Noi saremo sempre una parte di Elliot Alderson, e saremo la parte migliore. Perché noi siamo la parte che è sempre stata presente.
"Hello, friend". "Hello, Elliot". La chiusura del cerchio non potrebbe essere più geometrica: se l'episodio pilota trasmesso da USA Network il 24 giugno 2015 si apriva con quel saluto diventato subito proverbiale nell'immaginario di Mr. Robot, Hello, Elliot, titolo dell'ultimo episodio (oggetto della nostra recensione di Mr. Robot 4x13 e dell'analisi del finale della serie), è la frase con cui viene accolto per la prima volta Elliot Alderson. Il 'vero' Elliot Alderson, però: il ragazzo pronto a riprendere il proprio posto in un mondo che il 'nostro' Elliot ha contribuito a rendere migliore, sconfiggendo avversari in carne e ossa e demoni interiori altrettanto temibili.
Le moltitudini di Elliot
È l'ultimo, spettacolare colpo di scena di una serie che ha sempre fatto leva sui twist, ma con una consapevolezza e una coerenza derivanti dall'accurata progettazione del creatore e showrunner Sam Esmail. Perché l'intera vicenda di Elliot era stata ideata fin dal principio: tutto verteva verso questo inesorabile punto d'arrivo, tanto che, al termine del percorso, retrospettivamente ogni tassello ha trovato la sua perfetta collocazione. Non solo: è la storia stessa ad assumere un ulteriore livello di significato, caricandosi fra l'altro di una dimensione metanarrativa che chiama in causa l'atto stesso del raccontare, frutto del rapporto bilaterale fra un narratore e noi spettatori... "i voyeur che pensano di non essere parte di questo, nonostante siano stati qui per tutto il tempo".
"Sono vasto, contengo moltitudini": nella celeberrima citazione del poeta Walt Whitman è racchiusa la natura stessa del protagonista di Mr. Robot, ma in misura ancora più radicale di quanto non avessimo mai pensato. Perché Elliot Alderson, il giovane hacker anarchico e sociopatico interpretato da Rami Malek, l'eroe introverso di cui siamo stati al fianco per quattro anni e mezzo e quarantacinque puntate, è solo una delle componenti del vero Elliot: il Mastermind, come viene definito nell'ultimo episodio, membro di quella famiglia immaginaria in cui Elliot ha proiettato gli aspetti contrastanti della sua personalità e del suo tormentato passato. Un passato di abusi e di violenza, con cui ha dovuto fare definitivamente i conti proprio durante la quarta stagione.
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'Io non sono Elliot: sono soltanto una parte di lui'
Con il nono e l'undicesimo episodio, Conflict ed eXit, si era già consumata la disfatta della Dark Army e del Deus Group, con una ridistribuzione della ricchezza dell'"un percento dell'un percento" e la morte di Whiterose. In eXit, tuttavia, Esmail aveva reintrodotto quell'elemento considerato finora una sorta di bizzarro MacGuffin: una misteriosa macchina in grado di 'resettare' la realtà. Da allora, e per tutto il dodicesimo episodio (whoami), Mr. Robot è tornato a giocare con le nostre aspettative, ingannandoci con la prospettiva di una sorta di multiverso (e di un tutt'altro che augurabile "salto dello squalo" nel finale di partita) in cui un Elliot 'sdoppiato' entrava in contatto con la serena esistenza del suo alter ego, salvo poi assassinarlo per tentare di prenderne il posto.
Ma in Hello, Elliot, l'ipotesi del multiverso comincia a franarci sotto i piedi: la vita ordinaria e felice dell'altro Elliot non è che l'ennesima illusione partorita dalla psiche del nostro Elliot, e popolata dai volti dei personaggi che abbiamo conosciuto fin dall'inizio della serie. Sono il Mr. Robot di Christian Slater e la Krista Gordon di Gloria Reuben, passo dopo passo, a metterci di fronte alla verità: il tenebroso hacker a capo della fsociety finora ha protetto il vero Elliot, dominandone quasi sempre il corpo e la mente in modo da tenerlo al riparo dai traumi della sua infanzia e dai pericoli del mondo.
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'E se per cambiare il mondo bastasse essere qui?'
Dunque nessuna realtà parallela, né soluzioni alla Lost, ma un colpo di scena intimamente connesso al senso profondo di Mr. Robot: una serie sugli esseri umani e sulla loro complessità insondabile, in cui la costruzione dell'identità passa attraverso le maschere indossate ogni giorno e le 'persone' in cui ci rifugiamo nella speranza di trovare un equilibrio con noi stessi. È l'equilibrio che Elliot ha inseguito per più di quattro anni e che può ottenere in un unico modo: facendosi da parte per restituire il controllo al vero Elliot, il fratello che Darlene ama a tal punto da essere stata disposta ad accettarne anche il "lato oscuro", il suddetto Mastermind, pur di averlo accanto a sé.
"E se per cambiare il mondo bastasse essere qui?", si domanda Elliot, dopo aver compreso ciò che è veramente. È l'incipit dello struggente monologo che funge da corollario all'episodio finale: una riflessione sul potere insito nelle scelte di ogni singolo individuo, sulla possibilità di cambiare il mondo semplicemente decidendo di essere noi stessi. "Anche quando non ci saremo più, è come diceva Mr. Robot: noi saremo sempre una parte di Elliot Alderson, e saremo la parte migliore. Perché noi siamo la parte che è sempre stata presente; siamo la parte che è rimasta, siamo la parte che lo ha cambiato... e chi non ne sarebbe orgoglioso?". E in una scena che rende magnificamente omaggio alla sequenza dello Stargate in 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, accompagnata dalla melodia elettronica del brano Outro degli M83, Elliot conclude il suo (e il nostro) viaggio per iniziarne uno nuovo: un viaggio che si apre su un occhio spalancato e velato di lacrime. "Ciao, Elliot".
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Conclusioni
Dalla suspense del drammatico confronto fra Elliot e il proprio doppelgänger alle sequenze surreali e stranianti che seguono il suo delitto, per arrivare alla tensione della “resa dei conti” con l’altra parte di sé e a un explicit travolgente, ammantato di malinconia: nella nostra recensione del finale di Mr. Robot abbiamo provato a tradurre il saliscendi emotivo di un epilogo che non avremmo potuto immaginare più compiuto e più ‘giusto’ per la serie di Sam Esmail. Un racconto che abbiamo amato fin dal suo esordio, e che quattro anni dopo, al momento di calare il sipario, siamo pronti a collocare fra le vette più alte di un intero decennio di televisione.
Perché ci piace
- La precisione geometrica di un finale in grado di chiudere in maniera perfetta la parabola del protagonista.
- L’altalenarsi di diversi registri, dalla suspense allo humor nero, per approdare a un epilogo davvero emozionante.
- La suggestiva messa in scena di Sam Esmail, capace di aderire puntualmente agli stati d’animo del protagonista.
- La performance, ancora una volta superlativa, di Rami Malek, cuore pulsante di tutta la serie.
Cosa non va
- Il fugace timore iniziale di un “salto dello squalo”, destinato però a rivelarsi soltanto l’ennesimo gioco di prestigio di Sam Esmail.