Sono passati 29 anni esatti dalla prima volta che Tom Cruise ha dato vita a Ethan Hunt, come ci ricorda tra l'altro proprio Mission: Impossible - The Final Reckoning in cui è riportata su una simbolica missiva la data "22 maggio 1996". Potremmo essere veramente giunti alla fine dei giochi. Ce lo dicono non solo le dichiarazioni e le comunicazioni varie, ma anche la logica delle cose, a partire dalla status del suo sempiterno protagonista.

L'ottavo capitolo del franchise ha infatti dentro la sua concezione l'idea di dover ottemperare alla necessità, comune ad ogni atto conclusivo di qualsiasi saga degna di questo nome, non tanto di celebrare quanto di dare un senso a ciò che è stato fatto fino a quel momento. Per M:I nello specifico questo bisogno è ancora più netto, visto il suo carattere esistenziale collegato a filo doppio con la vita del suo protagonista.
Il risultato è un film che dedica tantissimo tempo a riallacciare i fili per ridare retroattivamente una struttura ad una serie composta da capitoli concepiti singolarmente (con un paio di eccezioni) in modo da esaudire definitivamente il desiderio di continuità di Cruise, realizzato già in parte con la presenza costante di Christopher McQuarrie. Questo guardarsi all'indietro per riconoscersi della saga consente di dare un'occhiata alla rilettura della trama e, soprattutto, alla reinvenzione del significato della franchise stesso.
Dalla tv al cinema eterno

Alle origini di Mission: Impossible c'era la necessità industriale di appropriarsi del linguaggio televisivo con l'idea di inglobarlo nel cinema e così smontarne il successo ostile (un'illusione, come la Storia dirà) e quella personale di Cruise di mettere un tassello fondamentale alla costruzione della sua leggenda. Non a caso fu la sua casa di produzione a prendere i diritti della serie da cui è tratta la saga.
La relazione tra i linguaggi dei due media fu quindi un tema fondante, che tornerà preponderante con Mission: Impossible III, ma con risultati opposti. Se nel primo film l'operazione andò a buon fine, nel terzo, per il quale fu fatto appositamente esordire alla regia di un lungometraggio J. J. Abrams, il re della tv creatore di Alias e Lost, il risultato fu mediocre. Il "neo" del franchise, un film sbagliato fatto di scelte sbagliate, che Tom e soci evidentemente ancora mal digeriscono, come conferma Mission: Impossible - The Final Reckoning stesso, quando pone la genesi de l'Entità nella famigerata Zampa di lepre che Hunt scambiò con Davian in cambio della vita della moglie. Piazzare l'errore fondamentale del protagonista proprio in quel capitolo non può essere una scelta banale.

Analizzare questo aspetto semantico è molto più importante rispetto al soffermarsi al tentativo acrobatico di costruire dei sentieri narrativi laddove non esistono solo per creare uno showdown che poi nella pellicola, di fatto, non c'è. Il motivo è che nel livello metatestuale l'operazione dell'ultimo capitolo permette al franchise di acquisire realmente un senso coerente. Lo scopo di M:I è divenuto nel corso del tempo quello di ridare legittimità al cinema delle origini, quello fisico e realistico, abbracciando il leitmotiv di Ethan Hunt (anche se non proprio muovendosi nell'ombra, anzi, tutt'altro), cioè agire per coloro che si amano e per coloro che non si conosceranno mai.
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Tutto questo ci porta allo step finale, ovvero quello che coinvolge direttamente la visione di Tom Cruise, il quale considera il cinema "originale" come l'arte in grado di salvare l'umanità. Ecco che allora Mission: Impossible - The Final Reckoning, come ultimo livello, rivede la saga come biblica.
Biblica in senso cinematografico (e quindi profano) con il compito di combattere la realtà costituita da tutto ciò che è artificiale, simbolo della corruzione del cinema moderno. Una realtà che ha sottratto il libero arbitrio all'uomo, così come la possibilità di inficiare su di essa e che nasconde la verità seminando sospetto, panico e discordia. Il compito della star hollywoodiana è quello di redimere se stesso così da redimere i peccati di chi ha permesso a questa realtà di espandersi e poi rivelarne l'inganno.

La rilettura operata da Mission: Impossible - The Final Reckoning ha quindi come approdo definitivo quello spirituale, con il preciso scopo di elevare il franchise a lascito fondamentale per tutti coloro che si dovranno misurare con il grande schermo. Al centro c'è sempre l'uomo, un modo per ammettere gli errori commessi, ma anche per ispirare gli altri a dare il meglio di loro e a superare i propri limiti senza cedere alle bugie del digitale. Una visione del cinema estrema e dogmatica e che quindi non va abbracciata acriticamente, ma da conservare per il futuro anche solo come metro di misura.