Recensione Love Actually - L'amore davvero (2003)

Il cupido del cinema britannico, Richard Curtis, s'inventa regista per questa commedia natalizia dal cast stellare.

London in Love

Richard Curtis è il cupido del cinema britannico, l'uomo che ha firmato le sceneggiature di Quattro matrimoni e un funerale, Notting Hill e Il diario di Bridget Jones.
Per Love Actually - L'amore davvero, commedia natalizia con cast stellare, s'inventa anche regista: ed è legittimo il timore che il suo romantico ottimismo, non governato dall'apporto di altri cineasti, rischi di fare montare il livello di glicemia a livelli tossici. L'apertura del film non sembra che confermare questo timore, con Curtis a parlarci apertamente di fiducia nelle persone, nell'amore che, se sai cercarlo, si dimostra onnipresente. In questo film, lo è senz'altro, e in numerosissime varietà: nuovo amore che sboccia, stantio amore coniugale, amore filiale e fraterno, amore tradito, amore impossibile, amore spezzato dalla malattia, amore infantile, amore tarpato sul nascere, e così via, in un rondò davvero difficile da riassumere. Basti dire che il plot coinvolge la vita sentimentale di decine di personaggi a partire da cinque settimane prima di Natale; un affollamento che fa sì che, più che veri e propri episodi, molte storyline siano soltanto brevi accenni che avrebbero potuto, senza gran danno, rimanere sul pavimento della sala di montaggio.

I filoni principali sono quelli che vedono protagonisti gli attori più importanti (e più bravi): Emma Thompson, Alan Rickman, Liam Neeson e Hugh Grant. Quest'ultimo si guadagna la luce dei riflettori soprattutto per il ruolo che il suo mentore Curtis gli ha cucito addosso, niente meno che quello del Primo Ministro di Gran Bretagna. Ovviamente al nostro sentimentale regista non interessa farci accedere al numero 10 di Downing Street per svelare intrighi e affari di stato, ma per raccontarci come il fascinoso capo di governo prenda una sbandata colossale per una sua assistente e sia troppo integerrimo per agire in proposito. E' proprio questo amore, tuttavia, ad indurre il PM a fare una levata di scudi contro la sudditanza imposta al Regno Unito dall'alleato di oltreoceano, perché il Presidente degli Stati Uniti (un gustoso Billy Bob Thornton, scelto evidentemente per riunire in un unico tipo umano l'esuberanza erotica di Bill Clinton e l'arroganza/ignoranza di George W. Bush) ha insidiato la fanciulla del suo cuore. L'episodio della conferenza stampa con tirade "anti-americana" è uno dei punti più bassi toccati dalla sceneggiatura di Love Actually, ma è interessante per come fotografa le velleità di orgoglio nazionalistico del popolo britannico, che ad un tempo ammira e disprezza i cugini a stelle e strisce, difende e subisce il rapporto privilegiato tra i due governi.

L'America, d'altronde, è una presenza costante in Love Actually, a confermare che la sudditanza psicologica del popolo inglese non è un fatto solo politico. In uno degli episodi minori (nonché quello in assoluto più irritante) un giovanotto che non riesce a soddisfare la sua sete di sesso a causa della freddezza delle inglesi, risolve di partire per gli Stati Uniti, dove le ragazze sono più disponibili e impazziranno per il suo accento e il suo aplomb (?) britannico. Hollywood, poi, si affaccia prepotentemente nella storyline con protagonisti Liam Neeson e il piccolo Thomas Sangster, che quando hanno problemi di cuore si fanno consolare da "Kate e Leo", guardando la scena del "volo sull'oceano" di Titanic.
L'episodio di Neeson, neo-vedovo che costruisce un rapporto con il figlio della moglie morta aiutandolo a fare i conti con la sua prima infatuazione per la ragazzina (americana) più bella della scuola, coglie nel segno grazie al fascino immutato del gigante irlandese e al tenero musetto del giovanissimo e bravo attore londinese. Del resto, per tutta la pellicola, sono i grandi interpreti a tenere banco: così ha ottima riuscita anche l'episodio in cui Emma Thompson scopre il tradimento del marito Alan Rickman, sedotto dalla segretaria. Anche qui, nulla di nuovo, ma quei due renderebbero coinvolgente ed emozionante anche l'elenco del telefono.

Una menzione la merita anche la bravissima Laura Linney, unica americana che ha ruolo a tutto tondo nel film e che è protagonista di un paio di momenti deliziosi, uno comico, l'altro commovente; le altre storie, che s'intersecano a quelle principali grazie ad una conoscenza, un'amicizia, una parentela tra i personaggi, sono meno incisive e si dimenticano in un batter d'occhio, salvo poi convergere in un finale corale che lascerà indifferenti solo i cuori di pietra - perché sì, la glicemia sale, ma il rischio coma diabetico viene scongiurato dall'ironia fresca e intelligente, e il film è godibilissimo.
Tra le tante canzoni d'amore, per il finale Curtis sceglie la più bella di tutte (perdonate la soggettività!), che guarda caso è americana: e così, tra le armonie vocali di "God Only Knows" dei Beach Boys, il regista-sceneggiatore ci domanda se non siamo d'accordo con lui sul fatto che l'amore è davvero dappertutto. E a vederla con i suoi occhi - cioè spiando soltanto le scene di gioia e affetto al terminale degli arrivi all'aeroporto, e non le file per il controllo passaporti o al banco di check-in dopo l'annuncio della cancellazione di un volo - non si può che dargli ragione.

Movieplayer.it

3.0/5