Fresco vincitore della Coppa Volpi come Miglior Attore a Venezia 2019, Luca Marinelli ha convinto la giuria veneziana con la sua convincente interpretazione in Martin Eden. Anche per i meno convinti del film di Pietro Marcello, del resto, è innegabile che Marinelli abbia interpretato un Martin Eden intenso, appassionato, credibile e ispiratissimo. Non è la prima volta però che l'attore romano lascia il segno con la sua interpretazione e la caratterizzazione di un personaggio. Approfittiamo di questa vittoria alla Mostra del Cinema di Venezia 2019 per parlare dei migliori film di Luca Marinelli e delle sue interpretazioni più convincenti
In più di un'occasione infatti, l'attore classe 1984 ha spiazzato tutto e tutti, superando perplessità ed ostacoli di fronte a personaggi sempre diversi, dalla transessuale al partigiano, dallo "zingaro" allo scrittore di Martin Eden, appunto, prendendosi dei rischi enormi laddove diversi suoi colleghi preferiscono andare sul sicuro.
La solitudine dei numeri primi
Folgorante fu sicuramente ciò che Luca Marinelli offrì al pubblico in La solitudine dei numeri primi, tratto dall'omonimo romanzo di Paolo Giordano, in cui Marinelli interpretava Mattia Balossino, uno dei due protagonisti. Film delicato, intelligente e profondo, ebbe nella coppia Marinelli-Rohrwacher un cardine inimitabile di un film che parlava della solitudine, del dolore e dell'incapacità di esprimere i sentimenti in modo unico, originalissimo. Marinelli dette vita ad un personaggio incredibile, un simbolo della sofferenza ignorata, un ragazzo fragile, caparbio nell'aggrapparsi al suo dolore, tanto da flagellarsene la carne. Abilissimo nel stare sotto le righe senza perdere una sola oncia di espressività, l'attore romano fu il perfetto contraltare al personaggio eccessivo, instabile e sopra le righe interpretato da Alba Rohrwacher. Il suo Mattia è il simbolo di coloro i quali, nella società odierna, vengono schiacciati da un mondo opprimente, privo di sensibilità, che rende completamente bloccata ogni possibilità di esprimere quei sentimenti che vorrebbero spiccare il volo. Il personaggio è allo stesso tempo è un monumento vivente ai diversi, agli originali, ai differenti dalla norma, che sovente in questo mondo sono portati a sentirsi meno di quello che in realtà sono e valgono. Senza ombra di dubbio il ruolo che ha lanciato agli occhi del pubblico e della critica Luca Marinelli.
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L'ultimo terrestre
Non un ruolo da protagonista, ma un ruolo di supporto quello di Roberta in L'ultimo terrestre di Gipi, fumettista che nel 2011 firma un film di fantascienza davvero atipico e originale. Luca Marinelli viene chiamato ad interpretare l'unico amico del protagonista Luca (Gabriele Spinelli), la transessuale Roberta. Ruolo difficile ed impegnativo per Marinelli, che riesce ad aggirare il problema di risultare troppo forzato o una parodia, utilizzando invece una misura ed una sensibilità che rendono il personaggio di Roberta molto diverso da altri simili visti al cinema. Marinelli è ancora sotto le righe, ma in modo diverso, meno sofferente, più legato alla natura di un essere che accetta il suo essere messo in disparte ma non per questo rinuncia a sensibilità e gentilezza. E che sa ascoltare. Roberta cerca ed apprezza il contatto umano, l'amicizia con quell'uomo strano e vulnerabile, di cui è confessore, consigliere, o forse in realtà semplicemente l'unica persona di cui si fida. In un mondo in cui gli alieni con il loro arrivo destabilizzano ogni frangente dell'esistenza e della civiltà, Roberta nella sua solitudine, nel suo essere reietta e vittima dell'aggressività degli altri, assurge a simbolo di un qualcosa che solo una forza superiore, non umana, può accettare ed amare: la diversità dalla norma. Marinelli rende la sua Roberta un simbolo sorprendente di saggezza, di empatia e dell'accettarsi per quello che si è. Sicuramente il personaggio più potente del film.
