Lazzaro felice: la terra della gentilezza uccisa

Al terzo film, presentato in concorso a Cannes, Alice Rohrwacher compie una maturazione sorprendente, raccontando la parabola di Lazzaro, ragazzo di cui tutti si approfittano scambiando la sua gentilezza disarmante per stupidità, rinunciando in questo modo a bellezza e umanità. Dal 31 maggio nelle sale italiane.

Eppure lo sappiamo: anche l'odio contro la bassezza stravolge il viso. Anche l'ira per l'ingiustizia fa roca la voce. Oh, noi che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza, noi non si poté essere gentili. Ma voi, quando sarà venuta l'ora che all'uomo un aiuto sia l'uomo, pensate a noi con indulgenza. Bertolt Brecht, "A coloro che verranno", 1939.

Lazzaro felice: Adriano Tardioli e Luca Chikovani in un momento del film
Lazzaro felice: Adriano Tardioli e Luca Chikovani in un momento del film

Tra le tante qualità considerate importanti oggi, la gentilezza è una di quelle meno quotate e soprattutto praticate. Basta aprire un qualsiasi social network o seguire un programma televisivo per vedere persone che si insultano con un'aggressività ingiustificata, vomitando offese come se fosse la cosa più normale del mondo, quasi come se dietro quello schermo o quel microfono non ci fosse una persona vera, in carne e ossa, a leggere e sentire tutta quella cattiveria gratuita.
Scambiare la gentilezza per stupidità è poi una delle pratiche più antiche del mondo, ma in un presente più civilizzato, in cui, in teoria, non ci sarebbe bisogno della forza bruta per interagire con gli altri, la violenza si è trasformata da fisica in verbale. Se si è di indole buona è davvero difficile non farsi corrompere dalla cattiveria e dall'invidia altrui, perché si rischia di esserne schiacciati.

Nel suo terzo film, Lazzaro felice, nelle sale italiane dal 31 maggio, presentato in concorso al 71esimo Festival di Cannes, Alice Rohrwacher racconta l'odissea di un'anima gentile, un uomo buono che non sa cosa sia la malizia, perché si fida delle persone, non contemplando minimamente la possibilità della menzogna o dell'inganno. Lazzaro, occhi grandi e sorriso spontaneo, non ha nemmeno vent'anni, lavora nei campi in un tempo indefinito ed è l'ultimo degli ultimi. Senza genitori, sfruttato dai compagni mezzadri, a loro volta schiavizzati dalla Marchesa Alfonsina De Luna (Nicoletta Braschi), signora del tabacco e proprietaria della tenuta chiamata l'Inviolata, che ha nascosto loro l'esistenza di un mondo nuovo e moderno, Lazzaro cammina leggero sulla terra che coltiva con umiltà, senza chiedere mai nulla per sé, mettendo costantemente da parte i propri bisogni per soddisfare quelli degli altri.

Leggi anche: Alice Rohrwacher e Lazzaro Felice: "I miei modelli? Olmi e i Taviani"

L'odore di un uomo buono

A quattro anni da Le meraviglie, che vinse proprio a Cannes il Grand Prix Speciale della Giuria, Alice Rohrwacher ha trovato una maturità artistica sorprendente: fedele alla sua idea di cinema, lo sguardo della regista toscana è sincero come quello del suo protagonista, tanto da non voler ingabbiare l'inquadratura con una mascherina, lasciando ogni fotogramma libero e imperfetto, come un occhio spalancato sul mondo.

Lazzaro felice: Adriano Tardiolo e Alba Rohrwacher in una scena del film
Lazzaro felice: Adriano Tardiolo e Alba Rohrwacher in una scena del film

La storia di Lazzaro, che ha il viso disarmante dell'esordiente Adriano Tardiolo, scovato dopo una lunga ricerca attraverso vari licei d'Italia, ha una potenza emotiva inaspettata, che si insinua con delicatezza nella pancia e nel cuore dello spettatore, grazie a un susseguirsi di metafore e simbolismi che arrivano da un sentimento religioso arcaico, quasi primitivo, legato all'alternarsi delle stagioni, che si nutre del miracolo della vita che si manifesta nel rumore del vento o nel verde delle foglie.

Leggi anche: Cannes 2018: l'Italia in concorso con Matteo Garrone e Alice Rohrwacher

Lazzaro felice: Adriano Tardioli e Luca Chikovani in un'immagine tratta dal film
Lazzaro felice: Adriano Tardioli e Luca Chikovani in un'immagine tratta dal film

Inizialmente ambientato in un luogo che sembra fuori dal tempo e dallo spazio - se non fosse per alcuni piccoli dettagli, come i cellulari a conchiglia anni '90 e il brano Dreams Will Come Alive dei 2 Brothers on the 4th Floor, datato 1994 -, il film, grazie a un colpo di scena inaspettato, da racconto di vita rurale si trasforma in qualcos'altro, trasfigurando il suo protagonista da essere umano fatto di sangue e sudore a personaggio ultraterreno, manifestazione del bene universale, in eterna contrapposizione con il male, incarnato da un lupo, che lo riconosce come suo polo opposto e ne ha rispetto.

Lo stesso non si può dire dell'umanità che Lazzaro incontra sul suo cammino: che siano poveri o ricchi, ignoranti o istruiti, umili o nobili, gli uomini non riescono a uscire dalla mentalità "mors tua vita mea", trovando modi sempre più sofisticati e ingegnosi per sfruttare gli altri a proprio vantaggio, rinunciando in questo modo alla propria umanità, perdendo sempre più la capacità di riconoscere la bellezza, che si fa distante, come una musica ascoltata in lontananza, ferita dalle continue offese subite.

Leggi anche: Le meraviglie, la nostra recensione del film

Lazzaro felice: Adriano Tardiolo e Tommaso Ragno in una scena del film
Lazzaro felice: Adriano Tardiolo e Tommaso Ragno in una scena del film

Lasciato ai margini, Lazzaro tiene per sé anche le sue lacrime, viste soltanto dalla Luna, testimone silenziosa delle sue disavventure, a sua volta mutevole e ingannevole, menzogna a cielo aperto, che riflette la luce di un astro più grande e appariscente. La felicità di Lazzaro, messa costantemente alla prova, invece che essere contagiosa fa paura, perché ci costringe a confrontarci con i nostri difetti, con le nostre più inconfessabili meschinità, dissolvendo le illusioni di cui ci cibiamo tutti i giorni, che siano lo status sociale, le relazioni o il controllo sulle nostre vite. Ecco perché non c'è posto per i Lazzaro nel mondo, simbolo di una umanità ideale che difficilmente può avere riscontro nella realtà, ma che, se solo avessimo il coraggio di accogliere, ci solleverebbe da molte delle nostre sofferenze. Uno sguardo puro come quello di Alice Rohrwacher, nella sua semplicità, è, a costo di sembrare sdolcinati, rivoluzionario.

Movieplayer.it

4.0/5