Michael Winterbottom alla scoperta di Genova

Il regista inglese ha presentato a Roma il suo ultimo film ambientato nel capoluogo ligure, che vede una famiglia inglese impegnata nell'elaborazione del lutto dopo una tragedia. Oltre a spiegare la scelta di Genova come location della sua opera, Winterbottom si è espresso sui recenti fatti politici italiani.

E' ambientato a Genova l'ultimo film dell'inglese Michael Winterbottom, premiato al Festival di San Sebastian per la regia, in arrivo nelle sale italiane venerdì 16 ottobre in circa 20 copie distribuite da Officine Ubu. La storia è quella di un padre che, dopo la tragica morte della moglie in un incidente d'auto, si trasferisce da Chicago insieme alle sue due figlie nel capoluogo ligure per cominciare una nuova vita e superare il dolore della perdita. L'elaborazione del lutto per la famiglia si consumerà tra i vicoli di una città-labirinto in cui sembra muoversi il fantasma della donna. Nel ruolo del protagonista Colin Firth, fresco vincitore della Coppa Volpi a Venezia per la sua magistrale interpretazione nel toccante A Single Man di Tom Ford. Giunto a Roma per presentare il film, Winterbottom racconta la sua fascinazione per una città come Genova, alla quale grazie alla sua opera fornisce un bello spot turistico, ma dice anche la sua sui recenti fatti di politica italiana relativi all'ormai chiacchieratissima decisione della Consulta di giudicare incostituzionale il Lodo Alfano che salvava di fatto il premier Berlusconi dai processi in cui era imputato.

Michael Winterbottom, da dov'è nata l'idea di scegliere Genova come ambientazione del suo film?

Michael Winterbottom: Genova è stata il punto di partenza del film. Qualche anno fa mi è capitato di attraversare l'Italia in attesa di prendere un aereo per l'Inghilterra e ho avuto la possibilità di passare qualche ora in quella città che mi ha subito affascinato. Da lì è nato tutto.

Come ha fatto Wim Wenders con Palermo nel suo recente Palermo Shooting, anche lei a Genova è andato alla ricerca di vicoli e luoghi simbolo in cui far muovere i personaggi. In questo modo non si rischia di sfiorare il documentario turistico?

Michael Winterbottom: Il mio è un film che riguarda persone che vengono da un altrove, degli inglesi vissuti in America. Al centro di Genova ci sono persone non italiane che vengono da un'altra situazione e si trovano nell'esigenza di ricominciare la propria vita da zero, in una città a loro completamente estranea. Nel film è raccontato quel limbo che è il primo mese del loro trapianto a Genova, in cui sono costretti a gettarsi alle spalle la propria vita per imboccarne una nuova. Sono persone alla deriva, impegnate nel processo di trovare una propria strada in una condizione di isolamento. La madre è morta, e loro lottano per adeguarsi al nuovo paese, a una nuova lingua; il nucleo familiare si trova nella situazione di poter far conto solo sulle proprie risorse, sui legami che lo tengono insieme. La fine del film, con l'inizio dell'anno scolastico per le figlie, coincide con l'inizio di una nuova vita vera in questo posto.

Quindi avrebbe potuto ambientare il suo film in qualsiasi altro posto?

Michael Winterbottom: Avrei potuto realizzare il film in un'altra città, ma sul piano concreto la location determina il film e lo modifica. Il film sarebbe stato un altro se girato altrove. Il mio punto di partenza è stato Genova, mi interessava fare un film in quella città, ma è comunque un film che riguarda degli outsider, della gente proveniente da fuori.

Durante la realizzazione del film, è stato in qualche modo ispirato dal Viaggio In Italia di Roberto Rossellini?

Michael Winterbottom: No, non c'è stata un'ispirazione diretta a Rossellini. Quando un regista comincia a guardare i film degli altri subisce una certa influenza da tutto quello che vede, ma l'unica vera ispirazione consapevole per questo film è stata A Venezia... un dicembre rosso shocking di Nicolas Roeg, un altro regista inglese che ha ambientato un suo film in una città italiana, e precisamente a Venezia, nel quale si raccontava della morte di un bambino. Ho cercato comunque di evitare deliberatamente qualsiasi influenza specifica.

