Era giunto a Roma già nel maggio scorso per il lancio di E venne il giorno mentre oggi Mark Wahlberg ha incontrato i giornalisti nella sua nuova veste di videogame-man in occasione della presentazione della versione cinematografica di uno dei videogiochi più di successo degli ultimi anni. Parliamo di Max Payne, lo sparatutto che racconta la storia di un poliziotto del dipartimento di polizia di New York (Max Payne, appunto) che una sera tornando a casa trova moglie e figlio trucidati da una banda di trafficanti di droga. Deciso a dare la caccia e a vendicarsi con ogni mezzo agli assassini della sua famiglia e di uno dei suoi più cari amici, il poliziotto Alex Balder che sotto copertura lo stava aiutando a scovare i responsabili della strage, Max inizia il suo viaggio negli inferi fino a che, qualche anno dopo, non si troverà ad indagare su una serie di omicidi che sembrano in qualche modo legati a quelli dei suoi cari. E mentre il mistero si infittisce forze reali e soprannaturali stanno cospirando affinché la verità non venga mai fuori ed eliminare Max Payne una volta per tutte.
Smessi i panni del professore di matematica che contempla e fugge da piante e alberi, Wahlberg veste di nuovo quelli a lui senz'altro più congeniali di poliziotto ribelle, assetato di vendetta e dall'animo molto dark, uno che non segue le regole e ha veramente poco da perdere.
Ma durante la conferenza stampa non ha parlato solo del film bensì anche dei progetti che lo vedono coinvolto in veste di produttore (la nuova stagione di Entourage e il pilot di Boardwalk Empire, una fiction che sarà diretta niente meno che da Martin Scorsese) e del suo prossimo film (The Fighter, diretto da Darren Aronofsky) che lo vede ormai da tempo impegnato in un allenamento fisico molto duro senza che si sappia nulla di certo sulla sua effettiva realizzazione dopo il forfait di Brad Pitt.
Diretto dal regista irlandese John Moore (Dietro le linee nemiche e il remake di The Omen) Max Payne è un action-thriller neo noir (come lui stesso l'ha definito) che porta sul grande schermo quello che era forse il gioco che più di tutti era pronto ad essere 'cinematizzato'.
Come si prepara un attore di esperienza come Lei per un ruolo tratto da un videogame e per un film che richiede un linguaggio così moderno?
Mark Wahlberg: Per mia fortuna ebbi modo di leggere lo script ancor prima di sapere che il personaggio che mi accingevo a interpretare venisse da un videogioco. Lo trovai molto interessante e stimolante, anche se poi quando mi raccontarono le origini di Max Payne mi preoccupai molto visto che di solito i film tratti dai videogames hanno una trama quasi inesistente ed i personaggi molto poco spessore. Poi conoscendolo meglio mi resi conto che si trattava di un personaggio umanamente profondo, di un uomo impulsivo spinto dalle emozioni e assetato di vendetta; proprio a partire da questo che cominciai ad immedesimarmi nel ruolo visto che anche io ho una famiglia e non oso neanche immaginare cosa significherebbe per me perderla.
Max Payne è stato il primo videogioco ad avere una campagna promozionale simile a quelle dei film. Prima di lavorare in Max Payne sapeva di questa forte concorrenza tra cinema e videogiochi nel cuore dei giovani?
Mark Wahlberg: Prima di interpretare Max Payne non avevo neanche idea di quanti film fossero stati realizzati a partire dai videogames. Avevo sentito sempre parlare da lontano di questo mondo, da amici e colleghi che sono diventati quasi dipendenti dalle loro console. Io personalmente ho sempre cercato di tenermi fuori da questo giro, preferisco dedicarmi ad altro e non voglio che i miei figli crescano passando ore e ore davanti allo schermo, preferisco facciamo sport e che siano più attivi. E' anche vero che questo mio tenermi fuori dalle tecnologie è un po' fuori moda e spesso anche un po' menomante, prima o poi dovrò farci i conti.
Perché secondo Lei questo tipo di videogiochi e di film vanno per la maggiore tra i ragazzi?
Mark Wahlberg: I ragazzi oggi vogliono avere le redini del gioco in mano, sono intraprendenti, hanno la smania di premere il grilletto. Per questo i giochi più venduti sono spesso quelli più violenti, specialmente negli Usa. C'è da dire che il film ha ripreso moltissimo dal film, le differenze riscontrabili sono davvero poche, specialmente nel look.
Lei ha mai giocato una partita di Max Payne?
Mark Wahlberg: Ad essere sincero no, quando mi hanno offerto il ruolo ho comprato una copia e l'ho regalata al mio assistente e c'ho fatto giocare lui, io lo guardavo e mi divertivo, poi ne discutevamo. Alla fine delle riprese gliel'ho dovuto levare dalle mani di forza, altrimenti sarebbe ancora lì a trafficare (ride).
Lei non è mai stato un divo dell'action ma ha sempre impostato sulla fisicità una grossa fetta della sua recitazione. E' il Suo modo di entrare nei personaggi?
Mark Wahlberg: Quando mi appresto ad interpretare un ruolo cerco sempre di trovare quell'appiglio che mi permetta di identificarmi con esso. Questo lavoro per me è un po' la realizzazione di quel che ho sempre sognato di fare da ragazzino e cioè l'atleta. Mi sto allenando, tanto per citarne uno, per il prossimo film che farò con Aronofsky in cui sarò un pugile. Max Payne è arrivato dopo il mio ruolo in E venne il giorno di Shyamalan ed è stato un toccasana, ero stufo di scappare da piante e alberi, era ora di rientrare in azione, di sparare, di combattere, più semplicemente era arrivato nuovamente il momento di menare le mani!