Tutti i santi giorni
In Tutti i Santi Giorni Luca Marinelli fu chiamato da interpretare un personaggio davvero unico, originale e simpaticissimo, pure nella sua logorroica spontaneità: Guido. Tratto dal romanzo La Generazione di Simone Lenzi, aveva come personaggi principali Guido (portiere notturno) e Antonia (Thony) che lavora in un autonoleggio, due sopravvissuti ai loro sogni, che cercano assieme di trovare la felicità, di avere un bambino. Critica e pubblico rimasero meravigliati di come Marinelli fosse stato in grado non solo di interpretare così bene un personaggio puro, originale in modo totalmente naturale, scevro da ogni contaminazione del quieto vivere, ma anche di farlo in un perfetto dialetto livornese. E ancora oggi fa veramente impressione sentire l'attore romano dare vita a quei dialoghi che furono il sale di un film intenso, spiazzante, divertente e capace di far amare i due personaggi in modo incondizionato. Marinelli fece del suo Guido un'anima pura, un sopravvissuto all'imbarbarimento di lingua, costumi e menti del mondo d'oggi, costretto dalla vita ad un lavoro umile ma capace nel privato di elevarsi culturalmente in modo unico, per quanto un po' particolare. Il film di Paolo Virzì permise all'attore di dar vita ad un simpaticissimo naufrago della vita, tenuto perennemente in bilico da un Marinelli mai sopra come mai sotto le righe. Forse in una categoria a parte. Il suo Guido, genuino, sensibile, timido e un po' matto, tenero, come Antonia appariva un pesce fuor d'acqua in una Roma cafona, volgare, inospitale come poche altre. Simbolo di chi, in un paese sempre più ignorante e violento, coltiva la sua anima come un giardino nascosto, senza rinunciare ad essere solare, positivo e attento a chi ama.
Il mondo fino in fondo
A molti ancora oggi appare forse come il personaggio più "semplice" interpretato da Luca Marinelli. Invece Loris, fratello di Davide (Filippo Scicchitano), entrambi originari del piccolo paese nordico di Agro è uno dei più importanti che l'attore romano abbia mai avuto tra le mani. E dei più difficili. In Il mondo fino in fondo di Alessandro Lunardelli, Loris è il classico ragazzo di provincia, che in testa ha solo il calcio e il lavoro e poco altro, che non vede a più di un centimetro dal suo naso, incapace di concepire qualcosa che esuli da ciò che già conosce, che lui e il fratello minore conoscono. Egli ignora che Davide sia gay, e quando lo porta in Spagna, a Barcellona, per assistere al match dell'Inter, non può prevedere che il fratello si innamori di Andy, ecologista cileno, e che decida di seguirlo a Santiago, per aiutarlo nella sua causa ambientalista. Incredulo, Loris si metterà sulle tracce di Davide ed i due, in un viaggio difficile, a tratti pericoloso e stressante, avranno modo di conoscersi meglio, di scontrarsi quando necessario e di capirsi di più. Marinelli fece del suo Loris il simbolo di quella gioventù italiana monca, senza speranze, ignorante e chiusa che affolla le nostre provincie e che è destinata a diventare un manifesto dell'intolleranza come i padri. Stavolta, rispetto ad altri personaggi, fu molto abile nello stare sopra le righe e mai sotto un livello di animosità e nervosismo palpabili, perfetti per descrivere un ragazzo maniaco del controllo, narcisista e accentratore. Tuttavia non si pensi che Loris sia un personaggio negativo, non del tutto almeno, egli è anche premuroso, pieno di iniziativa, e piano piano Marinelli lo mostra in grado di mettersi in gioco, per quanto faticosamente e senza rinunciare all'ultima parola quando possibile. Tra i migliori film di Luca Marinelli, altra grande prova dell'attore, incisivo, che ruba la scena a tutti gli altri interpreti, molto bravo nel modulare uno stile recitativo che alla fine porterà Loris ad essere per molti versi l'opposto di ciò che era.
Una questione privata
Con Una questione privata, dei fratelli Taviani, Luca Marinelli nel 2017 si trova a vestire i panni del partigiano Milton, durante le dure lotte che contrapposero le forze della Resistenza alle truppe Nazi-fasciste nelle Langhe piemontesi.
Tratto dall'omonimo romanzo di Beppe Fenoglio, il film è incentrato sulla figura di questo ragazzo, questo partigiano, deciso a rintracciare l'amico Giorgio (Lorenzo Richelmy) anch'egli combattente per la libertà, preso prigioniero dei Repubblichini.
