Innanzitutto, una doverosa premessa: London Spy, a dispetto di un titolo fin troppo paradigmatico, non è in alcun modo un canonico racconto di spionaggio. Anzi, a voler guardare più a fondo non è neppure un racconto di spionaggio; piuttosto, la miniserie creata e sceneggiata dallo scrittore inglese Tom Rob Smith, al suo primo cimento con un medium audiovisivo, prende in prestito le convenzioni della spy story per andare invece in tutt'altra direzione e parlare di ben altro.
È uno dei motivi per i quali non è semplice accostarsi a London Spy e provare ad analizzarlo secondo gli strumenti consueti di una semplice "classificazione di generi". Il dramma televisivo di Rob Smith, trasmesso dalla BBC Two nell'arco di cinque episodi ciascuno della durata di un'ora, costituisce infatti una sorta di UFO: una narrazione liquida, sfuggente, in cui le ambiguità e le sfumature prendono spesso il sopravvento sul livello di lettura più immediato e basilare. Con il rischio, pressoché inevitabile, di scontentare una parte del suo pubblico, ma capace in compenso di regalare diverse suggestioni notevoli...
Fra romanticismo e suspense
È la melodia ipnotica della celeberrima I Feel Love, con il suo loop dall'effetto quasi straniante, il suo freddo erotismo dovuto al connubio fra la base elettronica e la languida voce di Donna Summer, ad introdurci, nell'incipit del primo episodio, alla figura del protagonista: Daniel Edward Holt, un ragazzo che ha il volto da eterno adolescente e lo sguardo malinconico e pervaso di dolcezza del trentacinquenne Ben Whishaw, fra i più talentuosi attori britannici della sua generazione (nel suo curriculum Profumo - Storia di un assassino, Bright Star, Cloud Atlas e la serie The Hour). In una Londra notturna, appena rischiarata dalle prime luci dell'alba, Danny si aggira stordito fra le strade deserte nei pressi del Tamigi, dopo aver trascorso un'intera notte in un locale gay, e si imbatte per caso in Alex (Edward Holcroft), un giovane consulente bancario, dall'atteggiamento timido e riservato, la cui attenzione viene però attirata dalla presenza di Danny. L'istintivo feeling sorto fra i due porta ad un successivo incontro e all'inizio di una frequentazione che, da tenera e impacciata, si sviluppa rapidamente fino a trasformarsi in un rapporto profondo e passionale.
London Spy risulta un prodotto spiazzante fin dall'episodio d'apertura. La prima mezz'ora della miniserie, infatti, assume la dimensione di un'opera intimista, mettendo in scena, attraverso una sapiente fusione fra il romanticismo (il dialogo sulla spiaggia), l'osservazione psicologica e il realismo delle sequenze erotiche, il progressivo "divenire" di una coppia in cui ciascuno dei due partner trova una risposta ad insicurezze e fragilità personali. Per Danny, in particolare, che in passato aveva sofferto di crisi di autostima e problemi di dipendenza, arrivando a un passo dal disintegrare la propria esistenza, l'amore di Alex rappresenta una sorta di "linfa vitale"; al punto da decidere di far conoscere il fidanzato al suo amico più fidato, Scottie (Jim Broadbent), un ex agente dei Servizi Segreti britannici che, alcuni anni prima, aveva offerto a Danny un aiuto provvidenziale in un momento di estrema difficoltà. Ma l'idillio sentimentale del primo episodio si infrange all'improvviso quando la love story fra Danny e Alex assume una svolta da thriller: non avendo più ricevuto per diversi giorni alcun messaggio da Alex, Danny, tutt'altro che rassegnato ad accettare un inspiegabile abbandono, decide di penetrare nell'appartamento dell'ex boyfriend. Ciò che lo aspetta fra quelle pareti, tuttavia, è uno spettacolo atroce dietro cui si cela un segreto sconvolgente...
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Il mistero di Alistair
È solo a partire da questo frangente che London Spy introduce l'elemento di una suspense più tradizionale, derivante dagli oscuri retroscena sulla vera identità di Alex: il cui vero nome è Alistair Turner, e la cui professione non è quella di consulente finanziario, ma di agente dell'MI6, la sezione della Military Intelligence addetta ad attività di sicurezza e agli affari esteri. È bene non rivelare altri particolari di una trama che, dal termine della prima puntata, assume sfumature tenebrose e imprime alla storia una direzione totalmente differente, spostando il focus della miniserie dall'osservazione di un rapporto di coppia all'analisi di una divorante solitudine. Difatti, le quattro successive puntate di London Spy si muovono su questo doppio binario: l'indagine condotta con strenua determinazione da Danny, con il provvidenziale aiuto del più esperto e pacato Scottie, procede infatti in parallelo con il percorso interiore del tormentato protagonista, alle prese con il dolore per una repentina separazione, ma anche con dubbi di ogni tipo sulla vera natura della sua relazione con Alex/Alistair.