Lei è stato sempre molto credibile in ruoli di uomini combattuti, tristi e anche un po' introversi. Come mai a suo giudizio le riescono così bene certi personaggi?
Mark Wahlberg: Per questi ruoli mi aiutano e mi hanno sempre aiutato le mie esperienze di vita, ho avuto un'infanzia difficile e le ferite me le porto ancora dentro. I ruoli così oscuri e bui mi sono sempre piaciuti proprio perché forse mi ci rispecchio molto. Ho molto di cui pentirmi se guardo indietro al mio passato, ho tanta sofferenza nel cuore e posso dire che la mia insegnante di recitazione è stata la strada. Mi piacerebbe anche fare una commedia vera prima o poi, non solo film con una vena umoristica, sarebbe davvero bello.
A parte il suo ruolo di attore e di produttore, ha mai pensato di mettersi dietro la macchina da presa?
Mark Wahlberg: Mi piacerebbe moltissimo, ho avuto la fortuna di lavorare con i migliori registi del mondo e di imparare il più possibile da loro. C'è stato un momento in passato in cui mi sono sentito pronto per farlo, poi ho lavorato con Peter Jackson (nel film che uscirà l'anno prossimo The Lovely Bones che avrà come protagonisti oltre a Wahlberg anche Rachel Weisz, Susan Sarandon e Stanley Tucci) ed ho capito che non era giunto il momento, che avevo ancora troppo da studiare. Non mi voglio accontentare di una regia guidata in cui sono gli altri professionisti a guidarti, voglio essere io a fare il film.
Lei che ha lavorato con grandissimi cineasti come Scorsese, Burton, Shyamalan e Peter Jackson, ci spiega, magari aiutandosi con qualche aneddoto, quali differenze sostanziali ha notato tra loro nel dirigere gli attori?
Mark Wahlberg: Sono tutti molto diversi tra loro. Inizierei con quello che io definisco il dittatore cattivo e cioè Shyamalan, uno che non accetta modifiche che vuole precisione dagli attori nell'attenersi al copione. Quando ho lavorato con Scorsese in The Departed invece sono stato libero di improvvisare, ho agito in completa autonomia sul set ma forse perché conoscevo talmente bene quel mondo e quelle realtà che mi ci ritrovavo come a casa. Peter Jackson invece si presenta sul set con 4 o 5 pagine nuove di dialoghi ma anziché mandarti nel panico, come capita a me che sono quasi maniacale nell'imparare le battute a memoria prima di iniziare un film, ti mette talmente a tuo agio che tutto viene naturale. Ho tenuto per ultimo Tim Burton perché è veramente geniale, immaginate un regista che arriva ogni mattina strappando le pagine del copione dicendo " questo non ci serve, questo lo abbiamo già detto e lo togliamo...".
La cosa più importante che ha imparato da loro?
Mark Wahlberg: Sono stati tantissimi gli insegnamenti ma forse il beneficio maggiore è stata l'acquisizione di una maggiore sicurezza nei miei mezzi, mi hanno aiutato a credere in me stesso e a rischiare di più. Oggi mi sento molto più tranquillo anche nel lavorare con registi meno consolidati e meno famosi.
E' davvero così difficile oggi trovare una buona sceneggiatura per un attore? Cosa sta succedendo nel reparto scrittura di Hollywood, la creatività si sta forse spostando sulla tv?
Mark Wahlberg: E' buffo ma è così, quando mi arriva qualche copione televisivo in veste di produttore penso sempre sia il caso di farci subito un film. Quel che faccio ora di più rispetto al passato è leggere sempre molte sceneggiature, ma non c'è gran che in giro in questo momento. Spero che l'America si riprenda sotto tutti i punti di vista ora che abbiamo un nuovo magnifico Presidente, magari questo entusiasmo gioverà anche alla creatività dei nostri scrittori.
A concludere, ci dice qualcosa sulla lavorazione di The Fighter, il nuovo film per cui si sta allenando e che sembra ormai tramontato dopo il forfait di Brad Pitt?
Mark Wahlberg: Mi sto allenando da due anni senza sosta senza ancora sapere se il film si farà con sicurezza oppure no. Qualche giorno fa ho incontrato Darren (Aronofsky, il regista del film) a New York e abbiamo parlato della situazione. Sembra che nel giro di un paio di giorni avremo qualche novità perché probabilmente il ruolo da protagonista verrà affidato a Daniel Craig. Speriamo bene, sono stufo di svegliarmi ogni mattina e di prepararmi per un film che forse non vedrà mai luce. Spero di avere al più presto almeno una data d'inizio riprese.
A che punto è invece Boardwalk Empire, la serie per la HBO che sta per produrre e che sarà diretta niente meno che da Martin Scorsese?
Mark Wahlberg: Dovremmo girare il pilot tra marzo e aprile, quando Martin avrà finito di montare il suo nuovo film. La messa in onda sarà più o meno in questo periodo ma nel 2009. Siamo molto entusiasti di questo progetto, specialmente Martin che non sta nella pelle visto che gli argomenti su cui è incentrata sono il suo pane quotidiano e cioè una storia di corruzione, gangsters, poliziotti e politica ambientata nella Atlantic City degli anni '20.