Los Angeles, 1987. Nelle sale cinematografiche americane arriva The Running Man, uscito da noi come L'implacabile, action fantascientifico che vedeva Arnold Schwarzenegger vestire i "gialli" panni di Ben Richards, ex militare ingiustamente accusato di un massacro e costretto a partecipare al più popolare show televisivo del futuro: un programma dove i condannati devono sopravvivere agli attacchi di spietati "cacciatori" in un'arena high-tech. Il film era diretto da Paul Michael Glaser, il mitico interprete di Starsky nella serie cult Starsky & Hutch, e divenne rapidamente un cult dell'action anni Ottanta, celebrato per la lunga serie d villain sopra le righe e quella satira televisiva tanto profetica quanto superficiale, anticipatrice dei moderni reality.
The Running Man: alla riscoperta del film
Come vi raccontiamo in questo articolo, molti spettatori dell'epoca ignoravano il fatto che fosse basato su un romanzo di Stephen King, che nel 1982 aveva pubblicato sotto lo pseudonimo di Richard Bachman una delle sue opere più cupe e nichiliste. Un romanzo che con il film di Schwarzenegger condivide poco più del titolo originale - The Running Man appunto - tanto che lo stesso scrittore dichiarò di non poter sopportare l'adattamento, considerandolo un completo tradimento della sua creazione.
Laddove il libro era nato come un grido di denuncia contro le disuguaglianze sociali, la manipolazione mediatica e il capitalismo più bieco, questo libero adattamento si trasforma in un rutilante spettacolo muscolare dove Schwarzy sfoggia il suo fisico massiccio e il suo iconico sorriso a trentadue denti, mentre elimina avversari armati di motoseghe e lanciafiamme. Un fumettone che guardava alle omologhe produzioni commerciali dell'epoca, pronto a prendere solo l'impianto ludico della fonte tralasciando (quasi) tutto il resto.
Dalla carta allo schermo
La trama originale non potrebbe essere più diversa dalla versione cinematografica degli anni Ottanta, mentre il remake in uscita in questi giorni si mantiene assai più fedele. Su carta infatti Ben Richards è un disoccupato che vive con la moglie Sheila e la figlia Cathy, gravemente malata e bisognosa di medicine che la famiglia non può permettersi, al punto che la compagna, disperata, si è ridotta a prostituirsi per portare soldi a casa.
In questo contesto di totale disgregazione economica e sociale, Richards decide di iscriversi alla Games Federation, una rete televisiva governativa che realizza programmi dove i concorrenti rischiano la vita per vincere denaro. Dopo aver superato i test preliminari, viene selezionato per L'uomo in fuga, il più letale e meglio pagato: i "giocatori" vengono rilasciati e devono sopravvivere per trenta giorni mentre un team di "cacciatori" professionisti li insegue con lo scopo di ucciderli. Ogni cittadino può inoltre denunciare la posizione di un corridore in cambio di una ricompensa, trasformando l'intera nazione in complice del massacro e rendendo il tutto ancor più ambiguo e complicato.
Una trama sicuramente ricca di sfumature drammatiche e introspettive, che in L'implacabile viene snaturata fin dalla prima scena, dove troviamo il protagonista che pilota un elicottero militare. Già da questa scelta produttiva si intuisce la direzione che prenderà il successivo minutaggio, all'insegna di uno spettacolo muscolare patinato e votato al mero intrattenimento fine a se stesso.
Il giorno del giudizio
Il film di Glaser trasforma gli Stati Uniti e il palcoscenico on the road del romanzo in un'arena di 400 isolati sotterranei divisi in "zone" tematiche, ognuna teatro di una sanguinosa resa dei conti con i cosiddetti Sterminatori, armati di motoseghe, lanciafiamme e quant'altro possa far male ai malcapitati prigionieri di questo folle game-show all'ultimo sangue. Ha così luogo uno spettacolo circense dove ogni villain deve avere una caratteristica apertamente riconoscibile, come fosse l'equivalente cinematografico dei boss di un videogioco arcade, ognuno con il suo stile d'attacco altamente prevedibile che il nostro eroe è sistematicamente pronto a neutralizzare per eliminare quella bizzarra minaccia.
Se c'è un elemento della pellicola che funziona brillantemente - consapevole o meno fosse l'intento - è nella performance di Richard Dawson nei panni di Damon Killian, lo scatenato conduttore di The Running Man. L'attore britannico, leggendario presentatore nella realtà del popolare programma Family Feud, porta al ruolo un'autenticità inquietante, sapendo esattamente come funzionano il mondo dello show business e i meccanismi della manipolazione televisiva, e li esaspera quanto basta per renderli grotteschi senza farli sembrare implausibili.
"Questa è la televisione, bellezza!" in una critica assai inaspettata dato il tono giocoso dell'insieme al cinismo di una televisione pronta ad annullare valori e verità in favore del Dio share, con milioni e milioni di persone vogliose di sangue e morte che ogni sera guardano estasiati il programma. Una sorta di paradossale anticipazione di quell'istinto voyeuristico del Grande Fratello ed emuli, a sua volta diretta evoluzione dell'1984 orwelliano.
Un film avanti sui tempi?
Bisogna tener conto del fatto che quando il film uscì nel 1987 i reality show come li conosciamo oggi non esistevano ancora, eppure il film immaginava già un futuro dove la vita e la morte delle persone diventavano materia narrativa per un morboso intrattenimento di massa, dove il pubblico in studio applaudiva eccitato a ogni omicidio - più violento era, meglio era - dove le casalinghe e le vecchiette intervistate tra un round e l'altro tifavano entusiaste per quell'emoglobinica carneficina.
E ancora più lungimirante è stata l'anticipazione dei deepfake. A un certo punto i tecnici dello show manipolano digitalmente i filmati per creare false riprese video, una tecnologia che all'epoca sembrava pura fantascienza ma che oggi è drammaticamente reale.
Peccato che tutti questi buoni spunti, alcuni potenzialmente rivoluzionari per i tempi, non vengano mai approfonditi appieno, limitandosi a renderli puro contorno di un compitino ludico ad uso e consumo di un facile intrattenimento a prova di grande pubblico, pensato per far trascorrere un'ora e mezza spensierata tra birra e pop-corn. E che, tra effetti speciali, azione caciarona e l'istrionico carisma di uno Schwarzenegger dalla battuta sempre pronta, finisce per mettere in secondo piano l'inquieta profezia celata nella premessa alla base.