Ci sono invece riferimenti autobiografici in Genova?

Michael Winterbottom: Non si può parlare di film autobiografico, perché è chiaramente una storia di finzione. Certo è che uno dei motivi per cui ho voluto fare il film è stata la mia esperienza di padre di due figlie femmine nate a diversi anni di distanza. La più piccola spesso si sente lasciata indietro, retrocessa al rango di figlia unica, perché ha una sorella che va per la sua strada, come la piccola Mary del film che resta indietro, è più sola e vulnerabile, perché sua sorella Kelly fa le sue scelte e ricerca una sua indipendenza. Nel film ho accentuato la situazione, facendo morire la madre, estremizzando questa questione di base di due figlie di età diversa.

Nel suo film si ha la sensazione continua che stia per accadere qualcosa di drammatico, ma in realtà non c'è alcun risvolto tragico ulteriore rispetto all'incidente iniziale.

Michael Winterbottom: Il processo stesso di realizzazione di un film è evolutivo, in cui le cose succedono dal di dentro. Certo, c'è un'idea iniziale, ma il modo in cui poi questa si sviluppa nel corso del tempo cambia continuamente. Le idee inizialmente vagliate erano molte, una di questa era il senso di colpa che la bambina più piccola prova a seguito della morte accidentale della madre. Potevamo seguire un indirizzo in cui alla fine anche lei sarebbe morta, ma sarebbe stata la direzione sbagliata da imboccare. Genova racconta di una famiglia alle prese con l'elaborazione del lutto, ma è anche un film sull'amore che lega i membri di questa famiglia, che tiene insieme un padre con due figlie così diverse. Abbiamo così scartato l'idea di aggiungere tragedia a tragedia, perché ho pensato fosse molto meglio l'idea che le cose possano andare avanti, che da una tragedia ci si possa riprendere perché la vita continua. Il messaggio è che è possibile rifarsi una vita nuova anche dopo una tragedia.

Quanto sono durate le riprese e com'è stato girare in una città come Genova piena di vicoli stretti?

Michael Winterbottom: Le riprese a Genova, realizzate d'estate, sono durate sette settimane. Quelle invernali a Chicago sono state girate in seguito. Complessivamente, tra riprese e pre produzione il tutto è durato tre mesi. E' stata un'esperienza straordinaria con una troupe di dimensioni ridotte che ha reso tutto più facile sotto il profilo della logistica, permettendo lo svolgimento delle riprese in modo piuttosto agevole.

Nel caso dovesse cambiare città, sceglierebbe una città come Genova per andare a vivere?

Michael Winterbottom: Ci sono tornato qualche settimana fa, è una città che continua ad affascinarmi. E' senz'altro una città dove potrei andare a vivere, sempre che riesca a imparare l'italiano.

Lei è un regista alquanto poliedrico, che passa da pellicole in costume a film contemporanei. Come sceglie le sue storie?

Michael Winterbottom: Per me l'unica cosa importante nel momento in cui comincio a pensare a un film è che l'argomento sia interessante e che questo interesse possa mantenersi in me per tutta la lavorazione. A Genova ho pensato per tre anni prima dell'inizio delle riprese. Quello che è davvero importante è che lo spunto deve interessare me come regista, fare sempre lo stesso tipo di film può essere noioso.

Lei ha una coscienza politica particolarmente sviluppata, come dimostrano spesso i suoi film. Come considera l'attuale situazione italiana?

Michael Winterbottom: A me sembra evidente che ciò che sta avvenendo in queste ore in Italia si tratti di uno sviluppo positivo della faccenda. Berlusconi ha saputo che non avrà l'impunità, e questo è un fatto positivo perché nessun politico deve avere alcun tipo di immunità rispetto a processi giudiziari a suo carico, compreso Berlusconi. La sentenza della Corte di Cassazione è la conclusione di una questione che ha interessato le classi politiche anche a livello internazionale.