My Son, la recensione: James McAvoy è un padre alla ricerca del figlio, su Amazon Prime Video

La recensione di My Son: il film disponibile in streaming dal 21 gennaio su Amazon Prime Video racconta la storia di un padre e di una madre alle prese con uno dei peggiori incubi che possa capitare a un genitore, la scomparsa di un figlio.

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My Son: James McAvoy in una scena del film

James McAvoy è in scena dall'inizio alla fine del film: è il protagonista assoluto. Nella recensione di My Son, il film di Cristian Carion disponibile in streaming dal 21 gennaio su Amazon Prime Video, vi parleremo di lui e di un film che racconta la storia di un padre e di una madre alle prese con uno dei peggiori incubi che possa capitare a un genitore: la scomparsa di un figlio. My Son racconta tutto questo con un film che si divide tra dramma familiare e thriller per poi prendere definitivamente la strada del secondo. Ma è la parte drammatica quella che convince di più, mentre al racconto giallo manca qualcosa.

La scomparsa del figlio

Edmond Murray (James McAvoy) arriva in macchina sul luogo dove è scattato l'allarme, e trova già tutti sul posto, la polizia e la moglie Joan (Claire Foy). Il loro figlio Ethan, di sette anni, che era in un campo vacanze al lago, è scomparso. La prima ipotesi è che sia annegato, ma si comincia a pensare anche a un rapimento. Edmond e Joan sono separati, lei ha un altro compagno, e Edmond è sempre lontano per lavoro. Joan, d'altra parte, aveva convinto Ethan ad andare in vacanza. E così all'ansia per le ricerche si aggiungono i sensi di colpa.

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Il punto di vista del protagonista

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My Son: Claire Foy in una scena

"Perché Ethan e non un altro bambino?". È questa la domanda che si fa la polizia. Così comincia a interrogarsi sul suo lavoro, sulla situazione familiare, il divorzio dalla moglie e i rapporti con il nuovo compagno. Dubbi e sensi di colpa aumentano. My Son è uno di quei film che sposano totalmente il punto di vista di un personaggio. Non c'è un narratore onnisciente che ci guida lungo il racconto, e che ci mostra altri aspetti della vicenda. La macchina da presa è costantemente su Edmond, noi sappiamo e vediamo quello che vede e apprende lui. In questo modo partecipiamo alla sua impotenza, restiamo al buio fino a che ci resta lui. E sposiamo inevitabilmente il proprio punto di vista.

Investigare in due direzioni

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My Son: James McAvoy e Claire Foy in una scena

Insieme a lui, allora entriamo in un'investigazione che si muove in due direzioni. Da un lato è verso l'esterno, alla ricerca degli indizi che possano portare a una spiegazione, alla risoluzione del mistero. Dall'altro lato l'investigazione è tutta interiore: Edmond cerca di guardarsi dentro e dentro al rapporto con il figlio, di capire che padre è stato, che cosa provi il figlio in questa situazione, se sia felice o meno. Christian Carion orchestra questi movimenti piuttosto bene, svelando indizi ed emozioni attraverso i dialoghi e attraverso dei video presi da uno smartphone che Edmond comincia utilizzare. Le immagini dei nostri cellulari sono ormai la nostra memoria visiva, e così Edmond in qualche modo prova a recuperare il tempo perduto, a conoscere qualcosa di suo figlio. Ma anche a trovare gli indizi per risolvere il caso.

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Siamo dalle parti di Prisoners

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My Son: James McAvoy e Claire Foy in una scena del film

My Son è un film diviso in due, una prima parte più riflessiva, e una seconda più d'azione. Una prima parte che sembra avvicinarsi a un film come Locke, senza l'unità di tempo e luogo e l'uomo solo in scena, ma per come mette un uomo e un padre di famiglia allo specchio ad affrontare i suoi dilemmi. La seconda è uno di quei classici film che potrebbero avere al centro Mel Gibson o Liam Neeson, quelli in cui un padre, un uomo qualunque, diventa qualcun altro, va al di là dei propri limiti e del proprio modo di essere per l'istinto di salvare il proprio figlio. In questo senso si avvicina, senza raggiungerlo, anche a Prisonersdi Denis Villeneuve, per come indaga sul limite fino al quale possiamo arrivare quando siamo toccati nel profondo e quando siamo fuori controllo. Rispetto agli attori tipici di quei film, James McAvoy è più versatile, riesce a unire in sé forza e fragilità, e la sua interpretazione è il vero valore aggiunto del film. Anche Claire Foy, smessi i panni reali di Elisabetta II di The Crown, è credibile nei panni di una donna stanca e provata, e dimostra il suo coraggio nello scegliere i ruoli (non dimentichiamo che è stata anche Lisbeth Salander, ruolo non facile).

Due film in uno, ma ne funziona solo uno

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My Son: James McAvoy in una scena

Di questi due film in uno quello che funziona di più è sicuramente il primo. La prima parte, come detto, unisce il mistero della sparizione a un discorso più intimo, e fa uscire bene le psicologie dei personaggi. L'ultima mezz'ora è pura azione, e questo deve essere, ma manca qualcosa: uno sviluppo in fondo troppo lineare, una risoluzione del mistero piuttosto veloce, e uno showdown finale che si svolge senza poter giocare tutte le carte possibili. Per quello che è un thriller, alcuni colpi di scena e alcuni trucchi servirebbero a tenere più altra l'attenzione del pubblico. È invece riuscita l'ambientazione: la natura ostile e dura della Scozia sembra essere uno spettatore in fondo poco interessato alle vicende umane. Osserva da lontano e ci fa sentire ancora più soli.

Conclusioni

Nella recensione di My Son vi abbiamo parlato di un film che si divide tra dramma familiare e thriller per poi prendere definitivamente la strada del secondo. Ma è la parte drammatica quella che convince di più, mentre al racconto giallo manca qualcosa.

Movieplayer.it
2.5/5
Voto medio
4.1/5

Perché ci piace

  • La scelta di raccontare la storia sposando un punto di vista preciso, quello del protagonista.
  • James McAvoy offre un'interpretazione convincente, e Claire Foy non è da meno.
  • Il film funziona quando deve approfondire il lato psicologico della vicenda...

Cosa non va

  • ...ma funziona un po' meno come trama gialla, che risulta piuttosto lineare.
  • La vicenda si risolve in modo troppo semplice, e alcuni nodi non sono giustificati.
  • Durante lo showdown finale abbiamo l'impressione che si potessero giocare altre carte per rendere tutto più coinvolgente.