Tale determinazione però non nasce solo dal voler salvare il compagno, ma anche (segretamente) dal sapere se egli ha avuto o no una storia con la bella Fulvia (Valentina Bellè).
Loro tre assieme hanno condiviso momenti di felicità e spensieratezza in una dimensione quasi fuori dal tempo, lontana da quella guerra che sta insanguinando ogni cosa.
Il Milton di Marinelli è un personaggio che l'attore si mostra incredibilmente abile nel rendere diviso a metà, da una parte vi è il giovane ragazzo innamorato della vita, attratto da Fulvia, timido, che pare in diversi momenti soffrire la personalità di Giorgio, e che si perde in una natura quasi eterea, che lo porta a scrivere, ad elevarsi.
Poi vi è il partigiano, molto più sopra le righe, viandante in mezzo ad un'umanità scossa da violenze ed orrori, perso in una lotta interiore che lo dilania e che assieme lo spinge verso gesti estremi.
Manca questa volta l'accento giusto, un dialetto piemontese che però viene sicuramente sostituito in modo efficace da una scelta più aulica, più intima e in cui Marinelli si cala completamente.
La grande bellezza
Film tra i più acclamati (e discussi) del cinema italiano, La grande bellezza di Paolo Sorrentino offre uno spaccato di Roma e dell'Italia unico ed irripetibile nella sua pittoresca varietà. Tra i tanti personaggi in cerca d'autore, tra la "fauna" che Jep Gambardella (Toni Servillo) ha attorno a sé, nella sua esistenza decadente ed annoiata, la figura di Andrea (ancora il nostro Marinelli), figlio dell'insicura e debole Viola (Pamela Villoresi) è quella più spiazzante, più vera. In un certo senso è anche lui che porta ad una svolta inaspettata l'esistenza di un Jep già in procinto di cambiare, di ritornare a scrivere. Andrea appare come un ragazzo disturbato, affetto da qualche malattia mentale di cui è pienamente cosciente, e questo, unito al suo essere inquietante, imprevedibile e tenebroso, fa sì che pure lo scafato Jep sembri in qualche misura intimorito da lui. Marinelli confeziona per noi una sorta di alieno, di essere che nulla ha a che spartire con il sottobosco trash di vip, borghesi meschini e prostitute (intellettuali e non) con cui Jep passa le sue giornate. Tuttavia il suo essere ciò che è, senza recite, senza far finta di essere altro, colpiscono Jep, ed il suo suicidio, la sua morte, saranno la goccia che farà traboccare il vaso per il protagonista. "Non sono pazzo, ho dei problemi" dice Andrea all'attonita madre che se lo ritrova nudo e dipinto di rosso rientrata a casa. Per quanto non appaia molto il suo personaggio rimane fortemente impresso, assurge a simbolo di quella parte di sensibilità, di quella diversità, che è schiacciata, emarginata, da una città, un paese, una società, in cui i falsi sorrisi, la falsa allegria, la decadenza morale la fanno da padrone.
Fabrizio De André - Principe Libero
Forse la scelta più rischiosa della sua carriera fino ad ora, l'azzardo che però lo ha proiettato verso una popolarità trasversale e un plauso unanime, che lo ha costretto a misurarsi con un personaggio gigantesco, difficilissimo, di fronte al quale in molti avrebbero tremato.
In Fabrizio De André - Principe Libero, Luca Marinelli si è testato con un dialetto tra i più ostici della nostra penisola, con un personaggio noto a tutti per i suoi capolavori, ma che dal punto di vista umano in pochi conoscevano davvero.
Scevro da ogni retorico artificio, più concentrato sull'uomo che sull'artista, il film è un viaggio cinematografico che verte totalmente sulle spalle dell'attore romano, autore di una performance che, per quanto non perfetta, è intensa, sentita, vera.
Il suo Fabrizio De André è uomo sperduto, sovente perso nelle proprie insicurezze, tormentato ma mai artista maledetto da rotocalco, quanto piuttosto uomo che cerca la verità, la canta, insicuro se sia quella o meno la sua strada.
Forse, al contrario di altre performance, questa volta Marinelli non riuscì a trasformarsi appieno dal punto di vista linguistico, tuttavia rimane la forza di un De André molto personale, frutto di una recitazione equilibrata, misurata, scevra di ogni narcisismo.
