Pareva una corazzata inaffondabile. Uno studio capace di partorire solo successi assicurati al box-office. Poi qualcosa pare essersi intoppato. E no, questa volta non stiamo parlando dei Marvel Studios o dello stato di salute dei cinecomic in genere, ma della Blumhouse, la casa di produzione di Jason Blum. Quella che ha assicurato alla Universal (e non solo) pellicole dal moltiplicatore budget-ricavi letteralmente inaudito.

Dal 2024 a oggi, una rotta che pareva procedere stabilmente, e con solo qualche piccolo scossone improvviso, verso un orizzonte fatto di dollari che cadevano a palate nelle casse dello studio e del partner con cui, via via, collaborava (quello in essere con la Universal non è di esclusiva) è stata improvvisamente funestata da una sfilza continua di flop: Wolf Man (34,1 milioni in tutto il mondo), The Woman in the Yard (23,3 milioni) e Drop (28,6 milioni). Infine il più recente, M3GAN 2.0, che dal 27 giugno a oggi è arrivato ad appena 30 milioni di botteghino worldwide.
Per la seconda volta da quando, nei primi anni 2000, Jason Blum decise di lasciare la Miramax iniziando un'avventura in solitaria in preda alla più classica delle paure da fallimento, il produttore si ritrova a fare i conti con il timore di aver commesso qualche errore di troppo. Eppure vale la pena notare che la fase che sta attraversando la Blumhouse non è poi così spaventosa né per lei né per le compagnie con cui attiva le varie partnership distributive e produttive.
Da Paranormal Activity a M3GAN 2.0
Che Jason Blum fosse uno che, malgrado l'ansia per la scelta lavorativa fatta citata qualche riga fa, sapesse il fatto suo si capisce già dal fiuto dimostrato il giorno in cui, nella prima decade degli anni duemila, decise di puntare tutto quello che aveva (facile: praticamente niente) su un piccolo film horror girato con appena 15.000 dollari da un perfetto sconosciuto di nome Oren Peli.

Quella pellicola era, naturalmente, Paranormal Activity. Certo, non fu facile riuscire a trovare un distributore: Blum la propose praticamente a tutta Hollywood ricevendo solo dei riufiuti come risposta. È risaputo che l'horror found footage finì direttamente nelle mani di Steven Spielberg che rimase così impressionato (e terrorizzato) da quando visto da decidere di distribuirlo con la sua DreamWorks.
Anche se, alla fine, il cartellino del prezzo di Paranormal Activity si alzò un po' per via di una serie di necessari interventi di post-produzione (parliamo di una cifra intorno ai 200.000 dollari, ridicola per l'industria del cinema americana) e di P&A, il primo capitolo di quella che è poi diventata un'epopea horror di grande successo è finito per incassare 194 milioni di dollari in tutto il mondo. 902 volte il costo iniziale. Da lì in poi, la Blumhouse si è imposta con forza in quel di LA dando il via a una serie di franchise che hanno sempre mantenuto valido il discorso dello "spendiamo poco e incassiamo tantissimo": pensate a Insidious, a The Purge, al rilancio della saga di Halloween.

Va anche detto che Jason Blum e soci, anche se si sono specializzati nella produzione di lungometraggi horror e thriller, non si sono concentrati esclusivamente su quelle tipologie di cinema. Whiplash di Damzien Chazelle, BlacKkKlansman di Spike Lee sono due note eccezioni alla regola. C'è stato sempre un lavoro arricchito da profonda lungimiranza. È stata la Blumhouse a credere che M. Night Shyamalan, dopo una serie di opere commercialmente deboli e artisticamente peggio, avesse ancora qualcosa da dire con The Visit. È stato questo studio a far sì che un tizio di nome Jordan Peele famoso negli States più che altro per il suo lavoro di comedian, diventasse, grazie a Scappa - Get Out, una delle più interessanti voci del panorama horror internazionale. Eppure adesso qualcosa non sta andando come dovrebbe andare.
M3GAN non è Superman: l'errore sta principalmente qua
Il vero e proprio esame di coscienza è arrivato proprio con M3GAN 2.0. Un progetto sbagliato dall'inizio alla fine. Un po' perché ha completamente travisato l'assunto iniziale di una specie di Bambola Assassina aggiornata ai tempi diventando una storia sci-fi dai toni volutamente kitsch ed esagerati, un po' perché è stata del tutto cannata la finestra di release.
Il primo era uscito fra la fine del 2022 e l'inizio del 2023, un periodo in cui non escono molti horror e quelli che arrivano nelle sale lo fanno con il piglio di voler offrire della sana contro programmazione all'esubero di offerta di pellicole per la famiglia. E difatti finì per incassare 180 milioni mica per caso (ne era costati 12). Portare in sala il capitolo due in piena estate non ha ripagato, come ha ammesso lo stesso Blum nella chiacchierata fatta al noto podcast di Matthew Belloni The Town. Un'ammissione di colpa totale quella del produttore che spiega: "Tutti pensavamo che Megan fosse come Superman. Potevamo farle qualsiasi cosa. Cambiarle genere. Uscire d'estate. Cambiarle l'aspetto. Trasformarla da cattiva in buona. E abbiamo, classicamente, sovrastimato quanto fosse forte il legame del pubblico con lei".
L'Hollywood Reporter cita le parole del noto analista Paul Dergarabedian di Comscore secondo cui nessuno è immune al "traffico" del botteghino estivo: che si tratti di film per famiglie che si ostacolano a vicenda o di pellicole di genere come 28 Anni Dopo e M3GAN 2.0. E aggiunge: "Il box office si sta comportando più come una scuola gladiatoria cinematografica o un mercato dickensiano, dove per alcuni è il periodo migliore e per altri il peggiore".
È il momento di andare nel panico?
Pensiamo di poter affermare con certezza che no, quello che Blumhouse sta vivendo per colpa di una serie di passi falsi fatti negli ultimi 12, 15 mesi (anche se nel calderone ci va di diritto anche il reboot de L'esorcista), non è nulla di particolarmente preoccupante.

A invertire la rotta ci penseranno quasi sicuramente due progetti. Il primo è Five Nights at Freddy's 2, che, sembrerebbe, ha già avuto ottimi riscontri durante le proiezioni di prova. A dicembre scopriremo se tutto questo si trasformerà in una performance economica capace di eclissare quella del primo capitolo. Costato appena 20 milioni, il primo lungometraggio basato sull'IP videoludica ideata da Scott Cawthon aveva incassato ben 297,1 milioni di dollari in tutto il mondo, cifra che lo ha incoronato come il maggior successo di sempre nella storia della Blumhouse. FNAF2 verrà preceduto, a ottobre, da Black Phone 2. Il sequel del film con Ethan Hawke uscito nel 2022 basato su una storia breve di Joe Hill (il figlio di Stephen King, ndr.) vedrà nuovamente Scott Derrickson in cabina di regia e Hawke nei panni del villain Il rapace. Il primo era costato neanche 20 milioni e ne aveva incassati 161.4.

Bisogna poi ricordare che tutti i recenti tonfi della Blumhouse che abbiamo riportato in apertura di questo articolo sono comunque costati una bazzeccola per gli standard hollywoodiani: 63 milioni. In totale. Una media di 15 milioni e poco più a film. A prescindere da quanto scarso possa essere stato il raccolto al botteghino, è praticamente impossibile che lungometraggi di questo tipo possano andare in passivo fra home video, diritti streaming e televisivi. Quella che sta attraversando Blumhouse è solo una fase passeggera. Indubbiamente antipatica per una realtà abituata ad altri contesti, ma nulla da togliere il sonno.