Incubi kafkiani, metamorfosi, ambigui e misteriosi giochi della mente, i caratteri ricorrenti nel cinema di David Cronenberg sono certamente noti a tutti. L' uscita nelle sale italiane di A History of Violence, presentato lo scorso Maggio al Festival di Cannes, è l'occasione per analizzare la filmografia del regista canadese che, dagli esordi ad oggi, ha saputo disegnare una personalissima poetica cinematografica in cui l'analisi del corpo e delle sue possibili trasformazioni, in relazione anche alla tecnologia e le imprevedibili evoluzioni della scienza, sono certamente i temi ricorrenti, ma che altresì hanno assunto caratteristiche ben diverse rispetto a quelle degli stereotipi del film di fantascienza, e che in più hanno saputo evolversi all'interno della stessa carriera del regista.
La trasformazione sembra in effetti il denominatore comune di tutto il cinema cronenberghiano, ma al di la delle apparenze si devono fare i conti con qualcosa che va ben oltre le crude immagini di interventi chirurgici (Inseparabili) o di torture (Videodrome), perché la metamorfosi esteriore, nelle pellicole di Cronenberg, si muove sempre parallelamente a quella interiore dei suoi protagonisti. Le scene della trasformazione dello scienziato Seth Brundle (Jeff Goldblum) da uomo a insetto, che compongono il film La Mosca, per esempio, sono l'espediente per raccontare ed analizzare cosa questo processo provochi nella mente del protagonista, cosa, cioè, lo sconvolgimento della quotidianità produca in lui. La trasformazione è di conseguenza il pretesto narrativo per allontanare i personaggi dalla loro realtà, per imporgli quindi di abbandonare ciò che di certo e conosciuto appartiene alla vita di tutti i giorni, ed immergerli di conseguenza in quel universo oscuro e privo di leggi che si cela tra le pareti dell'inconscio. Per questa ragione il corpo diventa centro privilegiato di riflessione, l'attrazione per la carne e tutto ciò che la pelle occulta è essenzialmente un interesse verso il nascosto, verso ciò che l'occhio non è in grado di scorgere; per Cronenberg il non visibile è fucina di verità da mettere in mostra, mentre l'esteriorità e l'apparenza sono qualcosa di ingannevole, ma soprattutto una prospettiva soltanto parziale delle cose.
"L'arte é sovversiva perché fa appello all'inconscio. Non sono un freudiano, ma credo nell'equazione "civiltà uguale repressione". L'arte è a favore di tutto ciò che viene represso. Quindi è contro la civiltà, contro la società con le sue norme stabilite. Più un film è collegato con l'inconscio, più è sovversivo. Come lo sono i sogni".
Ma tutto questo impone allo spettatore di fare i conti con un linguaggio cinematografico complesso, ma soprattutto con i propri incubi. Ecco perché è tanto ricorrente la definizione "horror" per la maggior parte dei film del regista canadese, e forse proprio per questo il cinema di Cronenberg continua a rimanere una realtà "non per tutti"; complesso ed impegnativo, perché certo non tutti sono disposti ad aprire i cancelli della mente e a scontrarsi con l'imprevedibile e l'inesplorato, con tutto quello che un semplice occhio non può, o non vuole, vedere.
Nel suo film-manifesto Videodrome sono riscontrabili tutti quegli elementi che, a torto o a ragione, vengono tutt'oggi definiti "cronenberghiani"; l'intrecciarsi dei temi della malattia, della sessualità e della scienza sembrano essere il nutrimento che rende possibili gli incubi e le metamorfosi che popolano le sue opere. Temi comuni nella società contemporanea, quanto apparentemente ordinari e familiari sono gli scenari di partenza, che finiranno però con l'essere distorti e deformati dalla macchina da presa governata da Cronenberg, assumendo le prospettive inquietanti di un occhio che ha - a differenza di quello umano - il coraggio di annientare l'illusione di perfezione che la stessa società impone.
Sin dai primi lavori, infatti, emerge l'esigenza da parte del regista di usare la scienza come mezzo che permette lo scatenarsi di un cambiamento. L'ultimo secolo è stato di fatto soggetto a cambiamenti e sconvolgimenti determinati dalle rapide ed inesorabili evoluzioni scientifiche. Nei film di Cronenberg l'uomo è vittima, oltre che fautore, delle sue stesse scoperte; in Stereo mediometraggio del 1969, per esempio, la cui idea centrale verrà poi ripresa successivamente nel film Scanners, è la ricerca medicina portata agli estremi a generare l'incubo. La malattia invece, al di la delle apparenze, non è un demone ma piuttosto un ulteriore mezzo di conoscenza. In La zona morta, il protagonista (Christopher Walken) scoprirà di avere dei poteri soprannaturali dopo essersi risvegliato da un coma durato cinque anni. Malato è anche il signor O'blivion di Videodrome, e lo è il pod infetto che contamina chi lo usa di eXistenZ.
Come le differenti prospettive con cui ognuno di noi vive la realtà, anche la sessualità è una variabile priva di una legge che la governi. Presenza forte già nei primi lavori, la sessualità nel cinema di Cronenebrg - quella conturbante e brutale delle sgranate immagini di violenza che escono dal televisore di Max Renn (ancora Videodrome), edipica in Spider, è l'ossessione morbosa messa in scena in Inseparabili, fusa alle contaminazioni meccaniche in Crash - sempre qualcosa di totalmente indipendente dalla morale e da qualsiasi tipo schema.
In effetti, i protagonisti del cinema di Cronenberg sono, a ragione, da lui stesso definiti "personaggi che non consentono l'immedesimazione del pubblico", razionalmente estremi e troppo lontani da quanto ci circonda per comprenderne le azioni, ma proprio in questo risiede il fascino del cinema di questo regista. In fondo tanto lontani poi non sono. È come se, nel cinema di Cronenberg, il tema classico di amore e morte venisse definitivamente oltrepassato, evolvendosi in quello di erotismo e "decomposizione", una decomposizione in grado di generare una nuova civiltà, o meglio una nuova carne - che si lascia inghiottire da uno schermo televisivo, o che dialoga con degli scartafacci (Il pasto nudo) - che, evidentemente, non ha fatto altro che superare il sottile confine tra visibile e invisibile, confine che attraverso il mezzo cinematografico Cronenberg ci permette sempre di varcare, a scapito forse della totale comprensibilità di ciò che ci si prepara a vivere attraverso le sue immagini, ma a favore, sempre, di un'esperienza cinematografica unica.