Il suo messaggio di libertà, di verità, di autenticità, emerge sempre prepotente, viscerale, appare grazie agli slanci offerti da Marinelli come il motore vitale di un animo sensibilissimo, complicato ma autentico.
Sicuramente una scommessa vinta evitando quel trionfalismo che molti temevano, un'altra grande occasione per essergli grati per il suo talento di attore.
Non essere cattivo
Nella filmografia di Claudio Caligari, figurano solo tre lungometraggi, ma sono bastati a donargli un posto speciale nella storia del cinema italiano.
Non essere cattivo è stato il suo testamento, realizzato con il supporto di Valerio Mastrandrea a causa del suo stato di salute, ma con il quale recuperò e approfondì tematiche e messaggi che con il suo leggendario Amore Tossico aveva portato all'attenzione del pubblico nel lontano 1983 e in parte approfondito con L'odore della notte.
Luca Marinelli era stato scelto inizialmente per interpretare il personaggio di Vittorio, poi andato ad Alessandro Borghi, a cui era stato assegnato in principio quello di Cesare.
L'improvvisa inversione fu sicuramente uno dei segreti dietro il successo di un film feroce, crudo, verissimo, ambientato negli anni '90 ma comunque attuale nel mostrare la violenza e la disperazione che ancora oggi fanno delle periferia italiana un piccolo inferno senza speranza.
Ostia, l'Ostia degli Spada, del degrado, della droga e dei tossici, della galera per ogni famiglia, della povertà, ha nel Cesare di Marinelli il suo ambasciatore, la sua Valchiria, il simbolo stesso di una salvezza impossibile da raggiungere per chi è troppo legato a quei luoghi e ai suoi totem.
Perfetto nel creare un duo disperato e sgangherato con Borghi, Marinelli fu bravissimo nel rendere il suo Cesare un'anima in eterna ricerca di affetto, di sogni, incurante dell'inferno verso il quale si sta spingendo ogni giorno di più.
Sorta di Lucignolo laziale, Cesare è reso da Marinelli un simpatico e commovente ragazzo di strada, legatissimo a Vittorio, alla madre, alla figlia della sorella che non c'è più e più tardi a Viviana.
Spettacolare nel rendere veri e credibili gli exploit di questo piccolo teppista senza speranza, Marinelli fu però anche incredibilmente incisivo quando era il momento di renderlo umano, di commuovere, di fare arrivare i momenti in cui l'anima perduta e spezzata emergeva dal mondo di sogno e illusioni, e realizzava chi era e cos'era della sua vita.
La sua interpretazione colpì profondamente critica e pubblico perché in grado di donarci un personaggio che sentivamo perfettamente in sintonia con la realtà, quella realtà di Ostia (e di tante altre simili) che dai tempi di Amore Tossico non era cambiata minimamente.
Forse erano cambiati i vestiti e il tipo di droga. Una droga che Marinelli riuscì a dipingere come unica via di fuga per il suo personaggio, unica ancora di salvezza e alienazione per un naufrago della vita, il cui sprofondare in un mare di negazione della realtà e crimine non poteva essere arrestato.
Allo stesso tempo Luca Marinelli riuscì a renderlo anche un anarchico, il simbolo di una vita che non si accontentava di ciò che la società aveva da offrirgli, condannato però inesorabilmente alla sconfitta.
