Recensione Nascosto nel buio (2005)

Polson sfrutta il materiale con intelligenza, giocando con l'ambiguità dei dialoghi e delle situazioni; immagini nascoste, non rivelate, occhieggianti da dietro una porta, celate da una tenda da bagno, velate dal fitto bosco autunnale.

Lo specchio scuro

La piccola Emily, figlia di un affermato psicologo, soffre a causa di un grave trauma causatole dalla morte della madre. Per allontanarsi dal ricordo padre e figlia si trasferiscono nella parte settentrionale dello stato di New York, in una casa di campagna. Passano pochi giorni, ed Emily fa amicizia con Charlie, un ragazzo immaginario che diventa ben presto il suo compagno di giochi. Da principio David ritiene che questo sia un modo positivo di esprimersi per Emily; tuttavia, una serie di episodi terrorizzanti lo costringe a immaginare l'inimmaginabile: che Charlie possa essere reale e, dunque, un pericolo da fermare.

Scrive David (Robert De Niro), annota, analizza sul suo taccuino i turbamenti della piccola Emily (Dakota Fanning) provando a rimettere rimettere insieme, almeno sulla carta, quello che la fatalità sembra aver definitivamente distrutto, cerca affannosamente di ristabilire una parvenza di ordine, di consuetudine familiare, un brandello di quella routine degli affetti che la morte assurda della moglie gli ha portato via. E la presenza ingombrante del piccolo Charlie è ben misero prezzo da pagare, efficace collettore delle angosce della figlia, alter ego oscuro che le è di aiuto nell'accettare il male, nell'esorcizzare il dolore, primo passo per ristabilire quella rete di rapporti sociali che la perdita della madre-amica ha strappato. Scrive, annota, analizza, si rifugia nella sicurezza della propria scienza, vi si aggrappa disperatamente, vi si rinchiude, preso in uno sguardo troppo ravvicinato al suo oggetto per comprenderlo, incapace a sua volta di rielaborare l'accaduto.

E nel frattempo Emily è sola; similmente al padre tenta di accettare le proprie paure organizzandole, trasferendole su carta con innumerevoli disegni, instaurando un dialogo con esse, fatto di giochi, fatto di regole, nuove regole per nuove situazioni.

Charlie non vuole che si parli troppo di lui, Charlie ama starsene nel buio, Charlie gioca a terrorizzare David, Charlie irrompe nel reale e sembra ben presto reclamare un posto al di fuori della fantasia di una bambina.

Nascosto nel buio basa la sua efficacia su una sceneggiatura interessante e ricca di spunti, confinata in una dimensione claustrofobia e opprimente che genera atmosfere cupe ed evoca paure ancestrali. John Polson, alla sua seconda regia, sfrutta il materiale con intelligenza, giocando con l'ambiguità dei dialoghi e delle situazioni; immagini nascoste, non rivelate, occhieggianti da dietro una porta, celate da una tenda da bagno, velate dal fitto bosco autunnale. Senza mai ergersi al di sopra dei suoi personaggi, rinunciando all'onniscienza dell'autore, portando avanti un suggestivo rapporto con il non visto e ci trascina all'interno di un mondo di incertezza. L'unica certezza è la concretezza di Charlie (tratto che echeggia anche troppo chiaramente i fantasmi del cinema horror orientale contemporaneo), che la macchina da presa continua a inseguire senza riuscirci con grande tensione poetica.

Gli espedienti più facili per suscitare la tensione dello spettatore (le varie tecniche del "Buh!"), sono usate con parsimonia e misura e si riesce ben presto a farsi cullare dalla paura, a gustarla fino in fondo, ad ammirarla senza quel fastidioso senso di attesa di improbabili esplosioni sonore e apparizioni improvvise, mezzucci da galleria di luna park che ancora funestano tanto cinema dell'orrore.

Un film a suo modo originale; potente, solo in parte castrato da un finale scellerato che riesce a minare in pochi minuti la memoria di tutto quanto fino a quel momento era stato sapientemente costruito.