Forse nessun cineasta, negli ultimi trent'anni, ha saputo raccontare l'Iran contemporaneo con l'accuratezza, la lucidità e la profondità di sguardo di Jafar Panahi, probabilmente il massimo alfiere di quel movimento soprannominato Nouvelle Vague iraniana. Per molti aspetti, Panahi può essere considerato una sorta di allievo di Abbas Kiarostami, regista di una generazione precedente e la cui opera, da Dov'è la casa del mio amico? a Close Up al celebre Il sapore della ciliegia, avrebbe influenzato non poco il cinema di autori più giovani. E Jafar Panahi, che ha iniziato a dirigere i primi cortometraggi nel 1988, non a caso ne ha seguito le orme, costruendosi però un percorso personalissimo culminato, quest'anno, nello splendido Un semplice incidente, appena portato nelle nostra sale da Lucky Red.
Jafar Panahi, autore pluripremiato e voce di dissenso contro il regime
Ricompensato con la Palma d'Oro come miglior film al Festival di Cannes 2025, Un semplice incidente ha riscosso consensi unanimi dalla critica e ha permesso al sessantacinquenne Jafar Panahi, originario della provincia dell'Azerbaijan, di completare il terzetto dei massimi trofei dei tre principali festival cinematografici del mondo, dopo il Leone d'Oro a Venezia nel 2000 per Il cerchio e l'Orso d'Oro a Berlino nel 2015 per Taxi Teheran: un risultato rarissimo che finora era stato messo a segno soltanto da altri tre registi, vale a dire Henri-Georges Clouzot, Michelangelo Antonioni e Robert Altman. Ma paradossalmente, all'immenso prestigio raccolto da Panahi nel mondo del cinema corrisponde l'aperta ostilità del regime iraniano nei suoi confronti: più volte i suoi film sono stati osteggiati e censurati in patria, mentre lui stesso è stato vittima di arresti e condanne da parte delle autorità del suo paese.
Fin dai suoi esordi, infatti, Jafar Panahi si è distinto come una voce di aperto dissenso verso le restrizioni e i soprusi della Repubblica Islamica, talvolta mettendosi in gioco pure davanti alla macchina da presa attraverso una forte componente autobiografica: si pensi al documentario del 2011 This Is Not a Film, girato mentre era in stato di arresto, o alla metafiction de Gli orsi non esistono del 2022. Ma dalle sue pellicole trapelano soprattutto le difficoltà, il malessere e il desiderio di rivalsa della popolazione iraniana: elementi fondamentali anche in Un semplice incidente, che non a caso è stato realizzato clandestinamente (come testimonia il fatto che, nel film, le donne non sempre indossano l'hijab) e che concorrerà agli Oscar come rappresentante della Francia. Un'occasione per ripercorrere, in ordine cronologico, i tasselli più significativi di una filmografia unica e vitalissima, fondamentale per conoscere più da vicino la realtà dell'Iran.
Il palloncino bianco
La discrepanza fra il sostegno internazionale per Jafar Panahi e i tentativi di boicottaggio da parte del regime risale già al lungometraggio di debutto del regista: Il palloncino bianco, scritto da Abbas Kiarostami e presentato alla Quinzaine des Réalizateurs del Festival di Cannes 1995, ricevendo la Caméra d'Or come miglior opera prima. Nel film, la cinepresa di Panahi si pone all'altezza dello sguardo di una bambina di sette anni, Razieh, che alla vigilia di Capodanno si ritrova a dover risolvere un grosso problema: recuperare la banconota affidatale dalla madre per comprare un pesciolino rosso, ma finita per sbaglio sotto una grata lungo la strada. Se l'ispirazione sembra derivare anche dal neorealismo italiano, Il palloncino bianco già dimostra alcuni tratti propri del cinema di Panahi, che tornerà a raccontare l'infanzia anche nel successivo Lo specchio, del 1997, dove però l'avventuroso ritorno a casa della piccola protagonista sfocia ben presto in una dimensione metafilmica.
