Recensione Princesas (2005)

Principesse/prostitute, in un film che affronta, senza andare troppo per il sottile, i legami sociali e affettivi di un mondo borderline.

Le principesse del ventunesimo secolo

Al pubblico italiano il nome di Fernando Leòn de Aranoa potrà non essere molto familiare. I primi tre film del regista madrileno, però, in Spagna e nei paesi dell'America Latina hanno riscosso un notevole successo. Famiglia, Barrio e I lunedì al sole hanno collezionato infatti tre Goya, il David di Donatello iberico, nonché significativi riconoscimenti ai Festival di Valladolid e di San Sebastian.
E' con queste credenziali che de Aranoa presenta il suo ultimo lavoro, Princesas, che in Italia esce - e ormai non ci si stupisce più - con un certo ritardo.

Un titolo che è una dichiarazione d'intenti. Le principesse del titolo si incarnano infatti nel film in un piccolo gruppo di prostitute. Tutta la trama si costruisce e si delinea intorno ai rapporti sociali e personali che intrecciano queste ragazze della strada.
De Aranoa non si fa problemi a tratteggiare una dura realtà usando gli stilemi della quotidianità della strada. E così nella prima sequenza apprendiamo della "professione" della protagonista da un improvvisato rapporto orale (dopo Battaglia nel cielo di Reygadas sarà diventato di tendenza?), ancor prima che questa abbia quasi proferito parola. L'intento tuttavia non è quello di scioccare attraverso una certa durezza delle immagini; il tratteggiarsi di figure dure, spigolose, è estremamente funzionale alla realtà in cui si muove e di cui si nutre il film. Non troviamo così scene di nudo se non per pochissimi istanti, né l'atto sessuale in sé si pone al centro della scena.
Il regista ritiene semplicemente di poter affrescare una storia di "normale" amicizia, delusione e gioia all'interno di una situazione e di una trama di rapporti che, nella percezione del pubblico pagante, così normali poi non sono.

"Non ho nostalgia di nulla perché non mi è mai successo nulla di così bello da sentirne la mancanza. Si può avere nostalgia di qualcosa che non è successo?"
E' in questa frase della protagonista, una Candela Peña con cui la telecamera duetta, di cui esplora il corpo e l'umanità, che si racchiude la tensione di tutta la storia, e dunque di tutta la pellicola.
E' dietro la possibilità di scorgere in una donna-oggetto un'umanità profonda, vera, che il regista si muove.
Per farlo si attiene a una equilibrata gestione delle immagini e ad un certo realismo fotografico, concentrandosi sulla figura delle due protagoniste, lasciando scampoli di spazio ai personaggi di contorno.

Film tutto sommato sincero, che tende però a rifugiarsi in una filosofia spicciola. A più riprese viene ribadito il concetto chiave del film, quell'esistiamo perché c'è qualcuno che ci pensa, non viceversa, in cui si tentano di risolvere tutte le fratture che la storia apre, alle quali spesso non servirebbe dare una risposta immediata.
De Aranoa costruisce un film per palati fini, che forse non lascia trapelare un'eccessiva urgenza di senso, ma che non per questo non val la pena di essere notato con un minimo d'interesse.