Last Chance U: Basketball, la recensione: Lontani dal paradiso del basket, su Netflix

La recensione di Last Chance U: Basketball: la docuserie su Netflix dal 10 marzo racconta il mondo del basket universitario e un gruppo di ragazzi che hanno un'ultima chance di giocare a livello professionistico.

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Last Chance U: Basketball - una foto di scena

"Signore e signori, Michael Jordan e gli dei del basket" titolavamo in occasione dell'uscita di The Last Dance. La recensione di Last Chance U: Basketball, docuserie tv in 8 episodi disponibile su Netflix dal 10 marzo parte da presupposti molto diversi. I protagonisti non sono dei, sono ancora lontani dall'Olimpo o dal paradiso del basket, il campionato NBA. Si muovono nel mondo del basket universitario, sono pieni di talento, ma non hanno ancora raggiunto niente: vittorie, fama, denaro, ma anche quella maturità che ti permette di essere un grande nello sport. Alcuni di loro ne sono perfettamente consci. "Il basket rivela quando ti trovi in una certa situazione, come ti comporti" dicono i protagonisti sin dalle prime battute della serie. "I canestri sono la parte più semplice. L'importante è tenere i nervi saldi". La serie ideata da Greg Whiteley (un Emmy per Last Chance U) racconta la storia di un gruppo di ragazzi che danno il meglio di sé per realizzare un sogno e avere un'ultima chance di giocare a livello professionistico. Meno emozionante di The Last Dance, perché non schiera i notissimi assi del basket e non racconta campionati entrati nella storia, Last Chance U: Basketball è ugualmente intenso, e viaggia nelle emozioni delle persone, prima che dei giocatori. E la voglia di riscatto, la paura, lo sconforto, il sacrificio sono sentimenti universali.

La trama: il basket a East Los Angeles

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Last Chance U: Basketball - un'immagine della serie

Last Chance U: Basketball si muove nel mondo del basket universitario. Siamo a East Los Angeles, una zona che di solito nessuno associa al basket. East LA è un altro mondo rispetto alla Los Angeles più nota, ci vivono molti latini. E la ELAC è un'università statale, pubblica, una di quelle che permette un'istruzione anche a chi viene da classi meno abbienti. Gli Huskies, la squadra di basket dell'università, ha perso una sola partita e ha vinto tutte le altre. Sta battendo tutti i record, ma a nulla varrà se non vincerà il campionato dello stato della California.

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Come in Friday Night Lights

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Last Chance U: Basketball - una foto

Last Chance U: Basketball vive in una terra di mezzo che sta tra The Last Dance e Friday Night Lights. Il riferimento alla prima è legato alla forma, quello alla seconda è un discorso di senso. Partiamo da qui. Pur essendo una docuserie e non una serie di finzione, Last Chance U: Basketball ha molti punti in comune con Friday Night Lights (in Italia distribuito, nelle prime stagioni, con il titolo di High School Team), la serie ideata da Peter Berg. In entrambe al centro c'è il mondo, poco noto, dello sport dilettantistico, che in America è una vera istituzione. C'è il profondo contatto tra i protagonisti, l'università e la propria terra. E c'è un "coach", un allenatore carismatico, duro, ma anche empatico, paterno. L'head coach John Mosley non è da meno del coach Taylor della finzione televisiva. Ed è uno dei personaggi che ci porta subito dentro la storia.

Agli antipodi di The Last Dance

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Last Chance U: Basketball - una scena di gruppo

Scandita da una timeline (i giorni che mancano ai playoff) e divisa in capitoli che, nell'ambito di una storia collettiva, puntano l'attenzione su un personaggio, proprio come The Last Dance, Last Chance U: Basketball ha molto in comune con questa serie e allo stesso tempo ne è agli antipodi. Da un lato c'è la forma scelta per raccontare il basket e una storia forte, quella del documentario seriale, un formato lungo, fatto di molti episodi. Dall'altro c'è una squadra in divenire invece di una big del basket, un luogo periferico e non associato alla pallacanestro come East LA, mentre Chicago è da anni uno dei cuori pulsanti di questo sport a livello mondiale.