Di puntata in puntata, dunque, lo spettatore si trova a seguire la parabola di Danny: le drammatiche conseguenze della sua incursione nell'appartamento di Alistair, con la polizia che lo ritiene il presunto responsabile di un crimine; la tristezza che, con la violenza di un'ondata in piena tempesta, torna ad abattersi su di lui, ma senza riuscire a farlo soccombere del tutto; e la strenua ricerca condotta sul passato di Alistair. Una ricerca che parte dalle sue radici familiari, tanto da condurlo a un maestoso e decadente maniero nella campagna nei pressi di Londra, residenza della famiglia Turner, dove Danny farà la conoscenza dell'algida Frances (Charlotte Rampling), altra figura chiave per ricostruire il background di Alistair: una donna di aristocratica freddezza, al cospetto della quale Danny dovrà impegnarsi per distinguere la realtà dalla menzogna. Ma Frances è solo uno dei "tasselli" necessari a comporre l'affresco completo su Alistair e il suo mistero: tasselli che si presenteranno sulla strada di Danny di puntata in puntata, mentre sul giovane si profila l'ombra di una minaccia indistinta, ma via via più incombente.
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Relazioni pericolose
Eppure, contrariamente a quanto potrebbe indurre a pensare questa sinossi, è opportuno ribadire come London Spy non sia il thriller spionistico che sarebbe lecito aspettarsi. Perché quello intessuto da Tom Rob Smith è un racconto in cui le atmofere, cupe, angoscianti, a tratti quasi allucinate, dicono molto più di qualunque colpo di scena; in cui la chiave del 'caso' in questione, il cosiddetto MacGuffin di hitchcockiana memoria, è un semplice pretesto di scarsissima importanza; in cui l'azione propriamente detta è ridotta al minimo, mentre le inquietudini dei personaggi costituiscono il vero materiale narrativo. Inquietudini alle quali, sul piano visivo, corrispondono le lievi distorsioni e il senso di claustrofobia impressi dalla regia di Jakob Verbruggen (già al timone di un'altra serie TV dai contorni sinistri, la pregevole The Fall) e dalla fotografia dai toni plumbei di Laurie Rose. Elementi, questi ultimi, non derivanti da una tendenza ai virtuosismi fine a se stessa, ma necessari ad esprimere il costante stato di paranoia in cui versa il protagonista, nonché il nucleo di London Spy: ovvero, la corrispondenza fra i nostri stati d'animo e le sembianze di una realtà vista e vissuta, inesorabilmente, attraverso la soggettività dello sguardo.
Non è un caso, del resto, se Danny ci offre l'unico punto di focalizzazione sull'intera miniserie: perché il vero mistero da risolvere, in London Spy, non è l'origine di un complotto che rievoca alla lontana i modelli dei thriller cospirativi degli anni Settanta (in primis I tre giorni del Condor di Sydney Pollack), ma l'eventuale fondatezza delle ossessioni di Danny e il suo attaccamento all'amore provato per Alistair. Ben Whishaw, reduce l'anno scorso da un'altra eccellente prova in qualità di protagonista nel bellissimo film Lilting (curiosamente alle prese con un ruolo molto simile), regge sulle proprie spalle tutto il peso di un personaggio così complesso, riuscendo a renderne tanto l'indicibile sofferenza, quanto l'ostinazione di chi ha scelto di perseguire la strada della verità, costi quel che costi, con incrollabile coerenza, ben coadiuvato da due ottimi veterani come Jim Broadbent e Charlotte Rampling. E in filigrana, dietro un intrigo dipanato con studiata lentezza tra un episodio e l'altro (e non esente da qualche lungaggine), ecco emergere il vero tema della miniserie di Rom Smith: le relazioni umane, e a maggior ragione quelle amorose, come coacervo di segreti, bugie e omissioni (quelli dell'altro, ma anche i propri), in un perenne conflitto fra il desiderio di aprirsi alle emozioni e il timore di restarne scottati, e con l'amara consapevolezza che non è mai possibile conoscere del tutto chi ci sta di fronte...