Quando un anno fa Narcos ha fatto il suo debutto ufficiale su Netflix, il popolare servizio streaming non aveva ancora lanciato la sua divisione italiana, quindi il valore e la forza della serie sono passati un po' in sordina, attirando l'attenzione soprattutto degli appassionati di produzioni seriali che hanno potuto apprezzare il suo stile realistico, le sue esplosioni di violenza e la superba interpretazione del suo protagonista Wagner Moura. Solo un paio di mesi dopo, quando Netflix ha inaugurato il suo servizio in Italia, la serie che racconta l'ascesa al potere del narcotrafficante Pablo Escobar ha potuto raggiungere un pubblico più vasto, binge-watching dopo binge-watching.
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Un altro aspetto che un anno fa non avevamo potuto apprezzare fino in fondo, se non a distanza e di riflesso, è la finissima abilità del canale streaming nel promuovere le sue produzioni, nel giocare con i loro temi e punti di forza per incuriosire e stimolare i suoi spettatori. Lo ha fatto in vari modi quest'anno con Narcos, con fulminanti e un po' volgari lezioni di spagnolo con Pablo, ma soprattutto con il geniale inserimento nel tormentone relativo agli spoiler che ha dilagato online, accompagnando serie popolari come The Walking Dead o Il trono di spade.
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La storia è il più grande spoiler
Netflix ha infatti scherzato sulla fine della storia di Escobar, con un secco e diretto Pablo muore che non lascia spazio ai dubbi, ma specificando nella sua condivisione su Facebook che la storia è il più grande spoiler. Perché è ovvio che in una serie come Narcos, ispirata com'è a fatti storici, reali e verificabili, non ha senso parlare di spoiler nel rivelare dettagli della vita e le opere di Pablo Escobar che vengono narrate, più o meno romanzate che siano. Questo non vuol dire che non ci sia imprevedibilità e ritmo nella serie ideata da Chris Brancato, Carlo Bernard e Doug Miro, che manchi una tensione narrativa capace di appassionare e coinvolgere. Tutt'altro! Perché la costruzione dell'impero di Escobar raccontato nella prima stagione, e l'inevitabile crollo che ne consegue in modo quasi naturale e drammatico, colpisce e coinvolge mentre tratteggia uno spaccato sfaccettato e ricco della situazione colombiana di quegli anni, dell'Escobar uomo e imprenditore e degli incastri di poteri che a vari livelli lo hanno circondato.
Nel centro del mirino
Con il finale della stagione 1 di Narcos, avevamo lasciato Pablo Escobar fuori dalla Catedral, la prigione che di fatto era la sua fortezza, dove si era rintanato dopo essersi consegnato alle autorità, circondato dalla protezione dei suoi uomini e da un benessere che non si addice ad una prigionia. Nella stagione 2 distribuita dal 2 Settembre, fuori dalla sua Cattedrale, la situazione è ben diversa ed Escobar è costretto a vivere da fuggiasco, con diversi gruppi sulle sue tracce: le forze dell'ordine, ovviamente, dalla DEA al Search Bloc guidato da una vecchia conoscenza di Pablo e degli spettatori, il colonnello Carrillo; il cartello di Cali, contrapposto a quello di Medellìn controllato da lui; e soprattutto la variabile impazzita rappresentata dalle conseguenze delle sue azioni criminose e le sue esplosioni di violenza, che culmina nel gruppo che si fa chiamare Los Pepes. Per questo è ugualmente efficace la promozione lanciata da Netflix a pochi giorni dal lancio di Narcos, che conferma la morte del protagonista ma si chiede e ci chiede: "chi lo ha ucciso?". Ma potete stare tranquilli, non saremo noi a rivelarvelo in questa recensione.
Lotta armata
La seconda stagione della serie conferma quanto di buono fatto con la prima, proponendo la stessa ricetta con delle interessanti variazioni. Si conferma per esempio l'approccio molto documentaristico, con innesti sensati e mirati di immagini e video di repertorio, ma se lo scorso anno il ritmo dilatato enfatizzava gli eccessi violenti di alcune situazioni, quest'anno il passo è più sostenuto, gli eventi precipitano più rapidamente e, se possibile, la violenza raggiunge picchi superiori a quanto visto in precedenza. Allo stesso modo si fanno dei passi in avanti sul fronte dell'azione vera e propria, con una componente che possiamo considerare più propriamente action, che si concretizza in alcune sequenze efficaci ed elaborate, che sfociano, nel sesto episodio, in un fantastico piano sequenza di tre minuti che non può lasciare indifferenti. Si confermano anche i contrasti che caratterizzano la serie, un montaggio capace di mostrarli in parallelo: una efferata esecuzione alternata ad una doccia rilassante; un discorso televisivo controllato e strategico ad una sfuriata fuori controllo; le diverse reazioni di Javier Peña e Steve Murphy. In un paio di occasioni, il sogno e l'illusione di grandezza contro la cruda realtà.
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Nei panni di Pablo
Allo stesso modo Narcos 2 dedica più spazio alla componente intima della storia di Pablo Escobar, indugiando maggiormente sul privato del narcotrafficante: approfittando della protetta vita da recluso per sfuggire ai suoi avversari, gli autori colgono l'occasione per proporci spaccati di vita privata, mostrandoci il boss di Medellìn insieme ai figli, la moglie e la madre, dando a Moura la possibilità di definire ancora più profondamente e efficacemente una figura complessa e controversa della fine del secolo scorso. Sono momenti preziosi, dal Pablo impegnato in un videogioco con il figlio a quello che rassicura la bambina, che in qualche modo riescono a rendere ancora più folle e insostenibile la componente criminosa delle sue attività. Una porzione di storia in cui si mitiga anche un difetto della serie riscontrato lo scorso anno, quello della scarsa incisività delle figure femminili nello show di Netflix: nei momenti familiari degli Escobar, la Tata di Paulina Gaitan smette di essere una semplice donna del boss, ma fa dei passi avanti in termini di sfumature e profondità, di forza e carattere. E lo stesso si può dire per la Maritza interpretata da Martina García, che pur nelle poche sequenze a sua disposizione riesce a tratteggiare una figura femminile meglio definita di altre che la serie ha proposto.
L'impero di Escobar
Dal finale della prima stagione alla morte di Escobar passa un intervallo di tempo di diciotto mesi ed è su questi che Narcos 2 dichiaratamente si concentra, raccontando il declino di un impero e di quello che si poteva considerare un re, non più il Robin Hood paisà degli inizi ma un criminale pericoloso e temuto. È chiaro dal titolo della serie che le intenzioni sono di raccontare un fenomeno e un periodo, non solo un personaggio, ma gli autori l'hanno fatto mettendo al centro del racconto la figura enorme, ingombrante, di Pablo Escobar grazie alla sontuosa interpretazione dell'attore brasiliano. Una terza stagione non è ancora annunciata, ma se il riscontro dovesse essere positivo come quello ricevuto dal primo ciclo di episodi non ci sembra improbabile un ritorno anche per il prossimo anno. Ci sono diversi modi in cui uno show come Narcos può proseguire il suo cammino, dando spazio ad altri dei personaggi che conosciamo o inserendone di nuovi, ma quel che è certo è che dovrà farlo senza l'appoggio del suo protagonista Wagner Moura.
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Movieplayer.it
4.0/5