Dopo anni di assenza dal grande schermo trovarselo davanti sembra quasi un sogno. George A. Romero, il padre di tutti gli zombie che oggi infestano cinema, TV e fumetti, è in Italia. Il Lucca Film Festival è riuscito a portarlo in Toscana, omaggiandolo con un premio alla carriera e una retrospettiva, per la gioia dei fan italiani che in questi giorni avranno il piacere di incontrarlo. Romero non è solo colui che ha reso gli zombie popolari (e pop), ma è anche il nume cinematografico di generazioni di amanti dell'horror. I vari The Walking Dead, iZombie, Les Revenants e chi più ne ha più ne metta sono tutti eredi del ceppo romeriano e oggi fanno guadagnare miliardi ai loro produttori.
Nonostante la popolarità che lo accompagna ovunque e nonostante le numerose manifestazioni d'affetto dei fan, la fama non ha cambiato George Romero. Altissimo, dinoccolato, capelli lunghi legati in una coda, camicia a righe con sopra un gilet di tela da pescatore, il regista ha la stessa aria da hippie sessantottino che aveva quando si è messo dietro la macchina da presa per la prima volta per poi consegnare alla storia quel capolavoro che è La notte dei morti viventi. Anche il sorriso dolce dietro gli occhialoni neri è sempre lo stesso, solo l'andatura è un po' più incerta per via dei problemi di salute che lo hanno assillato negli ultimi anni. Di fronte alle lodi Romero si schermisce: "Non sono bravo a promuovere i miei lavori. Non amo parlare troppo. Quando mi chiamano a presentare un film arrivo subito al nocciolo della questione".
La notte dei morti viventi: là dove tutto ebbe inzio
La modestia di George Romero è autentica. Ripensando alla propria carriera, il regista non ha paura di svelare i retroscena della genesi de La notte dei morti viventi, confessando che l'idea di diventare uno dei maghi dell'horror era quanto di più lontano dai suoi programmi. "A dirla tutta, quella storia è stato un ripiego. Volevo fare un film completamente diverso, un dramma incentrato su due adolescenti, ma non avevo i soldi. Allora, insieme agli altri produttori, abbiamo deciso di girare un horror, genere più popolare e più semplice da vendere".
Anche la tanto acclamata scelta di un protagonista di colore per infrangere le barriere del pregiudizio nel 1968, in piena contestazione, in realtà è nata per caso. "Tra tutti i miei amici, Duane Jones era il miglior attore. Quando ha accettato di fare il film, non pensavamo che il tema della razza fosse centrale. A me stava a cuore mostrare come, anche in una situazione eccezionale ed estremamente pericolosa, le reazioni umane siano spesso dettate dalla stupidità e dall'incapacità di guardare oltre il proprio naso. È un tema più intimo della razza. Quando abbiamo finito il film, mentre ci dirigevamo a New York con la prima pizza nel bagagliaio dell'auto, abbiamo appreso alla radio la notizia dell'omicidio di Martin Luther King. Da quel momento La notte dei morti viventi è diventato un film sulla razza senza indipendentemente dalla nostra volontà".
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Un maestro del cinema fieramente indipendente
L'incredibile successo ottenuto da La morte dei morti viventi ha aperto la strada a cinque sequel. A una prima quadrilogia conclusa, nel 2005, da La terra dei morti viventi sono seguiti altri due sequel più o meno slegati dal ceppo principale, Diary of the Dead - Le cronache dei morti viventi (2007) e Survival of the Dead (2009). Dal 2009 Romero non ha più girato un film, anche se le idee non gli mancherebbero. "Oggi è impossibile fare piccoli film indipendenti, ormai sono troppo costosi. Eppure il processo sarebbe più economico rispetto al passato. Nel corso della mia carriera ho fatto solo due film con gli studios e in entrambi i casi è stata un'esperienza orribile. L'unico modo per fare il proprio film è trovare il modo di farsi finanziare. Creepshow è stato prodotto in maniera indipendente e poi distribuito da Warner Bros. Anche La terra dei morti viventi è stato distribuito da Universal quando era già pronto, quindi non ho dovuto collaborare direttamente con lo studio. Sono stato fortunato perché lavorare in maniera indipendente mi ha permesso di fare ciò che volevo senza preoccuparmi troppo dell'impatto commerciale".
Di fronte al bilancio sull'evoluzione della figura dello zombie nelle sue opere, Romero ci tiene a specificare che "per ogni film ho una motivazione diversa e un approccio diverso. Quello che è veramente importante è il messaggio contenuto nei miei film". Ripensando al passato l'autore ammette che lo scorrere del tempo non ha avuto necessariamente conseguenze negative. "Non direi che oggi siamo più zombie rispetto al passato. Un'epoca come questa in cui imperversano i social media - che io trovo lievemente pericolosi - apre la strada all'espressione personale. Al giorno d'oggi le persone possono comunicare e raccontare se stesse, in questo senso sono molto meno zombie oggi di quanto non fossero negli anni '80 - '90".
Tra fumetti, videogiochi, letteratura e... TV
Oggi che non trova più i finanziamenti per riproporre i suoi zombie al cinema, Romero si dedica alla scrittura. Di recente ha collaborato con Marvel per la serie a fumetti Empire of the Dead ("spero che arrivi in TV, ma non ho ancora certezze al riguardo") e al romanzo antologico Horror of the Living Dead. "Amo i fumetti da tutta la vita" ci confessa il regista. "È un mondo che mi ha sempre attratto. Scrivere per i fumetti è più semplice che per il cinema perché non mi devo preoccupare del budget. Posso inventare ciò che voglio. Ma un film dà più soddisfazione perché sai che alla fine avrai un progetto completo". Da uno scrittore all'altro, il regista coglie l'occasione per ricordare il celebre amico Stephen King, con cui ha collaborato per gli adattamenti di Creepshow e La metà oscura oltre a pianificare tanti altri progetti che non hanno visto la luce. "Collaborare con Stephen King è la cosa più semplice del mondo. Stephen è un caro amico, suona in una rock band, adora il baseball, è una persona semplice. È facile volergli bene".
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La riflessione si sposta poi sulla convergenza tra cinema e videogame. Romero racconta divertito di essere protagonista di un videogioco (Call of the Dead), ma anche se ha partecipato personalmente al videogame doppiando il suo alter ego si dice poco convinto del connubio: "Penso che questa convergenza sia pericolosa. Un film ha un respiro più ampio, contiene molto del suo creatore, ha una sua vita individuale. Il regista ha la responsabilità di offrire un punto di vista diverso. I giocatori di un videogioco invece vedono solo il loro punto di vista importando nel gioco tutti i loro pregiudizi. Ma non credo che uno dei due soppianterà mai l'altro".
L'ultimo pensiero è per la TV, in particolare per la serie TV a cui tutti pensiamo oggi quando sentiamo pronunciare la parola 'zombie':. "Certe serie TV di oggi non mi piacciono, anzi, mi fanno proprio rabbia. The Walking Dead è popolarissima. Io ho amato il fumetto originale da cui lo show è tratto e ho trovato molto bella la prima stagione. Poi Frank Darabont è stato licenziato. Hanno sfruttato il nome per continuare a mungere la vacca e fare soldi. Ormai The Walking Dead è diventata una soap opera, The Talking Dead".