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Ancora lontani dagli dei del basket

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Last Chance U: Basketball - un'immagine della serie Netflix

E questo essere ai poli opposti dello stesso mondo, quello del basket, si rispecchia in una differenza sostanziale di prospettiva a livello di immagine. Al netto delle classiche interviste ai protagonisti, immancabili in ogni documentario di questo tipo, le riprese delle sequenze di gioco di Last Chance U: Basketball sono molto diverse da quelle di The Last Dance. L'azione non è ripresa dall'alto delle tribune, e dal centro, com'è nei codici dell'evento sportivo. È ripresa dal basso, al livello del campo di gioco, spesso anche da una posizione laterale. È ovviamente una scelta dettata dalla necessità. Nel campo di gioco degli Huskies non ci sono tribune vere e proprie, ma quelle gradinate a scomparsa che troviamo in molte piccole palestre. Ma quella scelta diventa paradigmatica del racconto di un mondo. Perché in questo modo lo spettatore si trova in mezzo a questi ragazzi, e capisce che sono come lui, e lui è come loro. Siamo tutti ancora con i piedi per terra, comuni mortali. E questi ragazzi sono ancora lontani dall'essere gli dei del basket raccontati da The Last Dance. In quello che è un classico racconto del reale, tipico del documentario, a volte le immagini sono comunque rese spettacolari con qualche ralenti, che fissa il gesto degli atleti e prova a renderlo iconico.

Deschaun Highler e Joe Hampton, i protagonisti

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Last Chance U: Basketball - una scena

E dopo pochi minuti che si assiste alla serie si è già incantati da questi giocatori, si ha voglia di seguirli, li si ammira come se fossero Michael Jordan e Scottie Pippen. Si impara a conoscerli e ad amarli. Deschaun Highler è il leader, gioca "guardia" come Michael Jordan, è tatuato e ha i dreadlocks ai capelli. Ha il look di un bad boy, ma ha appena perso la mamma ed è legatissimo alla sua ragazza. Joe Hampton è un "lungo", un pivot, ha perso già una volta il treno dell'NBA per un infortunio e, oltre che con gli avversari, deve battersi con il suo brutto carattere, che lo fa spesso reagire male. È alto 2 metri e 13, è grosso, e se gli fanno fallo non lo spostano. Così non gli fischiano mai fallo contro. E poi ci sono i coach John Mosley, un passato di brutti giri e poi la devozione a Dio, e Robert Robinson. Due uomini che hanno rinunciato anche a soldi e a lavori più prestigiosi per stare vicino alla famiglia o per l'amore per il basket. Che rimane uno sport bellissimo, affascinante. Che si sia esperti, tifosi appassionati, che si seguano altri sport e si veda il basket solo saltuariamente, seguire con il fiato in sospeso un tiro da tre punti e vedere entrare la palla nel canestro è qualcosa che non ha eguali.

Conclusioni

Nella recensione di Last Chance U: Basketball vi abbiamo parlato di una serie meno emozionante di The Last Dance, perché non schiera i notissimi assi del basket e non racconta campionati entrati nella storia. Ma è ugualmente intenso, e viaggia nelle emozioni delle persone, prima che dei giocatori. E la voglia di riscatto, la paura, lo sconforto, il sacrificio sono sentimenti universali.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
4.7/5

Perché ci piace

  • Dopo The Last Dance, il format della docuserie si conferma perfetto per raccontare il basket.
  • La storia, che parla di riscatto e paura, diventa universale.
  • La regia riprende l'azione all'altezza dei giocatori, così che sembra di essere in mezzo a loro.

Cosa non va

  • Non è The Last Dance, e a un pubblico interessato solo ai grandi del basket potrebbe non interessare...