Una macchina apparentemente super sicura, una neo mamma, Sandra (Katrina Bowden), che viaggia con il figlio: improvvisamente il peggio, quell'auto dalla tecnologia avanzatissima diventa un incubo. Sullo sfondo il deserto roccioso americano. Arriva in sala il 12 agosto Monolith, primo titolo distribuito da Vision Distribution, che fa parte di un progetto più grande, nato dalla mente di Roberto Recchioni: alla pellicola, sceneggiata da Mauro Uzzeo e diretta da Ivan Silvestrini, si affianca infatti anche la graphic novel pubblicata da Sergio Bonelli Editore, scritta sempre da Recchioni e Uzzeo, e disegnata da Lorenzo Ceccotti.
Abbiamo incontrato Ivan Silvestrini e Mauro Uzzeo al Giffoni Film Festival, dove ci hanno parlato della genesi del progetto e di come la storia di Monolith abbia radici profonde nella loro vita personale.
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Come nasce la macchina di Monolith
La storia del cinema è costellata da auto dalla forte personalità, dalla Ecto-1 di Ghostbusters - Acchiappafantasmi, alla macchina del tempo inventata da Doc Brown in Ritorno al futuro: anche il bolide iper tecnologico protagonista di Monolith sembra avere un carattere spiccato e ben definito. Come è stata la sua genesi? "Quando abbiamo cominciato a dare indicazioni al disegnatore ci siamo dati una regola: la Monolith doveva dare l'impressione di essere facilissima da usare" ci ha risposto Uzzeo, spiegando meglio: "Doveva sembrare tutto molto elementare, user friendly, e allo stesso tempo, nel momento in cui rimani fuori, completamente impenetrabile e inaccessibile. L'incarnazione delle paure di chi usa il pc invece che il Mac: facili da un certo punto di vista e inaccessibili per altri. Poi sapevamo che avrebbe dovuto incutere timore, come certi suv: nel momento in cui la Monolith si spegne è davvero un monolite con cui è impossibile interagire".
"Quando insieme a Lorenzo Ceccotti, il designer della macchina nonché disegnatore del fumetto, siamo andati da un costruttore di veicoli cinematografici, lo stesso che ha lavorato a Robocop e ha realizzato la moto di Terminator 2 - il giorno del giudizio, portando i nostri disegni, questo ci ha detto ragazzi, è impossibile" ha ammesso Silvestrini, proseguendo: "Da lì, grazie all'incredibile talento di Lorenzo, abbiamo cominciato a ripensare a come ottenere il risultato che ci eravamo prefissati fin dalla scrittura. Abbiamo individuato un'auto già esistente, non diffusa in Italia, mentre in America è molto usata dalla polizia, abbiamo trovato un esemplare usato e lo abbiamo completamente smontato, montando delle protesi, una sorta di armatura, in modo da creare il design che avevamo immaginato. Purtroppo la Monolith reale era tutt'altro che indistruttibile, era un oggetto delicatissimo e ne avevamo una sola: girare e dare l'idea che non potesse essere scalfita in nessun modo, quando invece l'abbiamo ampiamente rovinata durante le riprese, è stata una sfida ulteriore. Per fortuna i carrozzieri americani sono bravissimi e velocissimi".
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La paura di diventare genitori
Amici da molti anni, Uzzeo e Silvestrini si conoscono da quando sognavano di fare cinema: oggi sono riusciti a realizzare i loro desideri, per di più lavorando insieme, un privilegio che pochi hanno. Nel frattempo sono diventati entrambi padri: la paura di essere genitori ha influenzato la genesi di Monolith? "Lavorare insieme è stato divertente: la vera fatica è stata iniziare a lavorare perché passavamo metà delle nostre riunioni a sentire musica e a raccontarci gli ultimi gossip di tutte le amicizie che abbiamo in comune" ha confessato Uzzeo, continuando: "È stato molto bello perché Ivan è un super professionista, ha una sensibilità rara e secondo me perfetta per raccontare tutte le complesse sfumature, alcune anche solo accennate, che ci sono in Monolith, soprattutto per quanto riguarda il tema della maternità. Il film affronta la paura che hanno tutti i neo genitori, ovvero dimenticare il proprio figlio in macchina. Purtroppo sentiamo spesso notizie del genere in televisione: noi ci siamo chiesti che cosa succederebbe se questa macchina, che nasce per essere lo strumento perfetto per proteggere nostro figlio, in realtà poi diventasse la gabbia da cui è impossibile tirarlo fuori. Il gioco è stato lavorare su un personaggio, Sandra, che inizialmente sembra la madre perfetta, molto premurosa e attenta, e invece poi va incontro a una lotta estenuante contro i suoi demoni interiori per capire se è veramente in grado di rigenerare suo figlio e farlo uscire da quella macchina. Le nostre due compagne, Martina ed Emiliana, durante la realizzazione del film erano i nostri tester: tutto quello che scrivevamo lo sottoponevamo a loro e nel momento in cui non riuscivano più ad andare avanti nella lettura per l'ansia capivamo che la sceneggiatura andava bene".
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Per Silvestrini: "Mentre scrivevamo eravamo appena diventati padri di due bambini più o meno dell'età del personaggio di questa storia, quindi sapevamo esattamente di che cosa fosse capace o meno un bimbo di due anni e mezzo. Era fondamentale che fosse di quell'età perché non doveva essere in grado di liberarsi da solo, ma abbastanza grande da potersi cacciare nei guai, senza raccontare troppo. Il rapporto che oggi i bambini hanno con la tecnologia, tablet e telefoni cellulari, può creare degli effetti che nessuno di noi si può assolutamente prefigurare. Chissà cosa succederà a questi bambini che nascono con gli schermi touch screen in mano: è tutto da capire. La facilità con cui noi li lasciamo giocare con questi oggetti, spesso anche per azzittirli, è un'azione più pericolosa di quanto possa sembrare".