Il cerchio
L'approccio da cinéma vérité, legato alla descrizione della vita quotidiana della gente comune in Iran, viene potenziato ne Il cerchio, scritto da Kambuzia Partovi e costruito attorno alle vicende interconnesse di un piccolo gruppo di donne alle prese con le sfide e i problemi che scandiscono la loro esistenza, dipingendo così un affresco corale della condizione femminile nell'Iran contemporaneo. Rispetto ai due titoli precedenti, qui il tono narrativo si fa decisamente più cupo e amaro, ragion per cui il film verrà bandito in Iran; in compenso, dopo i riconoscimenti ricevuti per Il palloncino bianco e Lo specchio, Il cerchio è il titolo che sancirà la definitiva consacrazione di Jafar Panahi sulla scena mondiale, grazie alla vittoria del Leone d'Oro alla Mostra di Venezia del 2000.
Offside
Dopo Il cerchio, Jafar Panahi tornerà ad adottare la prospettiva delle donne ingabbiate dai divieti del regime in Offside, la cui trama è imperniata su una specifica proibizione imposta in Iran: l'impossibilità, per le tifose, di entrare negli stadi per assistere ad eventi sportivi insieme agli uomini. Le privazioni stabilite dalla legge contro la passione sportiva di un gruppo di protagoniste indomite e ingegnose: è il conflitto al cuore del film, in cui un gruppo di ragazze si traveste in abiti maschili per poter vedere una partita di calcio fra Iran e Bahrain per le qualificazioni ai Mondiali del 2006. Caratterizzato da una vivacità e da toni da commedia alquanto insoliti nel cinema di Panahi, Offside è stato insignito dell'Orso d'Argento al Festival di Berlino 2006 ed è considerato una delle pietre miliari nella produzione del regista.
Taxi Teheran
A quasi un decennio di distanza da Offside, al Festival di Berlino del 2015 approda Taxi Teheran, a cui viene attribuito l'Orso d'Oro come miglior film: il riconoscimento è ritirato dalla nipote di Jafar Panahi, Hana Saeidi, anche interprete della pellicola, in quanto all'epoca a Panahi non è permesso uscire dal paese in seguito alla condanna riportata nel 2010 per "propaganda contro la Repubblica Islamica". Taxi Teheran, pertanto, viene girato illegalmente nelle strade della capitale con lo stesso Panahi come protagonista alla guida di un taxi, veicolo che offre la possibilità per una serie di incontri e per collezionare testimonianze sulla vita in Iran. Il regista, che veste i panni di se stesso, intreccia pertanto uno stile dal taglio documentaristico con elementi di finzione, secondo una formula che replicherà anche nel 2018 con Tre volti (miglior sceneggiatura a Cannes) e nel 2022 con Gli orsi non esistono (Premio della Giuria a Venezia).
Un semplice incidente
Rispetto ai suoi lavori degli scorsi anni, Un semplice incidente segna invece il ritorno di Jafar Panahi a un formato narrativo più tradizionale: un fattore alla base del successo trasversale che il film sta registrando in diversi paesi, sull'onda della Palma d'Oro a Cannes. Un semplice incidente si sviluppa attorno al proposito di vendetta coltivato e messo in atto da Vahid, interpretato da Vahid Mobasseri: un meccanico dell'Azerbaijan, nonché ex-dissidente politico, che in un cliente della propria officina (Ebrahim Azizi) crede di riconoscere Eghbal, il carceriere e aguzzino che l'aveva torturato durante il periodo trascorso in carcere. Ma quella che appare come una canonica revenge story, quasi una variante del dramma La morte e la fanciulla di Ariel Dorfman, nelle mani di Panahi si trasforma in un racconto multiforme e imprevedibile, in cui alla rabbia per ferite del passato si affiancano una radicata sensibilità umanista e i dubbi di una coscienza che non si lascia obnubilare dall'odio.