John Triplette, mellifluo manager della campagna elettorale di Hal Phillip Walker, impegnato a sfruttare ogni occasione per accrescere la visibilità del proprio candidato: ogni sua interazione con gli altri personaggi, in particolare nel settore dello show business, è marcata dalla possibilità di favorire gli interessi reciproci, mentre tutti appaiono incuranti degli aspetti ideologici alla base di tale campagna. La stagione dell'impegno civile, delle proteste, della controcultura sembra ormai tramontata per sempre.

Nashville, il capolavoro di Robert Altman che ha cambiato la storia del cinema Nashville, il capolavoro di Robert Altman che ha cambiato la storia del cinema

Spettacolo e violenza: "It don't worry me"

Nashville
Un'immagine di Ronee Blakley

Il binomio fra politica e spettacolo, con la conseguente commistione fra i relativi linguaggi, è del resto uno degli assi portanti della pellicola di Altman. Barbara Jean, superstar dal precario equilibrio psichico, affidata al volto e alla voce dell'esordiente Ronee Blakley, con il lungo abito bianco e le sue tenere ballate malinconiche ("And now that I'm older, grown up on my own/ I still love mama and daddy best, my Idaho home") incarna l'ingenuità e l'innocenza del genere country; ma la sua popolarità è vampirizzata da chi, a diversi livelli (l'industria discografica, il lobbismo politico), punta a farne un veicolo per il proprio tornaconto. La natura mitopoietica dello spettacolo è resa oggetto di un feroce smascheramento, reso ancor più amaro dal cruento epilogo al Partenone di Nashville, antico simbolo di democrazia convertito in palcoscenico a uso e consumo del Replacement Party e teatro in cui si consuma un repentino atto sanguinario.

Nashville Harris
Barbara Harris nel ruolo di Albuquerque

È un altro tema-chiave di Nashville, nonché uno dei più tragicamente attuali: la violenza come componente endemica della società americana. Una violenza che serpeggia latente per poi esplodere improvvisa, come una variante genetica insita nell'essenza stessa degli Stati Uniti. È una violenza che, dall'idolo caduto di John F. Kennedy (rievocato con rimpianto da Lady Pearl), vediamo emergere più che mai nell'America di oggi, ma qui Altman va ben oltre: ci mostra come essa sia fagocitata e perfino normalizzata dalle logiche dello spettacolo. Accadeva il 13 luglio 2024 con il pugno alzato di Trump a favor di telecamere pochi secondi dopo il suo attentato, e accade nel film con le parole concitate di Haven Hamilton: "Non siamo a Dallas, siamo a Nashville!". Non c'è tempo per metabolizzare l'orrore: lo spettacolo deve andare avanti e il pubblico è già pronto a intonare la prossima canzone. "Economy's depressed, not me/ My spirit's high as it can be/ And you may say that I ain't free/ But it don't worry me". Cinquant'anni dopo, Nashville non ha ancora smesso di interrogarci su quanto teniamo davvero alla nostra libertà.