Recensione Strange Days (1995)

E' il quinto film di Kathryn Bigelow, fautrice di un cinema estremo e visionario, basato soprattutto sulla forza di immagini in grado di stordire e ammaliare lo spettatore: una linea che la regista, in tanti anni di carriera, non ha mai tradito.

Mille e non più mille?

Siamo a Los Angeles, alla fine del 1999, all'alba del nuovo millennio: in una città sconvolta dagli odi razziali e dai conflitti etnici, si muove Lenny Nero, interpretato da Ralph Fiennes, ex poliziotto ora spacciatore di un nuovo tipo di droga elettronica, lo Squid, che consente di vivere in prima persona le esperienze sensoriali altrui; Lenny è amico di Mace Mason, interpretata da Angela Bassett, che vive facendo l'autista per personnaggi importanti. Quando una prostituta amica di Lenny viene misteriosamente uccisa, i due si ritrovano in breve tempo coinvolti in una intricata vicenda che si fa subito estremamente pericolosa.

Strange Days è il quinto film della regista Kathryn Bigelow, fautrice di un cinema estremo e visionario, basato soprattutto sulla forza di immagini in grado di stordire e ammaliare lo spettatore: questa sua pellicola, uscita nel 1996, non tradisce questa linea, e vi aggiunge inoltre un preciso discorso sociale e politico.
Non è corretto parlare di Strange Days come di una pellicola di fantascienza: il film è ambientato solo poco più di tre anni dopo la sua uscita, e l'unica vera differenza tra il suo mondo e il nostro è rappresentata dallo Squid. Per il resto, quelle che la Bigelow mette in scena sono angosce e paure proprie della società contemporanea, radicalizzate ed esasperate. Una di queste è la paura della tecnologia, una tecnologia che toglie spazio ai sentimenti e finisce col provocare alienazione e solitudine, quella stessa solitudine che accomuna i due protagonisti Lenny e Mace. Poi ci sono l'emarginazione, la disuguaglianza, il razzismo, tutti indici di un potere marcio e corrotto che provoca forti tensioni sociali, acuite nel film ma le cui basi erano ben presenti nel periodo in cui la pellicola fu girata; e su tutto troneggia l'attesa spasmodica per l'arrivo del 2000, ben riassunta nella grande scena finale: in quella gente in festa si avverte una tensione palpabile, l'angoscia per quello che potrebbe riservare il nuovo millennio in un mondo che sembra andare alla rovina; e il ricordo della frase biblica "mille e non più mille" fa nascere anche paure irrazionali e apocalittiche.
La Bigelow, che ha tratto il film da un soggetto del suo ex marito James Cameron, impone ad esso un grande ritmo, rapido e vorticoso, supportato da un montaggio serrato e da un'ottima fotografia. Il talento visivo della regista si esalta soprattutto nelle soggettive Squid, tra le quali va ricordato l'omicidio della prostituta, di una crudeltà impressionante, con la vittima costretta a vedere la sua stessa agonia mentre muore, e con lo spettatore che si sente a sua volta vittima e carnefice al tempo stesso. Ed è proprio questa la grande forza del cinema della Bigelow: un cinema fatto sì di immagini, ma di immagini capaci di coinvolgere in prima persona lo spettatore, chiamandolo anche ad una partecipazione, per così dire, fisica.

Il film si conclude con una nota di ottimismo; con quel bacio tra Lenny e Mace, la regista vuole forse comunicare che vale comunque la pena di entrare nel nuovo millennio conservando un po' di speranza: e sembra suggerire che questa speranza possa nascere anche da due persone che, indurite dalle esperienze e dall'aver toccato con mano gli orrori della società, scoprono di essere ancora capaci di provare un sentimento l'una per l'altra, quel semplice sentimento da cui forse l'uomo può (o deve) ripartire.

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4.0/5