L'ultima piovosa giornata di Locarno ha visto salire in cattedra Marco Bellocchio. Il regista, che si prepara ad affrontare il tour de force del concorso della Mostra di Venezia con il suo nuovo lavoro, Sangue del mio sangue, festeggia il Pardo d'onore tributatogli dal festival raccontando la sua discussa opera d'esordio, I pugni in tasca. Il viaggio della memoria si apre ripensando alle difficoltà attraversate per realizzare il film che ha inaugurato la sua lunga carriera. "Lou Castel non era un attore, era uno studente del centro sperimentale che frequentava i corsi di regia. Gli ho fatto un provino dopo averlo incontrato per caso e lui si è comportato in modo naturale, è stato se stesso. Io con gli attori non parlo molto, cerco un rapporto di sguardi e con lui ci siamo intesi subito. Paola Pitagora era bellissima e giovanissima, ma aveva una formazione più tradizionale. Quanto abbiano capito della sceneggiatura de I pugni in tasca non lo so, neanche io l'avevo capita bene all'inizio, ma si sono tuffati nell'avventura forti della fiducia della giovinezza".
La famiglia implode
I pugni in tasca ha retto al passare del tempo. La visione del film in Piazza Grande ha conquistato, oggi come ieri, il pubblico per la dimensione claustrofobica nella rappresentazione di questa famiglia fuori dai canoni, fatta di anime perse alla deriva. Bellocchio racconta scherzoso: "Per concepire questa storia mi sono ispirato alle dinamiche della mia famiglia, anche se per fortuna non sono proprio come la famiglia del film. Quando ho riesaminato la sceneggiatura volevo eludere la parte dell'inchiesta poliziesca perché non mi interessava. Ero attratto dall'idea che il protagonista riuscisse a eliminare la madre e il fratello disabile con il minimo sforzo fisico. Mi interessava il tema della fantasia omicida. Quando il film fu proiettato per la prima volta a Locarno, nella scena in cui il protagonista spinge la mamma nel burrone con un dito si scatenarono risate isteriche". La descrizione della famiglia e la riflessione sulle istituzioni sono temi che Bellocchio tornerà ad analizzare in tutte le sue opere, perché tutto nasce dal nucleo familiare: "La famiglia de I pugni in tasca era irreale. Se il film produce ancora oggi delle emozioni è perché è staccato dal contesto attuale. Certi temi si ripropongono in modo diverso. Sono tornato ad affrontare il tema ne L'ora di religione - Il sorriso di mia madre, in cui il protagonista rivede il matricida (Lou Castel, in pratica) in un manicomio e ne comprende la follia omicida".
La parentesi londinese e l'incontro con Ennio Morricone
I pugni in tasca è ambientato a Bobbio, città natale di Marco Bellocchio in cui il regista torna periodicamente ad ambientare molti dei suoi lavori. Eppure subito prima di girare il film, il regista ha trascorso un periodo a londra per studiare ed è proprio lì che è nata la sceneggiatura de I pugni in tasca. "Ricordo l'esperienza londinese con molto piacere" racconta. "All'epoca era un modo per uscire dalla provincia italiana così sono andato in un college. Di quel periodo ricordo più i divertimenti che lo studio, ma è stata un'esperienza essenziale perché a Londra ho scritto la prima stesura del film. Lì sono entrato in contatto con il Free Cinema e ho visto assoluti capolavori come La solitudine del maratoneta, ma anche opere che non mi hanno mai convinto fino in fondo. Mio fratello mi aiutò a ottenere il prestito in banca, ma quando ha letto la sceneggiatura de I pugni in tasca mi ha detto che era una schifezza".
A qualcuno, però, il film è piaciuto fin da subito. Si tratta del maestro Ennio Morricone che ne ha composto le musiche. "Gli ho inviato una copia del film muta e lui ne è rimasto entusiasta. La mia inesperienza era totale, quindi mi sono affidato a lui e alla sua ispirazione. Morricone lo dice chiaramente che prima di accettare un lavoro deve trovarsi perfettamente in accordo col regista. Nel mio caso collocò le musiche in modo perfetto, era molto ispirato". Al di là delle polemiche scatenate dal film, lo stile innovativo di Bellocchio ha generato anche reazioni entusiastiche, tanto da destabilizzare l'autore. "Ero impreparato al successo e riassorbire l'esperienza fu difficile. Mi ci sono voluti anni per ritrovare un equilibrio e per realizzare il mio secondo lavoro, La Cina è vicina. Eravamo nel '68 e serpeggiava l'idea che l'identità borghese dell'artista doveva essere cancellata. Io ci ho creduto a lungo e sono andato in crisi, anche se oggi penso che sia un'idea sbagliata".