Lo chiamavano Jeeg Robot
Senza ombra di dubbio il ruolo per il quale è più ricordato, quello per cui Marinelli è più ricordato dal pubblico. Lo chiamavano Jeeg Robot rimane un lampo di luce abbagliante e magnifico nel cinema italiano degli ultimi anni, una straordinaria avventura cinematografica capace di portare una ventata di freschezza e (per quello che ci riguarda) di permettere a Luca Marinelli di toccare vette di originalità ed espressività assolutamente uniche. Non più protagonista positivo ma villain stralunato, trasformista e pieno di ambizioni, il suo Zingaro molto doveva nel temperamento e nella natura, a quel Maximilian "Max" Bercovicz che James Woods aveva interpretato così magistralmente in C'era una volta in America. Come il Max di Sergio Leone, anche il suo Zingaro vuole entrare nel "giro grosso", peccato però che sulla sua strada, per una serie di strane coincidenze, trovi quell'Enzo Ceccotti (Claudio Santamaria) che con i suoi superpoteri lo mette in grandissima difficoltà. Marinelli ha dato anima e corpo ad un bad boy tra i più sopra le righe, istrionici e affascinanti del cinema italiano di sempre, un personaggio che da un lato strizza l'occhio ai tanti "cattivi" da film western del cinema che fu, dall'altra si aggancia ai villain dei cinecomics americani di ultima generazione. Fortissima anche l'influenza degli anime e manga giapponesi, basti pensare a personaggi come il Sid Vicious di Cowboy Bebop. Lo Zingaro è un cattivo a tratti ridicolo, a tratti inquietante, la cui malvagità è talmente eccessiva, talmente grottesca, da renderlo simbolo stesso di quella vanagloria su cui tanti gangster e piccoli delinquenti ancora oggi basano la propria esistenza, il proprio credo. Inizialmente legato in modo molto stretto alla sua gang, ai suoi uomini, viene reso dall'interpretazione di Marinelli sempre più egoista, alienato e deciso ad acquisire quei poteri che Jeeg Robot ha, e che lo porteranno a perdere il controllo. In questa sua veste ha molto di Harvey Dent e del Joker contemporaneamente, ma grazie all'accento romanesco, al fare eccessivo e guascone, alle battute alla Mario Brega, risulta privato di ogni elemento aulico e si allontana dal concetto di villain dei comics. Il pubblico impazzì per questo personaggio unico, italianissimo ma ricco di riferimenti al meglio della cultura pop degli ultimi decenni che Marinelli rese carismatico, istrionico ed irresistibile.
Lo chiamavano Il Cavaliere Oscuro, il trailer parodia
Martin Eden
Arriviamo così a questo 2019, a questo Martin Eden in cui Luca Marinelli è stato chiamato ad interpretare il protagonista, povero ragazzo cresciuto di nave in nave che, grazie all'incontro con la bella e sofisticata Elena Orsini (Jessica Cressy), scoprirà la sua vocazione ed il suo talento (per quanto grezzo) per la scrittura. Ambientato in una Napoli a metà tra quella del ventennio fascista e quella degli anni sessanta, il film ha in Marinelli un protagonista capace di sopperire ai piccoli difetti di un'opera che gli ha permesso ancora una volta di stupire. Se infatti qualche velata critica gli era arrivata per il suo De Andrè, per non essere riuscito a convincere con il suo dialetto ligure, qui invece ha sorpreso tutti con un napoletano fluente, naturale. Il suo Martin Eden nella prima parte è un giovane innamorato, sia della vita che delle sue passioni, dei suoi sogni, della giovane Elena, che vuole diventare qualcosa di più di quello che è, non da un punto di vista materiale ma soprattutto intellettivo, culturale.
Qui l'attore romano lo rende uomo che ama la sincerità, che sa essere generoso, passionale, umile che tra gli umili vive e degli umili vuole descrivere realtà e drammatica esistenza nei suoi scritti, costantemente rifiutati.
Piano piano però, assistiamo ad una sua evoluzione che lo porta sia a prendere coscienza delle sue deficienze grammaticali e lessicali, sia ad interessarsi maggiormente alla politica, in modo confuso ma viscerale, autentico.
La delusione derivata dalla morte dell'amico Briss, la fine della relazione con Elena, troverà parziale compensazione in un successo letterario che lo mostrerà assolutamente trasformato di lì a qualche anno.
Il giovane solare, curioso e aperto all'uomo, diventa un decadente divo da best-seller, armato di un italiano perfetto con il quale irride pubblico e critica, e a cui Marinelli dona una determinazione nell'autodistruggersi assolutamente adamantina.
Questo Martin Eden è sempre in bilico tra disfatta e rinascita, e l'attore romano gli dipinge addosso una disperazione che sovente si esprime in modo sardonico, cinico, che lo condanna a non essere capito.
Se nella prima parte del film - di cui abbiamo parlato nella nostra recensione di Martin Eden - Marinelli aveva dato vita ad un personaggio spesso euforico, vitale, in seguito invece abbraccia una recitazione in cui a dominare è un'espressività soffocata ed irregolare.
La sua fisicità è instabile, il suo corpo si muove con una difficoltà legata al crollo morale non all'età che avanza, e se pur tale metamorfosi sia magari troppo radicale, ciò non toglie nulla all'incredibile capacità di Marinelli di darci, come sempre, due volti, due diverse versioni della stessa persona e della stessa anima.