Troppi ciak, che noia!
Dopo I pugni in tasca, il discorso cade su Buongiorno, notte, un altro dei titoli più significativi della produzione di Bellocchio che ha sentito la necessità di raccontare il caso Moro da un punto di vista personale: "Sul rapimento Moro sono stati scritti centinaia di libri, ma io volevo indagare sulla dimensione claustrofobica della vicenda, volevo mostrare la follia umana che decide di uccidere un uomo per ciò che rappresenta a livello politico. Il fatto che tutto il mondo politico intorno ad Aldo Moro avesse adottato un'intransigenza ambigua ed equivoca è un dato reale, ma questo è un altro film. Dopo aver concluso Buongiorno notte, sono venuto a sapere che la notte prima della morte di Moro, un sacerdote venne introdotto nella cella per confessarlo. Lo ha affermato Cossiga, anche se non è storicamente provato. Se lo avessi saputo prima lo avrei messo nel film perché questa è una scena emblematica che racchiude perfettamente l'Italia". Buongiorno, notte è un film di grandi performance, ricordiamo Maya Sansa, una delle tante donne che costellano il cinema di Bellocchio.
Pensando al suo rapporto con gli attori, il regista afferma che l'ideale sarebbe "scrivere avendo in mente un attore. Mi è capito raramente, per esempio ne Il regista di matrimoni con Sergio Castellitto. Di solito occorre fare tanti provini, anche se io cerco di farne il meno possibile. Ma la ricerca ti modifica, i provini sono importanti perché un regista capisce se le scene che ha scritto funzionano o meno. Gli attori diventano cavie da esperimento. In passato avevano un atteggiamento più aristocratico, ma ora tutti fanno provini perché dicono che gli americani lo fanno". Anche sul numero di ciak, Bellocchio cerca di essere parco. "Dopo quattro/cinque take mi stufo. So che ci sono colleghi che fanno 50 take, ma solo il pensiero di doverli rivedere tutti è insopportabile. Molti sostengono che girare tanto è una tecnica perché alla fine l'attore è talmente distrutto che diventa più libero e alla centesima ripresa ti dà una performance sublime. A me non è mai capitato".
Verso il concorso veneziano
Inevitabilmente il discorso si sposta sulle ultime opere, in particolare sull'atteso Sangue del mio sangue, che sarà in concorso a Venezia. Anche se Bellocchio afferma di non poterne parlare "perché poi tutti scriverebbero del film di Venezia invece che de I pugni in tasca" alla fine fornisce qualche piccola anticipazione. Dopo aver affermato di essere completamente libero della forma, di non amare il manierismo e di non essere ossessionato dall'uso della pellicola perché "l'immagine è più forte di tutto, quando c'è quella si può girare con qualsiasi strumento", Bellocchio confessa di essere tornato ancora una volta a parlare dei temi che gli stanno a cuore. "Sia in Sangue del mio sangue che nel film tratto dal romanzo di Massimo Gramellini, Fai bei sogni, che sto girando proprio adesso, torno a occuparmi della mamma. La mamma è sempre al centro di tutto". In concordo a Venezia quest'anno i film italiani saranno ben quattro, un evento che non si verificava da anni. Un segnale positivo per il cinema italiano? "Dicono sempre che il cinema italiano è morto, ma a me sembra molto vitale" esclama Bellocchio. "Anche se io sono sul viale del tramonto ci sono tanti autori, tanti sperimentatori. Ci sono stati tre film a Cannes, qui a Locarno c'è il film di Pietro Marcello, che io stimo molto. Quest'anno ci sono stati 49 esordi in Italia, nel mio anno sarò stato l'unico a esordire. Questa democratizzazione è positiva. Io mi stupisco sempre di quanti giovani vogliano fare i registi oggi perché è un mestiere estremamente faticoso. Ma quando lo chiedo mi rispondono che è per incontrare tante belle donne".